Abramo. Lo sradicato e il forestiero ospitale

Volti di fraternità e sororità nella fede biblica. La storia del costruttore di fratellanza, depositario e segno di benedizione.

1. Una storia fallimentare

I primi undici capitoli del Genesi sono il racconto teologico degli inizi del creato e della vita sulla terra, opera di Dio. L’autore sacro ci pone di fronte ad un resoconto deludente: l’uomo plasmato a immagine di Dio, ben presto deturpa tale immagine e si allontana dalla via che il Creatore gli ha proposto, e si avvia verso un orizzonte di non-senso e di fallimento totale. Eventi che determinano tale fallimento sono:
– la disobbedienza a Dio di Adamo ed Eva, con la pretesa di diventare come Dio, ossia giudici del bene e del male (cfr. Gen 3,5);
– la violenza omicida di Caino sul fratello Abele (cfr. Gen 4,8);
– l’enunciato con cui Lamec, discendente di Caino, ratifica il principio della vendetta senza misura: «Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette» (Gen 4,24);
– «La malvagità degli uomini era grande sulla terra, e ogni disegno concepito dal loro cuore non era che male» (Gen 6,2). Il Diluvio diventa epilogo inevitabile di tale situazione;
– la parabola della torre di Babele che raffigura, al tempo stesso la città, la reggia, il tempio e la banca, emblema di una civiltà che vagheggia una egemonia che omologa ogni cosa, impone il pensiero unico, mentre schiaccia la dignità e la libertà del singolo. «Venite, facciamoci un nome» si dicono l’un l’altro gli abitanti di Babele (cfr. Gen 11,3); in realtà, però, la pretesa di tale opera grandiosa si riduce ad uno sfascio totale con conseguenze irreparabili: esplodono i conflitti, i linguaggi si confondono, gli uomini si dividono e si disperdono. Si direbbe che si verifica un ritorno al caos primordiale.

Questa è la situazione! Il Signore, però, non accetta tale fallimento e interviene a modo suo: dà inizio a una storia nuova con il coinvolgimento di un uomo che si rende disponibile a camminare con lui nella via della fede e dell’obbedienza alla sua parola. Quest’uomo è Abramo.

2. Abramo nostro padre nella fede

Abramo è il grande padre nelle tradizioni delle religioni monoteistiche: “nostro padre”, lo chiamano gli ebrei perché discendenti da lui secondo la carne; “padre” lo chiamiamo noi cristiani perché appartenendo a Cristo figlio di Abramo (cfr. Mt 1,1), siamo sua discendenza; “padre” lo chiamano anche i musulmani i quali a lui fanno risalire la loro fede nel Dio di Maometto. Abramo, quindi, è il padre dei credenti nel Dio unico: ebrei, cristiani e musulmani. È, quindi, importante conoscere da vicino questa figura che la Bibbia mette in rapporto con noi quale padre e con il Signore quale amico. L’unica fonte a cui possiamo attingere tale conoscenza è la Scrittura. Il libro del Genesi ci dice che Abramo è figlio di Terach: «Questa è la discendenza di Terach: Terach generò Abram, Nacor e Aran; Aran generò Lot: Aran poi morì alla presenza di suo padre Terach nella sua terra natale di Ur dei Caldei. Abram e Nacor presero moglie; la moglie di Abram si chiamava Sarài e la moglie di Acor Milca, che era figlia si Aran, padre di Milca e padre di Isca: Sarài era sterile e non aveva figli» (Gen 11, 27-30).

È una famiglia di pastori, un clan di seminomadi che vive di allevamento di bestiame e di scambi con le popolazioni urbane. L’epoca dei fatti risale tra il XIX e il XVI secolo a.C. Ur dei Caldei, dove inizia la nostra storia, si trova nella regione sud-orientale della Mesopotamia, ed è una terra che, per Terach e il suo clan, invece, di generare vita, si presenta come una terra di morte e di sterilità. Infatti Sarài, moglie di Abram è sterile, mentre Aran, dopo aver generato Lot, muore «alla presenza di suo padre Terach, cioè prima del padre. Una morte prematura e tragica. Terach capisce che in quel luogo e in quella situazione non è più possibile vivere. Bisogna emigrare con tutta la famiglia alla ricerca di una terra che sia adatta alla vita. Pertanto, decide di emigrare. Arriva a Carrai e vi si stabilisce. Nel testo sacro da qui in avanti il nome di Terach lascia il posto al figlio Abramo che fino a questo momento è vissuto all’ombra del padre.

Ed ecco, all’improvviso, il Signore irrompe nella vita di Abramo. Siamo all’inizio del cap. 12, l’inizio della storia della salvezza. Queste le parole che Dio rivolge ad Abramo: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò. In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 1-3). Questo scenario solenne suscita un interrogativo: come mai Dio sceglie proprio Abramo per un progetto così impegnativo? Egli non ha titoli, né credenziali adeguati per assumere un ruolo così singolare. La domanda rimane senza una risposta che soddisfi la nostra curiosità. È il Signore che va a scovare un uomo anonimo come Abramo dalla sua marginalità. Perché proprio lui? E chi può dirlo? In tal senso, potremmo anche chiederci: perché il Signore sceglie proprio Maria di Nazareth al ruolo di Madre del Messa? Forse per la piccolezza, che accomuna i due personaggi? Forse!

Sta di fatto che Dio chiama Abramo, gli rivolge la sua parola autorevole: “vattene dalla casa di tuo padre”. Lo sradica dalle sue radici e dagli affetti, mentre gli fa delle promesse e gli apre prospettive nuove, una storia nuova. Abramo ascolta e accoglie la parola di Dio, si fida di lui e si pone in cammino per affrontare una esistenza illuminata unicamente da quella parola e da quella promessa. Che cosa promette il Signore ad Abramo? Tre grandi prospettive:
– una discendenza numerosa, così da formare un grande popolo;
– una benedizione, segno e garanzia di un’intimità particolare con lui e di una vita in pienezza;
– una terra da abitare.

Tutta la storia della salvezza sarà scandita dal progressivo realizzarsi di queste promesse. Abramo è chiamato a fidarsi e a sperare. Solo i suoi discendenti vedranno il realizzarsi sempre parziale e con frequenti ritardi di quelle promesse. Abramo riceve solo le promesse. Dio gli dice tutto, ma non gli dà nulla; piuttosto gli chiede di portare il peso; è un peso che schiaccia: la consapevolezza di una responsabilità universale, come se gli dicesse: “Guarda che la storia del mondo è affidata a te!”. A tale scopo, il Signore lo rende depositario di una benedizione rivolta innanzitutto a lui, ma destinata ad estendersi anche a tutti i popoli, proprio grazie a lui.
Questo è il senso pieno della vocazione di Abramo: la chiamata ad una paternità universale la cui portata egli scoprirà solo gradualmente, cammin facendo. E Abramo si fida del Signore che gli parla, dice il suo “sì”, il suo “eccomi” e si pone in cammino, in esodo, su strade tutte da esplorare. Vediamo come inizia a snodarsi il cammino di Abramo.

«Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot: Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carrai. Abram prese la moglie Sarài e Lot, il figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano acquistati in Carrai e tutte le persone che lì si erano procurate e si incamminarono verso la terra di Canaan. Arrivarono nella terra di Canaan e Abram la attraversò fino alla località di Sichem, presso la Quercia di Morè. Nella terra si trovavano allora i Cananei» (Gen 12, 4-6). Abramo parte con la moglie, il nipote, i servi e tutti i loro beni; attraversa la steppa e giunge nella valle fertile di Sichem, al centro di Canaan. Si ferma, si guarda intorno: nel paese si trovano i Cananei. È una terra occupata, abitata da altri. Proprio qui il Signore gli si fa vedere, finora aveva solo parlato: «Il Signore apparve ad Abram e gli disse: Alla tua discendenza io darò questa terra. Allora Abram costruì in quel luogo un altare al Signore che gli era apparso» (Gen 12,7).

Dio lo aveva chiamato ad andare verso una terra che gli avrebbe indicato, e ora che l’ha raggiunta c’è la conferma della promessa, ma con uno slittamento in avanti, uno spostamento verso la discendenza; infatti il Signore gli dice: «Alla tua discendenza io darò questo paese». La promessa è fatta ad Abramo, ma destinatari e beneficiari di quel dono saranno i discendenti: essi avranno la terra e saranno il popolo del Dio di Abramo. La notizia di questo slittamento è una sorpresa ed è motivo di delusione per Abramo; tuttavia egli non parla, tace e adora: Infatti in quel luogo costruisce un altare al Signore: un gesto di adorazione e, insieme, un atto di obbedienza. La seconda tappa del viaggio è Betel e Ai dove Abramo si ferma e pianta una tenda in un luogo sicuro tra le montagne. Anche qui costruisce un altare e invoca il nome del Signore. Con questa annotazione l’autore sacro presenta Abramo come il primo credente che osserva quello che sarà in futuro il comandamento di Dio: «Non avrai altri dei di fronte a me». Solo il Signore che lo ha chiamato e gli ha parlato è il suo unico referente, il suo unico Dio.

Abramo non ha ancora visto tutta la terra che gli è stata promessa e si rimette in viaggio verso sud, verso il deserto del Negheb, la terza tappa. Egli nel suo continuo piantare e levare le tende, appare mosso da un grande desiderio: giungere e fermarsi quanto prima nel luogo assegnatogli dal Signore. Tuttavia, appare evidente che il racconto di questo viaggio è, per Abramo, soprattutto un itinerario spirituale: egli impara a conoscere il suo Dio camminando, ponendosi in continuo esodo da sé e dalle sue certezze. Nonostante le promesse di Dio egli rimane un uomo sradicato, un nomade, un pellegrino, uno straniero. Quella terra promessa ai suoi discendenti, non sarà mai la sua terra, egli la percorrerà più volte dal nord al sud, da est ad ovest, senza mai possederla. Avrà in possesso solo un campo con una caverna, una proprietà sepolcrale che comprerà dagli Hittiti per seppellirvi la moglie (cfr. Gen 23). È la caverna di Malpela, di fronte a Mamre, dove anche lui sarà sepolto (cfr. Gen 25). Chiamato alla fede, Abramo vive di fede e nella fede muore, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli soltanto visti e salutati da straniero e pellegrino (cfr. Eb 11,8 -13).

3. Abramo costruttore di fraternità

Il Signore chiama Abramo a diventare padre di una moltitudine di popoli i quali dalla sua testimonianza ed esemplarità potranno scoprire la bellezza della fraternità che li lega gli uni agli altri e impegnarsi a realizzarla nella storia. Questa fraternità, infatti, Abramo per primo impara a viverla e a costruirla attorno a sé lungo tutto l’arco della sua esistenza. Mi propongo di fermare l’attenzione su alcuni episodi in cui Abramo sperimenta e tesse rapporti di fraternità:
– la pace ad ogni costo: «Non litighiamo, perché siamo fratelli»;
– l’ospitalità nell’accoglienza dei pellegrini a Mamre;
– l’intercessore a favore degli abitanti di Sodoma;

a) Abramo a Lot: «Non litighiamo perché siamo fratelli»

Il primo episodio riguarda il comportamento saggio di Abramo con il nipote Lot: «Dall’Egitto Abram risalì nel Negheb, con la moglie e tutti i suoi averi; Lot era con lui. Abram era molto ricco in bestiame, argento e oro. Abram si spostò dal Negheb fino a Betel e Ai, il luogo dove prima aveva costruito l’altare: lì Abram invocò il nome del Signore. Ma anche Lot, che accompagnava Abram, aveva greggi e armenti e tende, e il territorio non consentiva che abitassero insieme, perché avevano beni troppo grandi e non potevano abitare insieme. Per questo sorse una lite tra i mandriani di Abram e i mandriani di Lot. I cananei e i perizziti abitavano allora nella terra. Abram disse a Lot: Non vi sia discordia tra me e te, tra i miei mandriani e i tuoi, perché noi siamo fratelli. Non sta forse davanti a te tutto il territorio? Separati da me. Se tu vai a sinistra, io andrò a destra; ma se tu vai a destra, io andrò a sinistra. Allora Lot alzò gli occhi e vide che tutta la valle del Giordano era un luogo irrigato da ogni parte…Lot scelse per sé la valle del Giordano e trasportò le tende verso oriente. Così si separarono l’uno dall’altro. Abram si stabilì nella terra di Canaan e Lot si stabilì nelle città della valle e piantò le tende vicino a Sodoma» (Gen 13,1-12).

Il racconto può apparire un banale litigio tra pastori, ma il suo significato è più profondo. L’impossibilità oggettiva di condividere lo stesso territorio per il pascolo delle greggi di Abramo e quelle del nipote Lot impone una scelta: o il rischio di crisi nei rapporti, o la separazione. Abramo preferisce quest’ultima, perché reputa la pace come un bene più grande di qualsiasi altra cosa, più del guadagno, o di altro interesse economico. L’autore del libro dei Proverbi dirà: «Meglio un tozzo di pane secco in pace, che una casa piena di banchetti e di discordie» (Gen 17,1). Per questo Abramo dice a Lot: «Non vi sia discordia tra me e te, perché noi siamo fratelli»; mentre propone di separarsi: «Se tu vai a sinistra io andrò a destra; se tu vai a destra io andrò a sinistra». Per età e parentela, sarebbe spettato a lui il diritto a scegliere, ma lascia la scelta al nipote. Si mostra, in tal modo, generoso, altruista, fraterno. Abramo non sceglie, sarà Dio a donargli un territorio per lui e per i suoi discendenti: la terra di Canaan.

b) L’ospitalità nell’accoglienza dei tre pellegrini a Mamre

Abramo vive la fraternità e la spande attorno a sé con la sua ospitalità. Egli è uomo ospitale, e un giorno ha la ventura di accogliere Dio nella visita di tre uomini. Il racconto è al cap. 18: «Poi il Signore apparve ad Abramo alle querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo. Quelli dissero: Fa’ pure come hai detto. Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce. All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono» (Gen 18,1-8).

È l’ora più calda del giorno e Abramo sta seduto davanti alla tenda e fa la siesta, quando, alzando gli occhi, vede tre uomini in piedi presso di lui: sono tre pellegrini, tre ospiti che gli stanno davanti; Abramo è sorpreso, ma corre loro incontro, si prostra davanti a loro e dice: «Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti presso il tuo servo». Subito offre loro acqua per lavare i piedi impolverati, offre loro l’ombra e il riparo della quercia, il cibo e il riposo. Abramo mostra subito la sua qualità di uomo ospitale, di colui che vuole e sa accogliere i pellegrini: fa imbandire un banchetto e lui stesso serve gli stranieri restando in piedi davanti a loro che rimangono nel silenzio. I Padri della Chiesa, nei tre personaggi hanno visto raffigurato il mistero di Dio-Trinità, così come sarà poi rivelato solo nel N.T. L’iconografia ha assunto questo episodio come immagine visibile delle tre Persone divine che fanno visita all’umanità. Ad un certo momento i tre ospiti dicono ad Abramo: «Dov’è Sara, tua moglie? Rispose: è nella tenda» (Gen 18,9). Sara è rimasta all’interno della tenda: È donna; per questo non compare sulla scena e rimane nascosta. Ma partecipa ugualmente a tutta l’accoglienza, sia perché impegnata a preparare il pranzo per gli ospiti, sia perché ascolta tutto quello che si dice.

Allora il Signore riprese: «Tornerò da te tra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio. Intanto Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda dietro di lui. Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di sé e disse: Avvizzita come sono, dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio! Ma il Signore disse ad Abramo: Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? C’è forse qualcosa d’impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te tra un anno e Sara avrà un figlio. Allora Sara negò: Non ho riso!, perché aveva paura; ma egli disse: Sì, hai proprio riso» (Gen 18, 10-15). Il sorriso di Sara esprime stupore e un pizzico di incredulità; per questo nega di aver sorriso, e si preoccupa di difendersi. Non capisce, Anna, che il Signore non la sta rimproverando per aver sorriso, ma perché non ha sorriso di cuore, non ha sorriso abbastanza. Sara sta imparando solo adesso che ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio. Infatti l’anno dopo darà alla luce il figlio Isacco che significa “sorriso di Dio” (Gen 21,3).

c) Abramo l’intercessore

L’esperienza dell’incontro con Dio dilata il cuore di Abramo e lo rende intercessore per la salvezza dei fratelli. È quanto ci viene manifestato nella scena che segue la visita di Mamre. Terminata la visita del Signore, Abramo accompagna i tre uomini per congedarli fino alla collina da cui si contempla la città di Sodoma (cfr. Gen 18,16). Sodoma è la città della perversione che secondo un simbolismo presente in tutta la Bibbia, è raffigurazione del mondo nel suo stato di corruzione e di decadimento. Cosa succede nel mondo degli uomini? Il Signore si pone in viaggio per vedere da vicino e rendersi conto della situazione. In realtà egli è preoccupato; di fronte allo spettacolo dell’umanità che va alla deriva ed è preso da una grande tristezza. Il Signore ha fatto visita ad Abramo, ha apprezzato la sua ospitalità, e ora gli chiede di condividere la sua tristezza, il dolore che porta nel cuore. Pertanto dice tra sé: «Nasconderò ad Abramo ciò che sto per fare? … Io l’ho conosciuto!» (Gen 18, 17-19). Cioè io l’ho scelto, l’ho eletto, l’ho distinto! Egli è mio amico; tacerò all’amico i miei pensieri? Non è possibile! Il Signore allora rivela ad Abramo il progetto di distruggere Sodoma, la città peccatrice, mentre lo incoraggia a manifestare il suo parere.

Abramo, rivestito di tanta responsabilità, con audacia osa interloquire alla pari con Dio, l’amico! «Abramo si avvicinò al Signore e gli disse: Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia? Rispose il Signore: Se a Sodoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo. Abramo riprese e disse: Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque: per questi cinque distruggerai tutta la città? Rispose il Signore: non la distruggerò se ve ne troverò quarantacinque…» (Gen 18, 22-32).

Abramo è l’amico di Dio, e proprio in quanto tale, egli è anche l’amico del mondo. Per questo avverte la responsabilità d’intercedere a favore di Sodomia proprio lui che il Signore ha chiamato ad essere benedizione per tutte le genti. In forza di tale consapevolezza, egli avanza davanti a Dio la possibilità che in città ci siano cinquanta giusti, poi quarantacinque, poi quaranta, poi trenta, poi venti, poi dieci. E qui si ferma. Ma dieci giusti non ci sono a Sodoma! Perché Abramo si ferma a dieci? Perché non scende fino ad uno? Perché la sua intercessione ad un certo punto si arresta? Il testo non lo dice! La storia della salvezza andrà avanti, fino a giungere al momento in cui sarà individuata la presenza di un unico Giusto: Gesù Cristo il Figlio di Dio che opererà la salvezza di tutti con l’offerta della sua vita. Grande e consolante è la rivelazione contenuta in questa pagina biblica: il Signore, l’amico di Abramo, cerca amici che come lui, condividano la passione per la vita; cerca amici che intercedano per la salvezza di ogni brandello di umanità e di ogni fallito. Egli non salva solo i giusti, ma con il coinvolgimento fattivo e operoso e con la preghiera dei giusti, vuole salvare i peccatori e recuperare alla vita tutti i perduti e i senza speranza. Abramo, amico di Dio e amico degli uomini è il primo di questi giusti e, al tempo stesso, è padre e fratello di quanti, nello scorrere dei secoli, ne seguono le orme.

4. Abramo depositario e segno di benedizione

La benedizione di Dio è come un filo rosso che segna tutta l’esistenza di Abramo, qualifica ogni aspetto della sua missione e ne ricapitola tutta la fecondità. Basti pensare che nel racconto della sua vocazione il termine benedizione (berakah) ricorre ben cinque volte: «Ti benedirò… sarai una benedizione… benedirò coloro che ti benediranno… in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra». Cos’è la berakah? Nella Bibbia la benedizione è un dono che riguarda innanzitutto la qualità della vita; è indice di pienezza di vita. Il senso etimologico del termine è “forza salutare”, “forza generatrice”, noi diremmo “fecondità” in senso ampio. Ne troviamo conferma nel comando che il Creatore rivolge alla prima coppia umana: «Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra» (Gen 1,28). La forza della berakah è, quindi, un’energia vitale che promana da Dio e si esplicita nello spirito e nel corpo delle creature umane in una condizione di benessere, di salute, di pace, di abbondanza di beni e di gioia; proprio perché il desiderio di Dio nel benedire è quello di far fiorire la vita in tutte le sue dimensioni.

Come abbiamo visto, la benedizione è il primo dono che Dio fa ad Abramo nel momento stesso in cui lo chiama. L’autore sacro non rivela la ragioni della predilezione divina nei suoi confronti. Ma un’indicazione ce la offre: la prontezza e la radicalità con cui Abramo obbedisce alla parola che gli viene rivolta: «Egli credette nel Signore», dice il testo (Gen 15,6). Il segreto di Abramo è, dunque, la sua fede, una fede pura e assoluta, una fede radicale che cresce con lui camminando nei sentieri – spesso tortuosi e ardui – che il Signore gli propone, mentre lo rende suo amico e confidente. Soprattutto lo costituisce depositario di una benedizione che riguarda innanzitutto la sua persona, ma non solo, infatti la benedizione a lui donata è destinata ad abbracciare tutta l’umanità: «In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,3). Questa espressione biblica non ha una valenza solo metaforica, non è un semplice modo di dire; ne dà conferma il card. Martini che scrive: «Le parole: “in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra” vanno interpretate in senso forte e pregnante: in te tutti saranno benedetti, cioè tu sarai causa di benedizione per tutti». E questo perché Dio stesso ha reso Abramo parte integrante del suo progetto di salvezza universale.

Possiamo immaginare la grande fatica che Abramo ha dovuto fare per entrare un una tale dimensione, in un ruolo che superava totalmente le sue attese e i suoi orizzonti esistenziali. Il Signore stesso – mentre gli manifestava le responsabilità di cui lo rivestiva – si è impegnato ad educarlo gradualmente e lo ha introdotto nella sua logica, nelle sue priorità e nel suo stile di operare. E così, Abramo “amico di Dio”, pian piano si è sentito chiamato a diventare “amico del mondo, amico degli uomini”, e ha ritrovato in sé quella che E. Lévinas chiama “il coraggio di Abramo”. Si direbbe che egli dica a se stesso: se il Signore mi rende dispensatore della sua benedizione per tutte le genti, è segno che mi abilita anche ad intervenire presso di lui in ogni questione riguardante l’umanità. E così, quando il Signore gli rivela il suo progetto su Sodoma, Abramo – che pure sa di non essere che polvere e cenere – trova l’ardire di intercedere davanti a lui a favore della città peccatrice.

Un bellissimo midrash della tradizione ebraica paragona Abramo ad un vasetto di olio profumato. Finché il vasetto rimane fermo e sigillato, non se ne può sentire il profumo. Ma una volta smosso dal suo posto e aperto, emana la sua fragranza che profuma tutto l’ambiente. Era dunque necessario che Abramo lasciasse la sua terra per portare al mondo il profumo della benedizione di Dio. E io aggiungo: tale peregrinazione di Abramo sulle vie del mondo non è conclusa; continua ancora oggi con il suo appello alla convivenza pacifica e fraterna rivolto a tutti i popoli, in particolare ai suoi figli ebrei, cristiani e musulmani, come Papa Francesco e l’Imam Al-Tayyeb hanno auspicato nel loro incontro del febbraio 2019.

P. Aurelio Antista
Mercoledì della Bibbia 2022, Fraternità Carmelitana di Barcellona Pozzo di Gotto

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