Amate i vostri nemici

Se vuoi la pace, disarma le relazioni: un percorso biblico per aiutarci a diventare costruttori di relazioni umane. Parte 5

L’amore dei nemici, forse, costituisce uno degli elementi più originali del vivere cristiano. Gesù l’ha proposto in modo chiaro e deciso. Ma, mi sembra doveroso precisare che l’invito ad amare i nemici è presente già nell’Antico Testamento. Non per niente a premessa della nuova legge che Gesù espone nel discorso della montagna di Matteo viene posto l’avviso: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento” (Mt 5,17). Gesù da compimento attraverso il suo vissuto e donando a noi il suo respiro perché la sua passione di amore passi nei nostri cuori.

1. L’amore al nemico nell’Antico Testamento

Ma, ripeto, già nella legge mosaica sono prescritti atteggiamenti che suppongono il superamento dell’odio per il nemico, perché si esige l’aiuto di queste persone. Per esempio nel libro dell’Esodo è detto: «Quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai ricondurre. Quando vedrai l’asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non abbandonarlo a se stesso: mettiti con lui a scioglierlo dal carico» (Es 23,4-5). Poi nei libri sapienziali è prescritto: «Se il tuo nemico ha fame, dagli pane da mangiare, se ha sete, dagli acqua da bere, perché così ammasserai carboni ardenti sul suo capo e il Signore ti ricompenserà» (Pr 25,21-22).

Merita particolare attenzione l’esortazione del Siracide a bandire dal cuore l’odio, a perdonare le offese ricevute, a non conservare risentimento e rancore, per ottenere la remissione dei propri peccati: «Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore? Lui che non ha misericordia per l’uomo suo simile, come può supplicare per i propri peccati? Se lui, che è soltanto carne, conserva rancore, chi espierà per i suoi peccati? Ricordati della fine e smetti di odiare, della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti. Ricorda i precetti e non odiare il prossimo, l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui» (Sir 28,2-7). Inoltre nell’AT alcuni giusti hanno saputo perdonare e amare persone che li hanno odiati e perseguitati. Giuseppe odiato dai fratelli fino al punto di volerlo uccidere, e poi venduto ai madianiti (Gen 37,4ss. 28ss.), quando la sua avventurosa vita aveva raggiunto l’apice della gloria, perché costituito governatore e viceré di tutto l’Egitto, poteva vendicarsi con grande facilità contro i suoi crudeli fratelli, invece li perdonò, anzi cercò di scusare il loro peccato e li aiutò generosamente (Gen 5,1ss.; 50,19ss).

Anche la storia di David appare molto edificante in fatto di amore per i nemici. Questo giovane pastore dopo aver compiuto imprese eroiche a favore del suo popolo, fu odiato da Saul per il suo crescente prestigio; anzi questo re tentò varie volte di ucciderlo scagliandogli contro la sua lancia (1Sam 18,6-11; 19,8ss.) lo perseguitò e lo braccò (1Sam 23, 6ss. 19ss.; 26,1ss.). Durante queste campagne per catturare e uccidere il suo nemico David, Saul poteva essere facilmente conficcato a terra con un colpo di lancia, ma David lo risparmiò, nonostante l’invito dei suoi uomini di vendicarsi del suo rivale (1Sam 24,4-16; 26,6-20). Un esempio commovente è la reazione di Saul all’azione non-violenta di Davide: «E Saul, alzando grida, pianse. Poi disse a Davide: “Tu sei più retto di me, perché tu mi hai reso del bene, mentre io ti ho reso del male”» (1Sam 24, 18). (B.H. 66-67)

2. La proposta e l’esperienza di Gesù

Nel NT Gesù vieta esplicitamente l’odio contro i nemici, anzi comanda esplicitamente di amare i nemici: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,43-48). Gesù propone quello che Lui sta vivendo nella sua vita e vivrà, in modo particolare, durante la passione. Dalla croce, Gesù prega il Padre e invoca il perdono per i suoi crocifissori: «Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”» (Lc 23,33-34).

3. L’invito di Gesù nell’esperienza e negli scritti dei primi discepoli

Non solo Gesù ma anche i suoi più autorevoli discepoli vivono ed esortano ad amore i nemici. È molto significativa, per esempio, l’esperienza di Stefano che mentre viene lapidato fa sua la passione di amore di Gesù: «Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». Allora, gridando a gran voce, si turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E lapidavano Stefano, che pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce: «Signore, non imputare loro questo peccato». Detto questo, morì» (Atti. 7,59-60).

L’esempio del Cristo deve essere il modello di condotta di tutti i suoi discepoli, per cui Pietro nella sua prima lettera esorta i fedeli non vendicarsi delle offese, ma a comportarsi con mitezza e bontà anche verso i malvagi: «E infine siate tutti concordi, partecipi delle gioie e dei dolori degli altri, animati da affetto fraterno, misericordiosi, umili. 9Non rendete male per male né ingiuria per ingiuria, ma rispondete augurando il bene. A questo infatti siete stati chiamati da Dio per avere in eredità la sua benedizione» (1Pt 3,8-9). Anche Paolo esorta: «Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. […] Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti» (Rm 12,14. 17-18).

Il cristiano, ci ricorda ancora Paolo, deve saper perdonare il nemico che avesse attentato al suo onore e perfino alla sua vita, avendo egli sperimentato in sé la misericordia di Dio: «Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto» (Col 3,12-14). Nell’epistolario del NT troviamo quindi chiare esortazioni all’amore del nemico, ad evitare la vendetta e a benedire chi maledice. Gesù, si contrappone alla prassi dominante dell’odio per i nemici, propone di amare i nemici e di pregare per i persecutori (Mt 5,44). Solo così si diventa figli di Dio, il quale non esclude nessuno dal suo cuore e concede i sui favori a tutti (Mt 5,45 cf anche Lc 6,35). Vivendo il precetto dell’amore universale che abbraccia anche i nemici e i persecutori, ci si comporta come il Padre celeste e si raggiunge la perfezione (Mt5,48).

4. È possibile per noi vivere amando i nemici?

Considerando la nostra fragilità, a volte ci chiediamo un po’ tutti: è realmente possibile amare il nemico, e amarlo mentre manifesta la sua ostilità e inimicizia, il suo odio e la sua avversione? È umanamente possibile tale scandalosa simultaneità? Un comando così chiaro del Signore Gesù, di voler bene a chiunque trama contro di noi, di fare del bene a chi opera per la nostra rovina, appare per lo meno sconcertante per la nostra reazione naturale. L’accoglienza e la pratica di questo precetto del Signore spesso esige eroismo, perché l’odio spontaneamente genera odio, ingiuria con ingiuria, offesa con offesa… Da qui l’importanza di assimilare l’insegnamento di Gesù sull’amore anche per i nemici e soprattutto accogliere il suo Spirito che ci rinnova il cuore e ci abilita ad amare i nemici. Questo nuova disposizione in noi è frutto di un cammino. Ci aiuterà in questo cammino il prendere consapevolezza che Dio ci ama per primo, anche nella nostra fragilità e nel nostro peccato. Su questa esperienza di fede occorre innestare la progressività di una maturazione umana che conduce ad acquisire il senso positivo dell’alterità, la capacità dell’incontro, della relazione e quindi dell’amore anche verso il nemico.

Si tratta allora di aprire il nostro cuore al Signore Gesù che dalla croce consegna il suo respiro al Padre, ma anche a noi: «Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: “È compiuto!” E chinato il capo consegnò lo spirito» (Gv 19,30). Gesù consegna il suo spirito al Padre, ma anche a noi perché anche noi possiamo vivere animati dal suo amore anche verso i nemici. Tale amore, quindi, non è opera dell’uomo, ma dono di Dio per mezzo dello Spirito santo che ci è donato, ce lo ricorda anche Paolo: «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,5-8).

5. La preghiera spazio in cui veniamo educati a disarmare il nostro cuore e ad amare i nemici

Perché la fatica di amare i nemici sia possibile è indispensabile ciò che sempre è ricordato dai Vangeli accanto al comando di amare i nemici, e cioè la preghiera per i persecutori, l’intercessione per gli avversari: «Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori» (Matteo 5,44). Se non si assume l’altro – e in particolare l’altro che si è fatto nostro nemico, che ci contraddice, che ci osteggia, che ci calunnia – nella preghiera, imparando così a vederlo con gli occhi di Dio, nel mistero della sua persona e della sua vocazione, non si potrà mai arrivare ad amarlo! Perché, deve essere chiaro, l’amore del nemico è questione di profondità di fede, di intelligenza del cuore, di ricchezza interiore, di amore per il Signore, e non semplicemente di buona volontà! Per questo è necessario pregare per accogliere il dono di Dio nel nostro cuore. Lasciarci coinvolgere da Gesù e irradiare il suo volto non è un fatto automatico, ma è frutto, ripeto, di un itinerario di conversione che va coltivato nella preghiera, spazio in cui veniamo educati a disarmare il nostro cuore, perché il primo nemico da vincere in modo non violento è dentro di noi.

Proprio per questo Gesù ci esorta: «Pregate sempre senza stancarvi (incattivirvi – comportarvi male» (Lc 18,1). Pregare, ovviamente, non è recitare parole per convincere Dio a fare ciò che noi desideriamo, non è “dire preghiere”. Gesù ce lo ricorda esplicitamente: «Pregando, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate» (Mt 6, 7-8). Pregare è esperienza in cui creiamo uno spazio a Dio, lo ascoltiamo e veniamo liberati dal nemico che è dentro di noi. È l’aprirgli una finestra sulla nostra volontà, uno sforzo per farlo diventare il Signore della nostra vita. Pregare, quindi è lasciarsi plasmare da Dio con tutte e due le sue mani, il Verbo e lo Spirito Santo. «La preghiera – ci ricorda l’archimandita Sofronio – ridesterà in noi quell’alito divino che “Dio ha soffiato in Adamo” e grazie a cui “Adamo è divenuto un essere vivente” (Gen 2,7)».

Si tratta, allora, pregando, di mettersi in ascolto di Dio Padre-madre che ci ama e ci guarda con tenerezza, ci illumina, ci perdona. Egli attraverso il profeta Isaia, ci ricorda: «Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò» (Is 66,13). Nella preghiera, per esempio i monaci di Tibirhine (in Algeria) in un periodo molto difficile cercano di lasciarsi coinvolgere nel dinamismo dell’Amato, lo supplicano perché sia Lui a disarmare il loro cuore, in un periodo molto difficile, in cui il nemico attenta alla loro vita. Di fatto insieme decidono di rimanere. È importante, allora cercare di capire perché questi monaci (e non sono gli unici) hanno deciso di “resistere” continuando a vivere la loro esperienza evangelica in un territorio sempre più segnato dalla violenza e dalla morte.

C’è una lettera di fratel Luc, del 24-3-1996, qualche giorno prima del loro rapimento-sequestro, che ci fa intravedere la radice profonda della loro scelta, egli scrive: «Io non credo che la violenza possa estirpare la violenza. Noi non possiamo vivere da uomini se non accettando di diventare immagine dell’Amore, così come si è manifestato nel Cristo che, pur essendo giusto, ha voluto subire la sorte degli ingiusti». Questa scelta di restare in Algeria trova, quindi, la sua radice profonda nel desiderio di essere testimoni di un Amore che si è fatto carne, così riflette, anche fratel Christian nella quaresima del 1996: «Dobbiamo trovare nell’incarnazione le vere ragioni della nostra presenza pasquale in Algeria».

6. Gesù guariscimi dalla violenza nascosta in me

Non basta, ovviamente, restare, ma, in un contesto di violenza bisogna ogni giorno vegliare perché la cultura della morte non getti la sua ombra sul monastero e nel cuore di ogni monaco. Di questa necessità essi sono convinti. Nel suo Diario fratel Christophe registra: «Fratel Luc alla Preghiera universale: Signore facci la grazia di morire senza odio nel cuore» (è il 31-12-1993). Qualche giorno dopo registra ciò che sgorga dal suo cuore: «Gesù guariscimi dalla violenza nascosta in me: la bestia. Umanizzami secondo le tue beatitudini» (D. 13-1-94, p. 40). Alcuni mesi dopo sente il bisogno di ribadire: «Ieri prendendo il Calice avevo la sensazione di quanto questo gesto mi compromettesse: bere il Sangue della non violenza. Ci sono ancora troppe aderenze alle forze omicide in me» (D. 10-10-94, p. 113). All’inizio del 1995, tutta la comunità invoca il dono della pace e della reazione non-violenta: «Ieri sera durante il capitolo, scambio vero sulla violenza e la non violenza. […] E a poco a poco è stato necessario dire disarmami, disarmaci» (D. 1-3-95, p. 142).

Il contesto dove i pregiudizi sono smascherati, dove si stempera la violenza e gradualmente si converte in atteggiamento nonviolento e di amore, è la preghiera liturgica e il silenzio orante. È in questa esperienza che ci si apre all’impossibile dell’Amore più grande che apre il cuore al perdono: «I nostri nemici Tu li consegni tra le nostre mani, aperte, di oranti. / Tu ci affidi il Perdono, nella forza del tuo Spirito di verità / al fine di inserirlo qui, nella storia dell’Algeria / al fine di inscriverlo come nostro contributo cristico / al suo risollevamento» (D. 19-1-94, p. 45).

7. Atteggiamenti da coltivare

1) Liberarsi dalla paura ed essere determinati dall’amore

Chi si lascia animare dal soffio di Dio comincia a guardare con fiducia all’altro e scopre che c’è del bene nell’altro, anche nel nemico, si tratta di risvegliarlo. A partire da questa consapevolezza cercherà di non demonizzare nessuno e, liberandosi dalla paura, cercherà, nel confronto coll’altro, di lasciarsi determinare positivamente dall’amore, facendo propria la convinzione di Gandhi: «È un articolo di fede che nessun uomo è caduto tanto in basso da non poter esser redento mediante l’amore». «Questo amore riconciliatore – scriveva B. Häring – è una medicina aggressiva ed efficace, che cerca di vincere alla radice l’ingiustizia e la mancanza di amore. Martin Luther King illustrò bene questa verità, quando diede senza stancarsi ai bianchi e ai ricchi, prigionieri della loro follia razziale, questa assicurazione: qualunque cosa ci farete, noi non cesseremo mai di amarvi fintanto che non avremo liberato anche voi per l’amore e per la giustizia». Perdonando e amando si aiuta l’altro a scoprire che anche lui è figlio amato e c’è anche in lui un fondamento buono.

2) La correzione fraterna (Mt. 18,15-20)

L’amore del nemico non va confuso con la complicità con il peccatore! Anzi, proprio la libertà di chi sa correggere e ammonire chi compie il male nasce dalla profondità della fede e da un amore per il Signore che sono la necessaria premessa per l’amore del nemico. Gesù stesso ci ricorda: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello» (Mt 18,15). Gesù riprende Giuda: “amico con un bacio tradisci il tuo maestro”. E a chi lo percuote sulla guancia dice: se ho detto male dimostrami il male se ho detto bene perché mi percuoti? La correzione fraterna, in Mt, è vista come realtà che nasce dal cuore di Dio che «non vuole che si perda neppure uno» (Mt 18,14), per cui si prende cura e si fa carico di chi sbaglia, e lo corregge: «JHWH corregge chi ama» (Pr 3,12; Ap 3,19). Ebbene, Dio coinvolge chiunque è abitato dal suo amore a rovesciare la frase insolente di Caino e a riconoscere che «ciascuno è il custode di suo fratello». Per Matteo, quindi, la correzione fraterna è docilità al soffio ricreatore dello Spirito, donato nel battesimo. S. Basilio ci ricorda: «È più spietato chi lascia andare e trascura di chi rimprovera».

La correzione fraterna ha come primo scopo quello di instaurare un sincero rapporto cordiale, di pace oltre i limiti di ciascuno. «Chi riprende a viso aperto procura pace» (Pr 10,10) ci ricorda la Sapienza, e Cromazio di Aquileia, facendole eco, evidenzia che con la correzione fraterna si salva il fratello, e precisa che «agire così vuol dire davvero amare i fratelli ed essere uomini di pace». E in effetti, al di là della sofferenza iniziale che provoca il dover riprendere e l’accettare la correzione, il risultato è quello della crescita autentica, dell’unità e della pace. Attraverso la correzione fraterna si acquisisce una maggiore libertà interiore e un’intesa con l’altro o col gruppo a livello più alto, maturo e luminoso. La correzione fraterna è attività spirituale e come tale può essere messa in atto da persone che adottano un procedimento alla luce dello Spirito (Gal 6,1). Ciò vuol dire in concreto che chi deve praticare la correzione fraterna deve operare un serio discernimento sulle motivazioni del suo gesto (Gal 6,1.4), in modo che sia purissimo gesto di carità. «Mai dobbiamo intraprendere la correzione di una colpa altrui – ci ricorda Agostino – se prima non abbiamo esaminato la nostra coscienza, l’abbiamo interrogata e ci siamo dati con sincerità davanti a Dio questa risposta: lo faccio per amore!».

7. Per concludere: il sorriso di don Pino Puglisi

Dicevamo prima che perdonando e amando si aiuta l’altro a scoprire che anche lui è figlio amato e c’è anche in lui un fondamento buono. Mi piace concludere questa mia riflessione riportando la testimonianza di chi ha ucciso don Pino Puglisi e (uno dei killer più spietati di mafia, ha confessato 46 omicidi). Testo ripresa da una intervista a Famiglia Cristiana nel 1999:

E arrivaste a quella sera.
«Lo avvistammo in una cabina telefonica mentre eravamo in macchina. Andammo a prendere l’arma. Toccava a me. Ero io quello che sparava».

Era nervoso, guardingo?
«No. Era tranquillo. Che era il giorno del suo compleanno lo scoprimmo dopo. Spatuzza (un componente del commando che lo uccise, ndr) gli tolse il borsello e gli disse: padre, questa è una rapina. Lui rispose: me l’aspettavo. Lo disse con un sorriso. Un sorriso che mi è rimasto impresso».

Il sorriso di un santo?
«Non ho esperienza di santi. Quello che posso dire è che c’era una specie di luce in quel sorriso. Un sorriso che mi aveva dato un impulso immediato. Non me lo so spiegare: io già ne avevo uccisi parecchi, però non avevo mai provato nulla del genere. Me lo ricordo sempre quel sorriso, anche se faccio fatica persino a tenermi impressi i volti, le facce dei miei parenti. Quella sera cominciai a pensarci, si era smosso qualcosa».

Lei dice di essersi convertito.
«Vede, io c’ho questa convinzione: che a me non mi crederà nessuno. Io sto cambiando, devo cambiare, ma voglio che siano i fatti a far parlare me. Mi piacerebbe essere a Palermo il 15 settembre per l’anniversario della morte di Puglisi. Ma a me queste cose non piace dirle, perché penseranno che sono un ipocrita. Lo Stato poi dovrebbe aiutare chi può cambiare. In questo carcere, ad esempio, mi hanno negato persino un prete. Come si fa a cambiare? Per cambiare bisogna essere aiutati. Per questo sono molto grato a padre Mario, una persona squisita».

P. Alberto Neglia
Mercoledì della Bibbia 2023, Fraternità Carmelitana di Barcellona Pozzo di Gotto

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