Con la pandemia sono aumentate le occupazioni illegali di terreni per l’agricoltura e l’allevamento, assieme a violenze e deforestazione.
Con la pandemia sono aumentate le occupazioni illegali di terreni per l’agricoltura e l’allevamento, assieme a violenze e deforestazione.
Nelle aree amazzoniche e pre-amazzoniche del Brasile sono stati registrati, tra gennaio e agosto 2021, oltre quattrocento furti di terreni, ovvero due al giorno, che avevano l’obiettivo di estendere le coltivazioni intensive di eucalipto, soia, miglio, riso e gli allevamenti principalmente per produrre beni da esportare. Come rivela la Commissione pastorale della terra legata alla Chiesa, con l’emergenza sanitaria conseguente alla pandemia e la riduzione dei controlli c’è stato un incremento di queste occupazioni illegali, che, secondo l’Instituto socioambiental, dal 2018 sono cresciute del 56%. Si spiega così il dato che dice che la deforestazione è aumentata, tra il 2018 e il 2020, del 63%.
Su Avvenire si legge che il sistema di rapina si basa sul grilagem, la falsificazione dei certificati di proprietà di terreni in genere pubblici o appartenenti a comunità locali, talvolta anche protetti, da parte di latifondisti con la connivenza diretta o indiretta delle autorità. Questo è cresciuto addirittura del 118%. Ma la situazione potrebbe peggiorare, in quanto c’è una proposta di legge del responsabile delle Questioni fondiarie Luiz Antônio Nabhan García, uomo di fiducia del presidente Jair Bolsonaro, che potrebbe dare ai grandi proprietari la facoltà di registrare la terra con una semplice autocertificazione.
Purtroppo, questi meccanismi di saccheggio portano nuove violenze. L’anno scorso ci sono stati ventisei omicidi connessi ai conflitti agricoli, che vedono le comunità contadine da una parte e i fazendeiros dall’altra e rimangono perlopiù senza colpevole. Un terzo di essi è avvenuto nel Maranhão, che ha leggi ancora più permissive rispetto a quelle nazionali, lo stato più colpito assieme a quelli di Pará e Rondônia. Ad esempio a Cedro, nella periferia di Ararí, dal 2020 quaranta famiglie sono bersaglio di assassinî mirati, anche di padri e figli, perché osano rimuovere le recinzioni poste cinque anni fa in maniera arbitraria per creare pascoli per bufali. Le autorità non hanno mai fatto niente a seguito delle loro segnalazioni, ma sono state sollecite ad arrestare i locali denunciati per atti vandalici.
Nel quilombo di Santa Rosa dos Pretos, dove vive legalmente una comunità di quattromila discendenti dagli schiavi africani che lavoravano nelle piantagioni, il rischio di esproprio della terra è ciclico. Se cinque anni fa degli uomini erano arrivati con le ruspe per abbattere gli alberi e creare campi e un’autostrada, che gli abitanti erano riusciti a respingere, a marzo del 2020 altri si erano presentati con una licenza ambientale, probabilmente falsa come i titoli di proprietà, che non hanno voluto mostrare. Purtroppo la fertile zona, nel cuore del Maranhão, collega due frontiere dell’agrobusiness brasiliano: il Cerrado, la savana tropicale che crea un cuscinetto fondamentale per la sopravvivenza della foresta limitrofa, e l’Amazzonia.
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