Crescono ancora le condanne a morte nel mondo

La nota di speranza è che le esecuzioni capitali si concentrano in sempre meno Paesi.

Nel 2023 si è verificato il maggior numero di condanne a morte da quasi un decennio a questa parte, ma eseguite dal minor numero di Paesi mai registrato. Ciò significa che l’uso di questa punizione letale continua a salire, ma viene portato avanti da Stati sempre più isolati nel panorama globale. Lo afferma Amnesty International nel suo ultimo rapporto sulla pena di morte nel mondo, basato su dati ufficiali, sentenze, notizie provenienti da condannati e rappresentanti legali, resoconti giornalistici e indagini di organizzazioni della società civile. Le informazioni non ufficiali riguardano quelle nazioni in cui i governi non rendono pubblici i dati, come la Cina, dove presumibilmente avvengono migliaia di condanne ed esecuzioni.

Amnesty ha registrato 2.428 nuove condanne avvenute l’anno scorso, con un aumento del 20% rispetto al 2022. Importanti incrementi ci sono stati in Nigeria, Iraq, Bangladesh, Egitto e Kenya, mentre diminuzioni significative hanno riguardato India, Repubblica Democratica del Congo, Tunisia, Myanmar e Algeria. Poi, se cinque nazioni non hanno più ricorso alla condanna a morte (Bahrain, Comore, Sudan, Sudan del Sud e Zambia), altre cinque hanno purtroppo ripreso questa pratica (Bielorussia, Camerun, Giappone, Marocco/Sahara occidentale e Zimbabwe).

Per quanto riguarda le esecuzioni capitali, c’è stata una crescita del 31%: dalle 883 del 2022 si è passati alle 1.153 del 2023. È il numero più alto dal 2015, dovuto principalmente agli almeno 853 casi (in particolare legati a reati di droga) avvenuti in Iran, dove l’aumento dall’anno precedente corrisponde a circa il 50%. Esclusi Cina, Corea del Nord, Afghanistan, Vietnam, Siria e Palestina, di cui non si hanno dati certi, l’Iran ha rappresentato il 74% di tutte le esecuzioni registrate, mentre l’Arabia Saudita il 15% (172). Vengono poi Somalia, Stati Uniti d’America, Iraq, Yemen, Egitto, Bangladesh, Kuwait e Singapore.

Le uccisioni legalizzate sono avvenute in soli sedici Paesi, il numero più basso mai registrato da quando Amnesty ha iniziato a fare il monitoraggio. L’anno scorso Bielorussia, Giappone, Myanmar e Sudan del Sud non hanno eseguito condanne a morte, come invece avevano fatto nel 2022. Segnali positivi ci sono anche dall’abrogazione di questa pena in Malesia e anche in Pakistan per reati legati alla droga, oltre che dalla sua rimozione dai codici penale e militare in Ghana. Nonostante i numeri globali siano da considerare per difetto, la lotta alla pena di morte sembra portare qualche risultato.