Anna, la madre del profeta Samuele

Primo appuntamento degli approfondimenti sul tema “Sapienza e intraprendenza al femminile. Donne nella Bibbia”.

Vi proponiamo la relazione del primo incontro dell’edizione 2020 dei Mercoledì della Bibbia della Fraternità Carmelitana di Barcellona Pozzo di Gotto, quest’anno dedicata al tema “Sapienza e intraprendenza al femminile. Donne nella Bibbia”.

Una figura femminile affascinante e significativa del Primo Testamento è certamente Anna, la madre di Samuele. Il periodo storico che la vede protagonista nel popolo di Israele risale al sec X. La fonte da cui attingiamo le notizie è una sola: la Bibbia e segnatamente il Libro di Samuele. Israele vive un tempo di transizione, quando il passato non è ancora tramontato e il futuro non lo si intravede con chiarezza: siamo nel passaggio dall’era dei Giudici all’insorgere di due istituzioni fondamentali per Israele: la Monarchia e la Profezia. Questo periodo di crisi vede come protagonista Samuele, una personalità carismatica di grande spessore. Egli sarà un grande Profeta e introdurrà in Israele la Monarchia con la consacrazione di Saul, primo re e di David, il re secondo il cuore di Dio.

1. La famiglia di Alkanà

La tradizione biblica spesso attesta che all’origine di personaggi che hanno una vocazione particolare nella storia della salvezza, c’è un intervento diretto di Dio: ad esempio, il dono della maternità ad una donna sterile. È appunto, il caso della nostra Anna, la cui figura occupa i primi due capitoli di 1Sam. Il racconto si apre con la presentazione di Elkanà, un personaggio sconosciuto, al quale tuttavia viene data un’importanza particolare: è presentato come un uomo ricco e importante, con una lunga genealogia: uomo di Ramatàim (o Rama), un Sufita delle montagne di Efraim. Elkanà ha due mogli: Anna e Peninnà; quest’ultima ha figli e figlie; Anna, invece, ne è priva. Ma il marito ama più Anna che Peninnà. Di Anna, nel testo biblico non si dice mai che è “sterile”, come Sara, o Rebecca, come Rachele, come la madre di Sansone, e poi nel NT come Elisabetta. Di Anna, l’autore dice, per ben due volte, che “non aveva figli, perché il Signore aveva chiuso il suo grembo” (1Sam 1,2.5).

La maternità è un tema rilevante nella Bibbia: i figli sono visti come un dono di Dio, un segno della sua benedizione, la speranza di un futuro che supera il limite della morte: sono loro che possono portare a compimento quanto iniziato dal padre e dalla madre, ed è nella loro vita, che, in qualche modo, continua quella dei genitori. Per queste ragioni essere sterili è avvertito come una disgrazia, la conseguenza dello sfavore divino. La donna che non genera, pertanto, patisce vergogna, è considerata insignificante e priva di valore. Così è per Anna.

Sebbene amata dal marito lei vive la sua condizione di sterilità come un dramma grande e tanta sofferenza. A tutto questo si aggiunge l’ostilità di Peninnà la quale, forte della sua superiorità, a motivo dei figli, non perde occasione per affliggere Anna con durezza, facendole pesare la sua condizione. Ogni anno Elkanà si reca in pellegrinaggio con tutta la famiglia al Santuario di Silo dove si trova l’Arca del Signore, per prostarsi e offrire sacrifici di comunione. In questa atmosfera è ambientato il momento culminante della storia di Anna, in cui lei sperimenta un cambiamento radicale nella sua vita.

2. Il voto di Anna

Nel contesto di uno dei pellegrinaggi annuali, puntualmente si ripresentata la stessa scena: Peninnà torna a mortificare Anna per la sua sterilità. Questa, invece, non ribatte, ma si chiude in sé, sfoga la sua sofferenza in un pianto silenzioso e nel rifiuto di prendere cibo. In realtà, però, anche Peninnà vive una condizione di donna infelice e scontenta. Il marito, infatti, non le mostra né affetto, né attenzioni. Ai suoi occhi, lei è priva di un reale valore, è utile solo perché feconda, perché gli ha dato dei figli. E così, la gelosia e la mortificazione che Peninnà riversa su Anna sono un modo con cui lei manifesta e sfoga il suo disagio.

La scelta di Anna è un’altra: lei, pur provando una grande afflizione interiore, non risponde alle offese, perché si rende conto che reagire agli insulti o rinfacciare alla rivale di non essere amata dal marito significherebbe innescare una catena di offese e rivalse senza fine che non gioverebbe a nessuno. Pertanto, lei non mette in atto alcun gesto di violenza in risposta all’umiliazione e al disprezzo. Anna non si mette in competizione ma sceglie di fermare l’offesa su di sé, di patirla, per non espanderla facendo crescere il suo dolore.

La stessa modalità Anna la assume nei confronti del marito. Elkanà, infatti, non si rende conto che le parole consolatorie che rivolge alla moglie, sono vacue, anzi irritanti: “Anna, perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di 10 figli?” (1Sam 1,8). Egli, pur amando la moglie, non riesce ad entrare in sintonia con la sua sofferenza interiore e la delusione per la mancanza di un figlio. Non si rende conto che il desiderio della maternità è altro rispetto all’amore del marito. E questo non può surrogare l’altro, non può sostituirlo! Anna, quindi, disprezzata dalla rivale e non compresa dal marito, si chiude in un muto isolamento.

E intanto – senza che se ne accorga – la rinuncia a reagire diventa in lei una vera forza che la spinge a sognare un futuro diverso: decide di aprire il cuore al Signore, sicura di non essere fraintesa né delusa. Si alza ed entra nel Santuario, “Ella – dice l’autore sacro – aveva l’animo amareggiato e si mise a pregare il Signore piangendo dirottamente. Poi fece questo voto: Signore degli eserciti, se vorrai considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me, se non dimenticherai la tua schiava e darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita” (1Sam 1,10-11).

Ponendosi alla presenza di Dio, Anna va’ al cuore della sua povertà, la accoglie senza subirla, senza attribuire ad altri la responsabilità della sua situazione, e osa nutrire sogni, speranze e desideri che, essendo umanamente impossibili, domandano l’intervento del Signore. Apre il suo sguardo e il suo cuore al Dio dell’Alleanza, lasciando che sia Lui a saziare il suo desiderio di fecondità, di futuro, di senso e lo realizzi al di là di ogni umana attesa. La preghiera di Anna è così sorprendente e al di fuori di ogni logica, per il fatto che lei davanti al Signore non si limita a chiedere un figlio, ma va’ oltre, si sbilancia troppo: si impegna con giuramento di ri-donare al Signore il figlio che sta chiedendo in dono: “se vorrai…ricordarti di me…e darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita” (v. 11).

Ci saremmo aspettati che nel giuramento si impegnasse a fare un’offerta straordinaria, un sacrificio oneroso, ma non di privarsi del figlio, dopo averlo ottenuto in dono! La sua scelta, quindi, mostra che Anna non chiede il figlio solo per soddisfare il suo desiderio di maternità, ma lo chiede per ri-donarlo al Signore perché faccia di lui quel che vuole, perché questo figlio possa essere dono per tutto il popolo, strumento docile nelle mani di Dio per la salvezza di tutti. Infatti l’autore sacro dice che “la Parola del Signore era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti” (1Sam 3,1); questo perché la sterilità non è solo in Anna, ma in tutto Israele. Dio non può parlare al suo popolo perché nessuno, nel popolo, è in ascolto di Lui. Sarà proprio il figlio di Anna l’uomo dell’ascolto, colui che non lascerà andare a vuoto una sola parola del Signore (cf. 1Sam 3,19).

La preghiera di Anna ha un testimone, il sacerdote Eli che assiste alla scena a distanza. Ai suoi occhi il comportamento della donna appare molto strano: si convince che lei sia ubriaca, perché vede muoversi le sue labbra, mentre la voce non si sente; pertanto, la rimprovera con durezza, invitandola a liberarsi del vino bevuto. Anche lui, giudicando dalle apparenze, non la comprende e anche lui la offende: “Fino a quando rimarrai ubriaca? Smaltisci il tuo vino!” (1Sam 1,14). Ma Anna, con tono umile ma fermo, risponde all’anziano sacerdote: “No, mio signore, io sono una donna affranta e non ho bevuto né vino né altra bevanda inebriante, ma sto solo sfogando il mio cuore davanti al Signore. Non considerare la tua serva una donna perversa perché finora mi ha fatto parlare l’eccesso del mio dolore e della mia angoscia” (1Sam 1,15-16).

Ascoltando queste parole della donna, Eli si rende conto di aver preso un abbaglio; allora la benedice e le augura che il Signore possa esaudire la sua preghiera: “Va’ in pace e il Dio di Israele ti conceda quello che gli hai chiesto” (1Sam 1,17). Dopo la preghiera e la benedizione di Eli, Anna appare una donna trasformata: riprende a mangiare e il suo viso non è più come quello di prima; passa dalle lacrime alla gioia, dall’amarezza alla serenità e alla pace.

Tornata a casa il suo desiderio si compie: il Signore si ricorda di lei e rende fecondo il suo rapporto con il marito. Nasce il bambino che la madre chiama Samuele “perché – dice – al Signore l’ho richiesto” (v. 20).
Ottenuto il figlio Anna continua ad essere la protagonista assoluta della vicenda. Questo bambino avuto grazie all’intervento divino, sembra appartenere solo a lei e a Dio: è lei che glielo ha promesso con un voto senza neppure consultare il marito; è lei che gli da il nome ed è lei a decidere quando e come portarlo al santuario. Infatti, quando Elkanà le chiede di andare con lui e con tutta la famiglia a Silo per il solito pellegrinaggio annuale, Anna gli risponde decisa: “Non verrò finché il bambino non sia svezzato e io possa condurlo a vedere il volto del Signore, poi resterà là per sempre” (1Sam 1,22). Il marito – dice il testo – non può fare altro che acconsentire: “Fai ciò che è bene ai tuoi occhi: resta finché non l’avrai svezzato” (v. 23).

Solo dopo qualche anno “dopo averlo svezzato – dice il testo – lo portò con sé, con un giovenco di tre anni, un’efa di farina e un otre di vino e lo introdusse nel Tempio del Signore a Silo” (1Sam 1,24). “Era ancora un fanciullo”, conclude l’autore sacro, lasciando così intuire quale grande sacrificio sia per lei separarsi dal figlio ancora così piccolo. Ma deve farlo, perché è lei stessa che si è impegnata con il Signore.
Anna presenta Samuele all’anziano sacerdote Eli mentre gli ricorda di essere stata lì per pregare proprio per questo fanciullo: il Signore le ha dato ciò che aveva chiesto e ora, adempiendo il suo voto, lei lo cede al Signore, per tutti i giorni della sua vita (cf. 1Sam 1,26-28).

Samuele crescerà presso il Signore sotto la guida di Eli, mentre Anna tornerà a casa senza di lui. Ma il suo pensiero sarà sempre per questo bambino, giorno dopo giorno, mentre gli prepara “una piccola veste” che gli porta ogni anno, quando va’ col marito al santuario a offrire il sacrificio annuale. Eli li benedice e augura ad Elkanà che il Signore gli conceda altri figli da Anna, per il prestito che lei sta facendo al Signore (cf. 1Sam 2,20). E l’autore sacro annota: “Il Signore visitò Anna che concepì e partorì ancora tre figli e due figlie” (v. 21). La generosità del Signore si rivela sovrabbondate verso questa donna che, a sua volta, è stata generosa verso di Lui.

3. Il Cantico di Anna

Momento culminante della storia di Anna è la preghiera del Cantico che lei innalza al Signore nel Santuario di Silo dopo che ha affidato al sacerdote Eli il figlio Samuele perché sotto la sua guida impari a servire il Signore. Il Cantico esprime innanzitutto l’atteggiamento di lode da parte di questa donna umile e tenace di fronte all’agire benevolo di Dio: “Il mio cuore si rallegra nel Signore, la mia fronte si innalza nel mio Dio, la mia bocca sorride e io esulto nella sua salvezza” (1Sam 2,1-2).

Anna celebra il Signore che per lei è il Santo e la Roccia che le da’ sicurezza. Lui è il solo che conosce il bene e opera sempre con giustizia. E’ un Dio che ha nelle sue mani la vita e la morte e guida la storia in modo sorprendente: manifesta la sua potenza, intervenendo in favore dei poveri. Un Dio che opera attraverso un rovesciamento dei valori: “L’arco dei forti si è spezzato, mentre i deboli si sono rivestiti di vigore. I sazi si sono venduti per un pane, mentre gli affamati si sono saziati. La sterile ha partorito sette volte e la ricca di figli è sfiorita” (1Sam 2,5). Anna, come una profetessa, riconosce che questa è la via che il Signore segue nell’arco di tutta la storia della salvezza; egli si volge a chi è piccolo, a chi accetta la sua povertà, il suo limite e lo ricolma dei suoi doni e della sua pienezza fino a realizzare anche i desideri impossibili.
Maria di Nazareth si ispirerà al Cantico di Anna per cantare nel Magnificat le grandi cose che ha fatto in lei l’Onnipotente (cf. Lc 1,46-55).

4. Anna e noi

Che cosa può dire a noi una donna come Anna che è vissuta tre mila anni fa? Lei, a noi credenti fragili e insicuri di oggi, si offre come testimone di fede e maestra di preghiera, perché impariamo a ritrovare la fiducia nella vita e nel Signore che guida i nostri passi. In questi mercoledì ci proponiamo di cogliere la sapienza e l’intraprendenza di alcune donne della Bibbia. A me sembra che entrambe queste qualità si riscontrano nel vissuto di Anna. La sapienza, innanzitutto. Tutta la sua vita è intessuta di sapienza. Come esemplificazione, colgo l’aspetto del modo in cui lei reagisce ai maltrattamenti che subisce da parte di Peninnà la quale non perde occasione per mortificarla e deriderla a motivo della sua sterilità.

Anna non ribatte agli insulti e alle continue allusioni circa la sua inferiorità nei confronti della rivale. Potrebbe renderle per pan focaccia rinfacciandole che il marito la considera soltanto come generatrice di figli, ma non la ama, né tiene conto di lei per tutto il resto. Anna, invece, si fa carico della violenza verbale e sceglie il silenzio, espressione di sapienza; preferisce di non avvalersi del principio, sancito anche dalla Torah, “Occhio per occhio dente per dente” (Es 21,24). Mi chiedo: chi di noi al suo posto agirebbe allo stesso modo? Anna pratica quella che sarà l’esortazione di san Paolo: “Non rispondete al male con il male, ma vincete il male con il bene”.

Anna, soprattutto, si mostra donna intraprendente nella fede, nel suo modo di relazionarsi con Dio: la sua è una fede semplice ma ferma e radicale. Lei parla al Signore in forma diretta, il suo è un dialogo a tu per tu. Gli chiede il dono di un figlio e quasi quasi lo ricatta, impegnandosi con un voto, a restituire a Lui il dono che chiede. Come se gli dicesse: Guarda che conviene anche a Te esaudire la mia richiesta, perché il figlio maschio che tu mi darai, io lo consacrerò a Te per tutti i giorni della tua vita. E lui farà tutto quello che gli chiederai, perché io gli insegnerò a fidarsi di te che sei il Signore! E così avverrà!

Aurelio Antista