Dal prossimo anno scolastico gli istituti di ogni ordine e grado, anche paritari, sperimenteranno un efficace sistema educativo.
Dal prossimo anno scolastico gli istituti di ogni ordine e grado, anche paritari, sperimenteranno un efficace sistema educativo.
A partire dal prossimo anno scolastico e per un periodo sperimentale di tre anni, nella scuola italiana entreranno le cosiddette soft skills. La legge “Introduzione dello sviluppo di competenze non cognitive nei percorsi delle istituzioni scolastiche e dei centri provinciali per l’istruzione degli adulti, nonché nei percorsi di istruzione e formazione professionale”, approvata all’unanimità alla Camera e ora in passaggio al Senato, coinvolgerà gli istituti di ogni ordine e grado, sia statali che paritari. L’iniziativa, già testata con successo in vari Paesi del mondo, prevede una sperimentazione che comprende la formazione degli insegnanti, con l’obiettivo di diminuire l’abbandono scolastico, promuovere l’autostima e motivare ad apprendere i meno portati allo studio.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, queste competenze si dividono in emotive (consapevolezza di sé, gestione delle emozioni, gestione dello stress), relazionali (empatia, comunicazione efficace, relazioni efficaci), cognitive (risolvere i problemi, prendere decisioni, pensiero critico, pensiero creativo). L’OCSE – Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, che con il suo programma PISA misura i livelli di competenze dei quindicenni di circa ottanta nazioni, le categorizza così: servirsi di strumenti (lingua, simboli e testi, conoscenze e informazioni, nuove tecnologie) in maniera interattiva; interagire in gruppi socialmente eterogene con la capacità di stabilire buone relazioni con gli altri, cooperare, gestire e risolvere i conflitti; agire in modo autonomo muovendosi in un contesto ampio, definendo e realizzando programmi di vita e progetti personali, difendendo e affermando i propri diritti, interessi, responsabilità, limiti e bisogni
Intervistato da Avvenire, il professore di Pedagogia Giorgio Chiosso ha detto che è ormai assodato da molteplici studi che l’educazione delle competenze non cognitive porti a risultati positivi nell’equilibrio, nella maturità e nel successo dell’individuo sia durante il periodo scolastico sia nell’età adulta. Ogni insegnante sa che i risultati migliori sono raggiunti dagli studenti che hanno, oltre a doti intellettive, qualità personali come l’interesse, l’iniziativa e la capacità di confronto con i docenti e i compagni.
Le soft skills vanno insegnate anche a scuola perché non sono predeterminate, ma ampiamente influenzabili dai comportamenti educativi di tutti gli adulti e da tutte le relazioni. Non dovrebbero dunque mai essere lasciate a sé stesse, altrimenti è facile che possano crescere ragazzi insoddisfatti, timidi, intolleranti o aggressivi (si pensi al fenomeno del bullismo). Fondamentale, però, è che le competenze non cognitive siano insegnate in un’ora dedicata, a fianco delle materie tradizionali. Esse vanno trasmesse da insegnanti maturi e capaci di trasferire le buone qualità umane – come il rispetto, la responsabilità, l’onestà- attraverso comportamenti coerenti.
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