Negli inferi della storia sono emersi testimoni di speranza e il confronto delle loro esperienze aiuta a capire l’attualità. Parte 4: Edith Stein
Negli inferi della storia sono emersi testimoni di speranza e il confronto delle loro esperienze aiuta a capire l’attualità. Parte 4: Edith Stein
1. L’infanzia giudaica
Edith Stein nasce a Breslavia il 12 ottobre del 1891 in una famiglia ebrea, da Siegfried Stein e Augusta Courant, ultima di undici figli. La famiglia Stein conduceva una vita laboriosa scandita unicamente dalle celebrazioni liturgiche. Presto, però, la loro serenità venne infranta dalla morte del signor Stein, quando Edith aveva solo diciannove mesi. La signora Stein si trovò così ad occuparsi, da sola, sia degli affari che dell’educazione dei figli. Augusta Stein, fiera di essere ebrea e di esserlo fino in fondo, educava i figli alla preghiera e al digiuno con austerità e tenerezza materna. Pur con questi insegnamenti, il cuore di Edith rimane inappagato, in quanto «Le funzioni alla sinagoga e la preghiera personale non facevano che annoiarla»; per cui si allontana dal pratica religiosa, però, nelle grandi occasioni, continuerà ad accompagnare sua madre alla sinagoga.
Edith cresceva mostrando il suo carattere vivace ed esuberante e forte, deciso e sicuro, tanto che a tredici anni, indifferente nei confronti del giudaismo, si dice atea e abbandona gli studi che, con altrettanta decisione e sicurezza, aveva intrapreso all’età di sei anni, perché non sopportava di stare a casa o all’asilo mentre le sorelle andavano già a scuola. Per chi le sta accanto l’abbandono degli studi è una sgradevole sorpresa e nessuno riesce a farle cambiare idea. Tranne la madre che dopo una conversazione con Edith, la convince a ritornare a Breslavia, da dove si era allontanata per riposarsi, e a riprendere gli studi. Nel 1911 conseguirà con successo la maturità liceale.
2. L’appassionata ricerca della verità
Sin dall’adolescenza, Edith avverte bruciarle dentro, quasi fossero delle ferite, quelle domande che ogni uomo sente urgere prima o poi: chi sono io? qual è l’impronta che mi definisce? Dove e cosa è la verità? Domande, queste, che si porta dentro senza risposte e che influenzeranno la scelta dei suoi studi. Nel 1911, dopo la maturità liceale, Edith si iscrive all’università di Breslavia, optando per la storia, la germanistica e poi per la filosofia, che rimane il suo vero interesse, e la psicologia sperimentale, quest’ultima si presentava allora come una scienza nuova, in possesso delle chiavi dell’anima e quindi capace di rispondere agli interrogativi che in lei si facevano sempre più imponenti.
Durante gli anni universitari incontrerà docenti, con i quali entrerà in amicizia e che l’aiuteranno molto nella sua ricerca e maturazione umana e spirituale. Tra questi ci sono i filosofi Adolf Reinach e Edmund Husserl. Del primo lei stessa ricorderà: «Mai prima d’allora mi ero sentita accogliere con tanta bontà da un essere umano… era come se mi aprisse davanti un mondo nuovo». Questi la mette in contatto con Husserl, di cui era assistente, dal quale viene accettata come studentessa e, poi, stimata come migliore allieva e confidente preferita del suo pensiero, diventa anche amica di famiglia. È in questa cerchia che si forma la giovane Edith Stein, laureandosi nel 1916, summa cum laude, con una tesi sull’Einfuhlung (empatia).
Dopo la laurea fu invitata da Husserl a raggiungerlo all’Università, Edith venticinquenne fu la sua assistente per il semestre estivo del 1916. Husserl si dimostrava soddisfatto di Edith e, quando lascia Gottinga per occupare la cattedra di filosofia di Friburgo, Edith lo seguirà in qualità di assistente privata dal 1917 al 1919. Durante gli anni universitari, Stein è molto attenta e aperta alle realtà sociali del suo tempo. Si impegnò per il diritto al voto delle donne, prendendo parte all’Associazione Prussiana per i diritti delle donne, che sosteneva la piena eguaglianza politica tra uomini e donne. Per tale motivo frequentò anche i circoli delle socialiste. Con lo scoppio della guerra del 1914 si impegnò anche come infermiera volontaria della Croce Rossa nell’assistenza ai feriti gravi, dedicò due anni alla cura dei feriti nell’ospedale austriaco di Maheren e ricevette la medaglia della Croce Rossa.
3. L’incontro con la croce di Cristo
Progredendo nel suo lavoro universitario, Edith prende coscienza di quanto il suo pensiero diverga da quello del maestro; tutto questo inciderà in lei, che credeva di aver trovato nella fenomenologia, e quindi in Husserl, la strada che conduce alla verità. Però la vicenda che inciderà nella vita di Edith e la preparerà alla conversione è la morte dell’amico e docente Adolf Reinach che, poco tempo prima insieme alla moglie Anna, si era convertito alla chiesa evangelica. Nel novembre 1917, durante la guerra, il professore Reinach venne ucciso nelle Fiandre. Anna, la sua giovane vedova, si rivolse a Edith perché l’aiutasse a classificare gli scritti filosofici del marito in vista di una pubblicazione postuma. Edith lasciò l’università per assolvere a questo dovere di amicizia.
Conoscendo l’intimità e la felicità dei due sposi, temeva di trovare l’amica come schiacciata dal dolore. Invece Anna le apparve, sì trasformata dalla prova, i lineamenti delicati intrisi della sofferenza profonda che la straziava, ma l’anima abitata dalla forza del Cristo. La Croce era penetrata fin nell’intimo del suo essere e l’aveva insieme trafitta e guarita. Il sacrificio, portato nell’amore, univa quell’anima al Salvatore crocifisso, e da tutta la sua persona emanava una luce nuova. Credeva di dover consolare e si trovò invece consolata. Così scriverà più tardi in una lettera: «Tutto fu diverso da come pensavo. Quel volto segnato dal dolore appariva come trasfigurato da una luce misteriosa. Quello che, io atea, vedevo come una sventura insopportabile, Anna lo accoglieva come parte della luce di Cristo. Fu quello il mio primo incontro con la croce e con la forza divina che essa comunica a chi la porta. Fu il momento in cui risplendette la luce di Cristo. Cristo nel mistero della croce. Per la prima volta mi fu dato di contemplare in tutta la sua luminosa realtà la Chiesa, nella sua vittoria sul pungolo della morte. Fu quello in cui la mia incredulità crollò e Cristo si levò raggiante davanti al mio sguardo: Cristo nel mistero della Croce».
Per Edith, ancora non credente, «fu il mio primo incontro con la Croce e con la forza divina che essa conferisce a coloro che la portano». Il suo primo incontro con la croce è così anche il suo primo passo sul cammino verso la conversione. Per molti, però, la spinta decisiva che conduce la Stein alla conversione è legata ad una sera d’estate del 1921: «mentre stava aspettando in casa loro una coppia di amici, Conrad-Martius, per passare il tempo si mise a leggere qualcosa. Le capitò nelle mani l’autobiografia di s. Teresa d’Avila. Nonostante l’arrivo degli amici e il progetto di uscire in città, per tutta la notte Edith Stein rimase a leggere. All’alba fini il palpitante racconto del cammino spirituale della carmelitana spagnola».
Quando chiuse il libro dovette confessare a se stessa: “Questa è la verità!”. La conversione di Edith, ovviamente, non è frutto di una semplice lettura notturna, ma di una ricerca appassionata della verità, che le si mostra, finalmente, attraverso la rilettura della mistica spagnola. Infatti, di fronte al testo di Santa Teresa, la Stein riconosce con evidenza tutto quanto le si manifesta: «Si tratta di ciò che la teologia cattolica chiama l’“evidenza della fede” e la cui chiave d’interpretazione è nelle parole di Gesù, quando afferma che possono riconoscere il Mistero solo coloro che ricevono da Dio stesso gli occhi per guardare». Allora in quel preciso istante tutto le fu chiaro e «lei decise per Dio, per Cristo, per la Chiesa e per il Carmelo, quasi si trattasse di una sola e medesima realtà».
Con questa disposizione fa un cammino di preparazione e il 1 gennaio del 1922 riceve il battesimo nella chiesa cattolica; la sua madrina fu Edwing Conrad-Martius. Edith perviene al cristianesimo senza rigettare la religione dei padri – cosa che invece avveniva facilmente per gli ebrei convertiti ai fini di vantaggi politici o sociali – in quanto aveva assorbito in famiglia, specie dalla madre, la fedeltà alla propria religione ebraica. Il canonico Schwind divenne il suo direttore spirituale, fino alla morte nel 1927 ed Edith cominciò a chiedergli di entrare al Carmelo, ma tale richiesta veniva sempre rifiutata, in quanto la presenza di Edith appariva più proficua all’esterno, che all’interno di un monastero.
4. Il nazionalsocialismo un veleno che penetra l’organismo prima di corromperlo
Nel 1923 la Stein decise di dedicarsi all’insegnamento, prima presso l’Istituto Magistrale Santa Maddalena delle domenicane di Spira e poi presso l’Istituto Superiore Tedesco di Pedagogia Scientifica di Múnster. Durante il soggiorno a Spira muore il suo direttore spirituale, monsignor Schwind, nel 1927 ma non rimase a lungo senza guida. Su consiglio di un amico sacerdote, padre Przywara, Edith trascorse tutta la settimana santa e la Pasqua del 1928 presso l’abbazia benedettina di Beuron, dove incontrerà il suo nuovo direttore spirituale, l’abate don Raphael Walzer, impegnato nella ricerca per la libertà dello spirito. Dal 1928 al 1933 fece soggiorni prolungati a Beuron presso l’abbazia. Questo è anche il periodo in cui Stein si rende conto che il nazionalsocialismo estendeva le sue distruzioni, invadendo la Germania come un veleno che penetri l’organismo prima di corromperlo. Per cui a Munster durante l’anno scolastico, incoraggiò gli allievi a formare un gruppo opposto all’unione degli studenti nazisti.
In questo periodo è anche molto impegnata nell’insegnamento nello scrivere e nel promuovere il ruolo della donna nella società e nella Chiesa. L’avvento al potere di Hitler e del suo movimento nazionalista, 30 gennaio 1933, cambiò a fondo la vita di Edith Stein. Comprende subito con quali problemi si sarebbe confrontata. Hitler aveva programmato la lotta contro gli ebrei. Già nel 1933 con una legge stabiliva un nuovo assetto del lavoro nel pubblico impiego: tutti i funzionari e gli impiegati non ariani perdevano il loro posto di lavoro. La Stein perde la sua docenza, pur essendo in un certo qual modo, il suo un rapporto di lavoro privilegiato, poiché l’Unione delle Insegnanti Tedesche Cattoliche era una associazione religiosa e godeva della stima dei vescovi tedeschi, per cui il suo lavoro non sembrava in pericolo. Invece tutto era incerto. Nel 1933 Edith si ritirò volontariamente dalla scuola (maggio 1933) per non creare problemi all’Istituto in una situazione politica altamente esplosiva.
5. “La responsabilità di questi gravi misfatti… ricadrà… anche su coloro che tacciono”.
È in questo contesto che la Stein pensava di andare a Roma e di chiedere al Papa una enciclica che condannasse la logica nazista e dei suoi metodi criminali. Ne parla col suo direttore spirituale e questi le consiglia di non andare a Roma, perché sarebbe stato difficile parlare con il Papa e le consiglia di scrivere al Papa e che sarà lui stesso ad inviarla al Santo Padre. E così avviene. Don Raphael Walzer invia il 12 aprile la lettera «sigillata» destinata al Santo Padre, a nome di questa donna che egli definisce «di santi costumi» e «famosissima» per i suoi lavori scientifici. Qualche giorno più tardi, ella ricevette una breve risposta firmata dal cardinale Pacelli, nella quale si leggeva: «Voglia far conoscere in modo adeguato alla mittente che la sua lettera è stata sottoposta doverosamente a Sua Santità. Insieme a lei prego Dio che in tempi tanto difficili prenda sotto la sua particolare protezione la santa Chiesa e conceda a tutti i suoi figli la grazia della forza d’animo e di sentimenti nobili che sono le premesse della vittoria da tanto attesa».
Nonostante il tono piuttosto formale della risposta, Edith Stein, nel dicembre del 1938, non sembrò affatto dubitare che il suo tentativo avrebbe avuto un certo effetto: «Più tardi mi sono chiesta spesso se questa lettera non gli fosse tornata qualche volta in mente. Ciò che allora avevo previsto sul futuro dei cattolici in Germania, si è in effetti avverato punto per punto negli anni successivi». Con questo intendeva forse dire, come hanno lasciato intendere alcuni studiosi del suo pensiero, che avrebbe potuto esserci un legame tra questa lettera che denunciava i pericoli del nazionalsocialismo per la fede cristiana, e la condanna del «neopaganesimo» razzista da parte dell’enciclica Mit brennender Sorge (14 marzo 1937) “Con viva ansia e con stupore sempre crescente”.
Storicamente ciò è difficilmente dimostrabile, per cui forse non è opportuno sopravvalutare l’impatto di questa lettera sulla posizione di Pio XI, però mi sembra bene sottolineare il carattere indiscutibilmente profetico della lettera della Stein. Che dice Edith Stein nella sua lettera al papa? In sostanza questo: che la politica di ostilità nei confronti degli ebrei, attuata dal nuovo governo tedesco, quella politica antisemita di Stato condotta da un governo «che si dichiara “cristiano”» e che porta migliaia di persone alla disperazione o, addirittura, al suicidio, è fondamentalmente contraria al cristianesimo, e che la Chiesa deve denunciarla con forza, altrimenti rischia di subirne anch’essa, alla fine, le terribili conseguenze. «La responsabilità di questi gravi misfatti, ella scrive, ricadrà non soltanto su coloro che li commettono, ma anche su coloro che tacciono».
Ciò che ella chiede chiaramente è una condanna dottrinale del nazismo come razzismo, totalitarismo e antisemitismo: «Tutto ciò che è accaduto e ciò che accade quotidianamente viene da un governo che si definisce “cristiano”. Non solo gli ebrei ma anche migliaia di fedeli cattolici in Germania – ma credo in tutto il mondo – aspettano e sperano da tempo che la Chiesa di Cristo faccia udire la sua voce contro tale abuso del nome di Cristo. Non è forse un’aperta eresia l’idolatria della razza e del potere dello Stato, con la quale la radio martella quotidianamente le masse? Questa guerra di sterminio contro il sangue ebraico, non è un oltraggio alla santissima umanità del nostro Salvatore, della beatissima Vergine e degli Apostoli?».
6. Il Carmelo: la dimora tanto desiderata
Nell’estate del 1933, dopo aver lasciato l’insegnamento, Edith chiede di essere ammessa al Carmelo di Colonia. Il 14 ottobre dello stesso anno varca la porta della dimora tanto desiderata, «che ridisegnerà il suo volto spirituale» attraverso il silenzio, la preghiera e l’obbedienza. Il 15 aprile del 1934 Edith si consacra a Dio con i voti di castità, povertà ed obbedienza, prendendo il nome di suor Teresa Benedetta della Croce: «Teresa, la grande mistica d’Avila, le doveva ricordare la grazia della conversione. Benedetta, perché si sente figlia benedetta del suo popolo, benedetta fra tante altre donne che non sono state chiamate come lei alla conquista dell’Assoluto, della somma Bellezza, dell’Amore. E della croce, che in lei è simbolo del cammino da percorrere, simbolo di qualcosa di più grande e definitivo della sua esistenza […], in lei la croce diventa “simbolo del destino del popolo ebreo”, e con ciò il termine che sintetizza il suo anelito interiore di portarla per coloro che la rifiutano, fino a trasformarla in segno di una mistica della Croce».
7. Al Carmelo di Echt
Il crimine commesso dai nazisti nella cosiddetta Notte dei cristalli tra l’8 e il 9 novembre 1938 fece intuire a molti ebrei quanto pericoloso fosse rimanere ancora in Germania. Edith si rende conto che la sua presenza al Carmelo di Colonia compromette la sicurezza di tutta la comunità e accetta la proposta di trasferirsi al Carmelo di Echt, in Olanda. Il distacco dalla comunità è doloroso, ma la Stein si abbandona alla volontà di Dio, dando alla sua vita interiore una connotazione chiaramente riparatrice. Nel 1940 i tedeschi invadono l’Olanda e anche gli ordini e i mandati di cattura del governo di occupazione proseguono. Suor Benedetta cerca con ogni mezzo di ottenere un visto per la Svizzera, sperando di potersi trasferire nel Carmelo di Le Pâquier. Ma sorgono difficoltà impreviste.
Nel luglio 1942 anche in Olanda la situazione si aggrava. La deportazione degli ebrei assume proporzioni enormi. I vescovi e i capi delle varie chiese ne sono amareggiati al massimo e, nell’intento di venire in aiuto dei fratelli oppressi, inviano un telegramma al commissario del Reich Seyss-Inquart, dove dicono: «Le sottoscritte comunità cristiane d’Olanda, già profondamente colpite dalle misure adottate contro gli ebrei nel nostro paese, con le quali essi vengono esclusi dalla normale vita civile, hanno appreso con orrore la notizia di nuove disposizioni, medianti le quali, uomini, donne, bambini e intere famiglie devono essere deportate in territorio tedesco. Le sofferenze inaudite che in tal modo vengono ad essere inflitte a più di diecimila persone, la consapevolezza che un tale procedimento ripugna profondamente al senso morale del popolo olandese ed è, soprattutto, in contrasto con il comandamento divino della giustizia e della misericordia spingono le comunità ecclesiastiche a indirizzare e lei l’urgente supplica di non dare corso ai suddetti provvedimenti. Per i cristiani, poi, che si trovano tra gli ebrei, la nostra supplica si fa ancora più impellente, per il fatto che le misure adottate li tagliano fuori dalla partecipazione alla vita della Chiesa»
La risposta a questa supplica è l’assicurazione che gli ebrei cristiani saranno risparmiati. il Carmelo di Echt torna a respirare. Continua tuttavia la deportazione di massa. Si decide allora, da parte di vescovi, di leggere una lettera pastorale redatta in comune dai vescovi olandesi in cui è inserito il testo del precedente telegramma. Ma all’ultimo momento Seyss-Inquart pone il veto alla lettura della lettera. Il vescovo di Utrecht fa sapere agli organi di occupazione che essi non hanno alcun diritto d’immischiarsi negli affari della Chiesa. Così la lettera pastorale viene letta ai fedeli in tutta l’Olanda il 26 luglio. Una settimana dopo la protesta dei vescovi giunge la temuta rappresaglia. In un sol colpo, il 2 agosto, tutti gli ebrei cattolici e membri di comunità religiose vengono arrestati. Al Carmelo di Ecth, dove le suore sono ancora del tutto ignare, si presentano verso le 5 del pomeriggio del 2 agosto due ufficiali tedeschi delle SS che chiedono di parlare con la madre priora alla quale domandano di suor Benedetta. Al giungere di quest’ultima i due soldati le ordinano energicamente di lasciare la casa in cinque minuti, minacciando rappresaglie contro il monastero.
8. Nel campo di concentramento
Edith comprende che è cominciata l’ultima tappa del suo cammino e alla sorella Rosa dice; «vieni, andiamo a morire con il nostro popolo». Un carro militare, fermo all’angolo della via, accoglie le due sorelle, insieme con altre vittime e scompare a tutta velocità… Prima destinazione il comando di zona di Roermond e poi il campo di concentramento di Amersfort, poi il campo di smistamento Westerbork. Da qui, Edith riesce a inviare un biglietto alla sua priora ove scrive: «Si può acquisire una “Scientia Crucis” solo se si comincia a soffrire veramente del peso della Croce. Ne ho avuto l’intima convinzione fin dal primo istante e dal profondo del cuore ho detto: “Ave Crux, spes unica”». E da qui, con questa consapevolezza, insieme ad un migliaio di donne e bambini, viene caricata su un treno merci per essere deportata ad Auschwitz, dove morì presumibilmente, nella camera a gas, il 9 agosto 1942. Termina così la vita terrena di suor Teresa Benedetta della Croce, figlia d’Israele e figlia della Chiesa, che nel campo di concentramento fa della Scientia Crucis non più soltanto un libro, ma una Scientia possibile da acquisire sotto il peso della croce.
P. Alberto Neglia
Mercoledì della spiritualità 2022, Fraternità Carmelitana di Barcellona Pozzo di Gotto
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