I gesti di Gesù verso i bambini, esempio di quello che potrebbe avvenire in una comunità cristiana che segue lo stesso atteggiamento.
I gesti di Gesù verso i bambini, esempio di quello che potrebbe avvenire in una comunità cristiana che segue lo stesso atteggiamento.
Concludiamo questa rassegna di articoli sulla lettura della Bibbia coinvolgendo i cinque sensi guardando quello che compie Gesù e, di conseguenza, quello che potrebbe avvenire in una comunità cristiana che segue lo stesso atteggiamento.
Matteo 19,13 Allora gli furono portati dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li rimproverarono. 14 Gesù però disse: «Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli». 15 E dopo avere imposto loro le mani, andò via di là.
Nel vangelo di Matteo questo episodio è posto dopo il discorso sulla comunità cristiana. È curioso che dopo un discorso che Gesù fa per disegnare il volto della comunità di chi crede in Lui, in cui ha più volte sottolineato la centralità dei piccoli, esprimendo anche giudizi molto duri per chi li scandalizza, i discepoli vengano presentati come coloro che ostacolano la relazione di Gesù con i piccoli. Addirittura, per spiegare chi è il più grande nel regno dei cieli, Gesù aveva scelto di mettere in mezzo un bambino tra tutti gli adulti che ascoltavano (Matteo 18,1-7,10). Proviamo a segnalare alcune coordinate per comprendere la scena. Anzitutto siamo, ai tempi di Gesù, in una società che non ha considerazione per i piccoli: solo un maschio attorno ai trent’anni può considerarsi adulto e quindi può essere ascoltato! Possiamo anche aggiungere che non c’era la possibilità per i bambini di accostare dei personaggi di una certa fama, pena abbassarne la considerazione presso il mondo adulto.
Qui poi, dai termini usati, pare che ci troviamo di fronte a dei bambini che non hanno ancora sette anni, l’età in cui inizia un primo accostamento con le Scritture: quindi i più insignificanti tra gli insignificanti! Se guardiamo la scena con gli occhi di chi la sta vivendo in diretta, ci sono dei comportamenti normali ed altri che infrangono il protocollo: è normale il tentativo dei discepoli di proteggere il maestro, è inopportuna la richiesta di chi porta a Gesù dei bambini, è sorprendente la risposta di Gesù. Anzitutto il gesto di chi porta i bambini da Gesù: probabilmente sanno che non è opportuno, ma ci provano lo stesso, forse sulla base di quanto Gesù ha fatto nella sua vita: ha sempre accolto tutti a partire dalla condizione in cui li ha trovati, non ha mai chiesto delle condizioni per poter entrare in relazione con Lui. Questo i discepoli lo hanno provato sulla propria pelle, ma fanno fatica ad accettarlo per gli altri! I discepoli sgridano gli adulti che hanno portato i piccoli e lo fanno in un modo duro: qualcuno dice che il paragone è con il rimprovero che Gesù fa ai demoni che tengono legati gli uomini e con il grido che paca il mare in tempesta. Che sproporzione tra i demoni e il mare da una parte e i bambini dall’altra!
Gesù sorprende i discepoli, non si è soddisfatto di risolvere sbrigativamente la situazione accontentando quei genitori che chiedono un contatto (magico?) con Lui, ma vuole che il gesto che compie sia di benedizione, ma anche di insegnamento. Gesù chiede di lasciar fare, si rimette al centro della scena, fa una catechesi per i discepoli (non ai bambini…), riprendendo quanto aveva detto prima e ribadendo che chi è come quei bambini è di casa nel regno dei cieli. Ai bambini Gesù non rivolge una parola, ma semplicemente impone le mani, un gesto che i bambini sentono, un gesto che è personale, per ciascuno, non è una parola generica: Gesù si mette in relazione, inizia una relazione con ognuno di loro con questo gesto, e da quel semplice tocco, non perché magico, ma perché è il linguaggio che meglio si comprende soprattutto da piccoli, ma non solo. Ciascuno sarà tornato a casa con la consapevolezza, ancora non riflessa, ma certamente vissuta, di un uomo importante che mi ha dedicato la sua attenzione-protezione.
Vorrei allora, come conclusione di questa serie di articoli, dire ancora qualcosa sui cinque sensi in merito ad un ambito che ci fa essere davanti a Dio nella comunità, cioè la liturgia, in particolare la celebrazione eucaristica. Non voglio entrare nel dibattito che contrappone chi dice che i bambini vanno portati a messa fin da piccoli, a chi afferma che è meglio aspettare quando iniziano a comprendere cosa sta accadendo, ma segnalare tre piccole esperienze che prendono atto di chi partecipa all’eucarestia domenicale e a partire da ciò cercare dei linguaggi che parlino ai piccoli. Premetto alle tre esperienze questa considerazione, una affermazione che andrebbe svolta meglio: la liturgia non è una catechesi o una lectio, quindi molte nostre celebrazioni andrebbero ripensate valorizzando i molteplici simboli presenti nella struttura della messa, simboli che sarebbero comprensibili anche ai bambini.
Le tre esperienze già sperimentate sono:
– una benedizione sulla fronte dei bambini dagli 0 ai 7 anni, dopo che tutta l’assemblea ha ricevuto l’eucarestia oppure dopo la recita del padre nostro (vedi sotto): è un semplice gesto del sacerdote che rende partecipi i piccoli della cura che il Signore ha per loro, mettendoli in evidenza nella celebrazione. In fondo, un bambino torna al posto pensando che quel gesto solo i piccoli lo hanno ricevuto, quindi è particolare e destinato solo a loro, quasi fosse un segreto tra loro e il Signore;
– una se conda esperienza è la recita del padre nostro con tutti i piccoli attorno all’altare: anche qui sono messi in evidenza, possono recitare la preghiera che si impara in famiglia ed è un momento che chiede anche un loro movimento;
– la terza esperienza, forse più complessa, è la possibilità di vivere la liturgia della Parola a parte, sfruttando anche la lettura con i cinque sensi che abbiamo presentato in questi articoli.
Sono tre esperienze che aiutano a percepire l’incontro con il Signore vero, vivo, anche se dal punto di vista cognitivo sembrano non dare risultati. Ma qui abbiamo parlato di fare esperienza della vicinanza del Signore, non della comprensione teologica e filosofica del mistero della Trinità.
Ottavio Pirovano
Cooperativa Aquila e Priscilla
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