La Bibbia e gli scrittori italiani del Novecento

La possibilità di considerare il testo biblico come un classico letterario dipende dalla capacità di rintracciarne gli influssi.

Nella letteratura italiana del Novecento è evidente il distacco degli scrittori laici dalla tradizione biblica. Soprattutto nella prima parte del secolo, l’interesse sembra limitato al mondo cattolico, se non addirittura a quello clericale. Solo successivamente si nota un’inversione di tendenza, con autori come Giovanni Testori, Mario Luzi o Erri De Luca, i quali hanno indicato la Bibbia come riferimento fondamentale.

Questo approccio sembra legato anche alla diffidenza cattolica sviluppatasi dopo il Concilio di Trento nei confronti della lettura diretta dei testi scritturistici, cosa non presente nelle comunità ebraiche o nei paesi protestanti dove essi hanno accompagnato per secoli i processi di alfabetizzazione. Per riflettere sull’argomento è utile il saggio Bibbia e letteratura italiana del Novecento: spunti di riflessione per la scuola di Giangabriele Vertova, pubblicato sul sito della sezione Bibbia e Scuola dell’associazione laica di cultura biblica Biblia.

Il problema di partenza che si pone l’autore è quello del rapporto con i classici, che sono definiti tali in relazione alla loro durata e alla visione che ne ha la contemporaneità. La possibilità di considerare il testo biblico come un classico in una prospettiva storico-letteraria dipende, quindi, dalla capacità di rintracciarne gli influssi anche sugli scrittori più vicini a noi. In particolare, è interessante scoprire quali scrittori non identificati come cristiani o religiosi ne siano stati influenzati. Vertova propone quindi un’analisi di Giovanni Pascoli, Italo Svevo, Luigi Pirandello, Primo Levi e Dario Fo, scelti perché presenti nei manuali scolastici di medie e superiori.

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