Dal villaggio di Kampong Ko, risorto dopo una guerra e un genocidio, viene più della metà dei cristiani della Cambogia.
Dal villaggio di Kampong Ko, risorto dopo una guerra e un genocidio, viene più della metà dei cristiani della Cambogia.
Quando è arrivato in Cambogia nel 2015, padre Kristofia Todjro, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) originario del Togo, tutti si giravano a guardarlo. Era l’unico africano, che perdipiù svettava in altezza. I giovani gli chiedevano dove fosse il suo Paese: in America? E lui faceva fatica a parlare la lingua khmer. Come racconta Mondo e Missione, ora è parroco in quattro comunità della prefettura apostolica di Battambang, tra cui quella significativa di Kampong Ko.
Kampong Ko, non lontano dal capoluogo provinciale e dal lago Tonle Sap, è un villaggio tra le risaie abitato da khmer e vietnamiti di terza o quarta generazione. Prima della brutale dittatura di Pol Pot, è nato e cresciuto come centro cristiano in seguito all’iniziativa di padre Robert Venet delle Missions Étrangères de Paris (Mep), il quale aveva raccolto famiglie povere dando loro la possibilità di coltivare i terreni riparati da una piccola diga che aveva costruito. Oggi più della metà dei cristiani in Cambogia viene da questo luogo.
L’anno scorso vi è stata consacrata la nuova chiesa intitolata a santa Teresa d’Avila, occasione anche per fare memoria della guerra e del genocidio negli anni Settanta che rasero al suolo la chiesa di allora (edificata in muratura dopo la prima in legno) e spazzarono via la comunità. Nel 1995 fu innalzato il terzo edificio sacro, in legno, per i pochi abitanti che erano tornati a far rivivere il paese, con le donne che si ricordavano qualche canto in latino e mantenevano viva la fede. L’estrema povertà di allora è un ricordo, in quanto a Kampong Ko sono arrivate la strada, l’elettricità, la connessione internet.
P. Kristofia commenta così questa situazione: «Qui abbiamo soprattutto anziani e bambini. Quando finiscono le medie i ragazzi partono dal villaggio per andare in città. Più avanti vanno a studiare nella capitale e finisce che si perdano. La comunità va ricostruita sempre da capo». Egli non solo porta avanti le attività strettamente pastorali, qui rivolte attualmente a solo sei cristiani, ma accompagna gli ammalati in ospedale, si occupa degli studenti, va a trovare i poveri. Ed è attento alle tradizioni locali. La nuova chiesa è stata decorata da un pittore che dipinge pagode, il quale si è confrontato con l’iconografia cristiana: la gente, così, ne è fiera, perché non ha niente di meno degli altri templi.
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