Per il direttore dell’Ufficio per i beni culturali ecclesiastici le modifiche postconciliari dell’altare non sono pienamente riuscite.
Per il direttore dell’Ufficio per i beni culturali ecclesiastici le modifiche postconciliari dell’altare non sono pienamente riuscite.
Uno dei cambiamenti portati dal Concilio Vaticano II che più hanno influito sulla vita religiosa dei fedeli è la riforma della liturgia, voluta con l’intento di promuovere una partecipazione più attiva e consapevole del popolo cristiano. Tra le principali novità percepite all’interno di un enorme ripensamento di testi e riti, c’è stato l’uso della lingua italiana e il cambiamento della direzione del celebrante all’altare verso l’assemblea. Su Chiesa Oggi don Luca Franceschini, direttore dell’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della CEI, ha individuato i momenti dell’evoluzione delle modalità di proporre l’altare, in particolare nelle chiese storiche.
I primi tentativi si sono orientati nel modificare l’altare tridentino (dove il celebrante dava la schiena al popolo), staccandone la mensa per poterci girare attorno e celebrare rivolgendosi ai fedeli. Spesso come supporto sono stati usati elementi di reimpiego, ad esempio le colonnine delle smantellate balaustre o pezzi anche artisticamente interessanti conservati nei magazzini. Un’opzione è stata anche quella di utilizzare come parte anteriore del nuovo altare il paliotto, che però spesso pare una pregevole copertura frontale di un supporto di scarso pregio.
Successivamente, c’è stata una fase in cui si è tentato di fare interventi artisticamente più decisi e connotati di maggiore dignità, ma più che altro in sintonia con lo stile della chiesa. La copiatura di qualche forma stilistica, magari dell’altare antico, o la scelta di creare un arredo sacro il meno invasivo possibile, ad esempio lasciando vuoti per intralciare il meno possibile la vista della bellezza già presente, risultano per don Franceschini adeguamenti che non esprimono una progettazione liturgica, architettonica e artistica che racconti qualcosa del nostro tempo, in dialogo col mondo contemporaneo come desiderato dal Concilio.
C’è poi la diatriba tra chi vuole l’altare come mensa, quindi più simile a un tavolo da pranzo, e chi come ara del sacrificio di Cristo, ma esso non può rappresentare solo un aspetto di Gesù: è Cristo stesso attorno al quale si raduna un popolo convocato al «banchetto di nozze dell’Agnello» a celebrare il memoriale della sua passione, morte e risurrezione. Come membro delle giurie nei concorsi, il direttore ha invece visto i frutti del lavoro dei gruppi formati da un artista, un liturgista e un architetto, in dialogo con le proprie comunità senza paure e pregiudizi. Da più di cinquant’anni si parla di creare una sistemazione fissa del presbiterio che soddisfi nella misura più ampia possibile le nuove esigenze, ma il cammino verso un adeguamento armonico e pienamente riuscito non è affatto concluso.
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