Le chiese siro-palestinesi nei primi anni del cristianesimo

Oltre Gerusalemme, le prime comunità sorsero tra la Giudea, la Galilea e la Samaria e in Siria, dove fondamentale fu quella di Antiochia.

Oltre che a Gerusalemme, dove si sono sviluppate le prime chiese siro-palestinesi? Gli Atti degli Apostoli, la fonte essenziale per i primi anni del cristianesimo, è alquanto parziale riguardo a questo tema, perché segue una linea che parte da Gerusalemme e, passando per Antiochia, giunge fino a Roma, rimanendo alquanto reticente sulle altre chiese esistenti nella terra d’Israele. Ma ci sono comunque degli indizi che aiutano a ricostruire, anche se parzialmente, la situazione.

Il professore Romano Penna ritiene che vi era tutta una serie di comunità che si erano sviluppate non solo durante la vita terrena di Gesù, ma anche dopo i fatti pasquali: «La chiesa era in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero» (At 9,31). Certo, queste poche righe dicono davvero poco sulla presenza di singole chiese in quel territorio, cosa tra l’altro sorprendente vista l’importanza della regione per le origini cristiane.

Ma in Galilea furono chiamati i primi discepoli di Gesù ed è inevitabile associare ad essi le loro famiglie e parentele. Là il ministero di Gesù ebbe le prime risonanze su intere folle (Mt 5,1; Lc 5,26) ed Egli ebbe diversi incontri, alcuni verosimilmente fruttuosi sul piano dell’adesione a Lui, come a Cafarnao, Corazin, Nain, Cana, Betsaida. Poi, alcune testimonianze successive denominano i cristiani «galilei» (Epitteto, Giuliano l’Apostata, Girolamo) e provano l’esistenza, verso la fine del I secolo, di chiese in Galilea, di cui erano capi alcuni parenti di Gesù comparsi davanti a Domiziano (Egesippo nella Storia di Eusebio). Di conseguenza, è del tutto probabile che la regione sia stata il punto di partenza della diffusione della nuova fede.

Il libro degli Atti racconta la missione di Filippo in Samaria e sulla strada da Gaza ad Azoto (At 8,5-40) e le predicazioni di Pietro in alcune città della costa mediterranea, dove vi sono delle conversioni: Lidda (At 9,32-35), Giaffa (At 9,36-43), Cesarea (At 10; qui l’incontro avvenne nella casa del centurione Cornelio). A questi piccoli gruppi di fedeli, mons. Penna aggiunge quelli dell’entroterra della Giudea: Betania (il villaggio dei tre amici e discepoli di Gesù Marta, Maria, Lazzaro, Simone) ed Emmaus (dove vivevano i due discepoli che incontrarono sulla loro strada e poi ospitarono il Risorto a casa loro).

Quando Paolo giunse a Damasco, nella grande città si trovava un gruppo di discepoli (At 9,19.25), tra i quali vi era Anania, colui che lo battezzò. Ma questa comunità doveva essere connotata da una interpretazione giudeo-cristiana del Vangelo, dato che lo stesso Anania è descritto come «devoto osservante della Legge e stimato da tutti i Giudei là residenti» (At 22,12). La comunità cristiana era quindi di origine e composizione giudaica e doveva apparire come una setta messianica, visto anche che Paolo cominciò a predicare nelle sinagoghe cittadine, non nelle riunioni dei cristiani.

Ma è Antiochia, in Siria, la cosiddetta città delle prime volte: là per la prima volta il Vangelo è stato annunciato ai greci pagani (At 11,20); là per la prima volta i discepoli di Gesù furono chiamati cristiani (At 11,26); da là per la prima volta partì una missione esplicitamente voluta e documentata (At 13,1-3). La chiesa di Antiochia prese forma per l’intervento di un gruppo di credenti ellenisti (giudei provenienti dalla diaspora mediterranea di lingua greca) scappati dalle persecuzioni a Gerusalemme.

Antiochia, coi suoi centomila abitanti, era la terza città dell’impero romano per dimensioni dopo Roma e Alessandria e il capoluogo della provincia di Siria e Cilicia. Il movimento di Gesù entrò in contatto con un ambiente cosmopolita, dove gli ebrei rappresentavano solo una minoranza. Non si sono testimonianze dirette di questo primo periodo (anni 30-70), ma negli Atti si parla di una chiesa locale (At 13,1: en Antiocheíai katà tēn oûsan ekklēsían; 11,26; 14,27) di Bàrnaba, che era stato mandato da Gerusalemme ad Antiochia (At 11,22) forse per stabilire un legame con la chiesa madre. Senza dimenticarsi della comunità di Matteo, probabilmente in ambito antiochieno, Mons. Penna afferma:

“La chiesa di Antiochia, […] espressione massima delle chiese siro-palestinesi, risulta essere stata nel suo complesso una specie di laboratorio di ermeneutiche dell’evangelo con risultati parzialmente contradditori, almeno per quanto riguarda il loro sviluppo nel tempo: un contrazione di tipo conservatore fece seguito a una prima rivoluzionaria apertura ecumenica. In ogni caso essa, esprime e rappresenta il pluralismo tipico di quello che si potrebbe chiamare il poco sistematico «sistema» cristiano.”