Battesimo del Signore

Anno A

Letture: Isaia 42,1-4.6-7; Salmo 28; Atti degli Apostoli 10,34-38; Matteo 3,13-17

Tramonto a Patmos, l’isola dell’Apocalisse. Stavamo seduti davanti al fondale magico delle isole dell’Egeo, in contemplazione silenziosa del sole che calava nel mare, un monaco sapiente e io. Il monaco ruppe il silenzio e mi disse: lo sai che i padri antichi chiamavano questo mare «il battistero del sole»? Ogni sera il sole scende, si immerge nel grande bacile del mare come in un rito battesimale; poi il mattino riemerge dalle stesse acque, come un bambino che nasce, come un battezzato che esce. Indimenticabile per me quella parabola che dipingeva il significato del verbo battezzare: immergere, sommergere. Io sommerso in Dio e Dio immerso in me; io nella sua vita, Lui nella mia vita. Siamo intrisi di Dio, dentro Dio come dentro l’aria che respiriamo, dentro la luce che bacia gli occhi; immersi in una sorgente che non verrà mai meno, avvolti da una forza di genesi che è Dio.

E questo è accaduto non solo nel rito di quel giorno lontano, con le poche gocce d’acqua, ma accade ogni giorno nel nostro battesimo esistenziale, perenne, in-finito: «siamo immersi in un oceano d’amore e non ce ne rendiamo conto» (G. Vannucci). La scena del battesimo di Gesù al Giordano ha come centro ciò che accade subito dopo: il cielo si apre, si fessura, si strappa sotto l’urgenza di Dio e l’impazienza di Adamo. Quel cielo che non è vuoto né muto. Ne escono parole supreme, tra le più alte che potrai mai ascoltare su di te: tu sei mio figlio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento. Parole che ardono e bruciano: figlio, amore, gioia. Che spiegano tutto il vangelo. Figlio, forse la parola più potente del vocabolario umano, che fa compiere miracoli al cuore. Amato, senza merito, senza se e senza ma. E leggermi nella tenerezza dei suoi occhi, nella eccedenza delle sue parole. Gioia, e puoi intuire l’esultanza dei cieli, un Dio esperto in feste per ogni figlio che vive, che cerca, che parte, che torna.

Nella prima lettura Isaia offre una delle pagine più consolanti di tutta la Bibbia: non griderà, non spezzerà il bastone incrinato, non spegnerà lo stoppino dalla fiamma smorta. Non griderà, perché se la voce di Dio suona aspra o impositiva o stridula, non è la sua voce. Alla verità basta un sussurro. Non spezzerà: non finirà di rompere ciò che è sul punto di spezzarsi; la sua mania è prendersi cura, fasciando ogni ferita con bende di luce. Non spegnerà lo stoppino fumigante, a lui basta un po’ di fumo, lo circonda di attenzioni, lo lavora, fino a che ne fa sgorgare di nuovo la fiamma. “La vita xe fiama” (B. Marin) e Dio non la castiga quando è smorta, ma la custodisce e la protegge fra le sue mani di artista della luce e del fuoco.

P. Ermes Ronchi
Avvenire

 

L’evento del battesimo di Gesù nel Giordano a opera di Giovanni, evento in seguito al quale lo Spirito di Dio viene su Gesù (Mt 3,13-17), è preannunciato dalla figura del Servo del Signore su cui Dio pone il suo Spirito (Is 42,1-4.6-7) e proclamato da Pietro nella sua predicazione come atto con cui Dio ha “unto” in Spirito santo Gesù (At 10,34-48). Lo Spirito di Dio che rimane su Gesù significa la comunione piena tra il Padre e il Figlio, tra Dio e Gesù.

La comunione di Gesù con Dio (vangelo) si esprime orizzontalmente, cioè nelle relazioni umane, da un lato come rifiuto di condannare (I lettura), dall’altro come attivo fare il bene e guarire chi si trova nel bisogno (II lettura). Infatti, le azioni di spezzare la canna incrinata e di spegnere lo stoppino fumigante che il Servo del Signore non compie, si riferiscono ai gesti che invece compiva l’araldo del Gran Re babilonese per significare che una condanna a morte diventava operativa: il senso è che il Servo del Signore non viene per condannare, ma per dare vita (I lettura). E nella predicazione di Pietro, Gesù appare colui che “passò facendo il bene e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (II lettura).

In questi testi, la comunione con Dio non è spiegata, ma affermata, e mostrata nelle sue conseguenze. Vengono presentati i frutti della comunione, più che le condizioni che l’hanno resa possibile. Sarà Luca nel racconto parallelo a quello di Matteo che mostrerà un Gesù in preghiera (Lc 3,21) mostrando così la sorgente su cui Gesù fonda la sua comunione con Dio: la preghiera, l’ascolto delle Scritture, l’intimità con il Padre. Possiamo allora vedere come unità delle letture l’effetto che la comunione con Dio produce nella vita di un uomo. Da dove si riconosce l’uomo di Dio? La comunione con Dio che egli vive? Quali ne sono le espressioni? Per esempio, la comunione con il Signore vissuta dal Servo di cui parla Isaia si manifesta come forza nei confronti di se stesso che porta questo inviato a non giudicare, ad astenersi da quel movimento di condanna dell’altro che è sempre un seminare morte e non vita.

Negli Atti degli Apostoli la comunione di Dio con Gesù si manifesta nell’azione di benedizione e di attivo fare il bene, di cura e guarigione di tanti che sono sotto il dominio del male. Vi è l’espropriazione di sé a favore degli altri raggiunti nel loro bisogno, nella loro infermità, nella loro povertà. Nel vangelo la comunione con Dio si esprime come estrema libertà di Gesù nel sottomettersi in consapevole obbedienza al battesimo di Giovanni e nella creazione di una comunione fraterna con Giovanni stesso grazie alla comune – cioè tanto di Gesù quanto di Giovanni – obbedienza al volere di Dio che supera il volere pur giustificato di Giovanni stesso. Nel vangelo, la comunione con Dio è colta nella capacità di creare fraternità e di vivere insieme nella libertà rinunciando a far prevalere la volontà propria.

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Luciano Manicardi