Battesimo del Signore

Anno A

In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. […]

La scena grandiosa del battesimo di Gesù, con il cielo squarciato, con il volo ad ali aperte dello Spirito sulle acque del Giordano, con la dichiarazione d’amore di Dio, è accaduta anche al mio battesimo e accade ancora a ogni quotidiana ripartenza. La Voce, la sola che suona in mezzo all’anima, ripete a ciascuno: tu sei mio figlio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento. Parole che ardono e bruciano: figlio mio, amore mio, gioia mia. Figlio è la prima parola. Figlio è un termine potente sulla terra, potente per il cuore dell’uomo. E per la fede. Dio genera figli secondo la propria specie, e io e tu, noi tutti abbiamo il cromosoma del genitore nelle nostre cellule, il Dna divino in noi.

Amato è la seconda parola. Prima che tu agisca, prima che tu dica «sì», che tu lo sappia o no, ogni giorno, ad ogni risveglio, il tuo nome per Dio è «amato». Di un amore che ti previene, che ti anticipa, che ti avvolge a prescindere da ciò che oggi sarai e farai. Amato, senza se e senza ma. La salvezza deriva dal fatto che Dio mi ama, non dal fatto che io amo lui. E che io sia amato dipende da Dio, non dipende da me! Per fortuna, vorrei dire; o, meglio, per grazia! Ed è questo amore che entra, dilaga, avvolge e trasforma: noi siamo santi perché amati. La terza parola: Mio compiacimento. Termine desueto, inusuale eppure bellissimo, che nel suo nucleo contiene l’idea di piacere.

La Voce grida dall’alto del cielo, grida sul mondo e in mezzo al cuore, la gioia di Dio: è bello con te, figlio mio; tu mi piaci; stare con te mi riempie di gioia. La potenza del battesimo è detta con il simbolo vasto delle acque che puliscono, dissetano, rinfrescano, guariscono, fanno germogliare i semi; con lo Spirito che, insieme all’acqua, è la prima di tutte le presenze nella Bibbia, in scena già dal secondo versetto della Genesi: «Lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque». Una danza dello Spirito sulle acque è il primo movimento della storia.

Da allora lo Spirito e l’acqua sono legati a ogni genesi, a ogni nascita, a ogni battesimo, a ogni vita che sgorga. Noi pensiamo al rito del battesimo come a qualche goccia d’acqua versata sul capo del bambino. La realtà è grandiosa: nella sua radice battezzare significa immergere: «Siamo immersi in un oceano d’amore e non ce ne rendiamo conto» (G. Vannucci). Io sono immerso in Dio e Dio è immerso in me; io nella Sua vita, Lui nella mia vita; «stringimi a te, stringiti in me» (G. Testori). Sono dentro Dio, come dentro l’aria che respiro, dentro la luce che mi bacia gli occhi; immerso in una sorgente che non verrà mai meno, inabissato in un grembo vivo che nutre, fa crescere e protegge: battezzato.

Letture: Isaia 42,1-4.6-7; Salmo 28; Atti 10,34-38; Matteo 3,13-17

Ermes Ronchi
Avvenire

 

Dopo aver contemplato la manifestazione del Messia Gesù alle genti nella solennità dell’Epifania, attraverso la pagina della visita dei Magi giunti dall’Oriente a Gerusalemme e poi a Betlemme (Mt 2,1-12), nella celebrazione del battesimo di Gesù noi contempliamo la sua manifestazione a Israele. Gesù è presentato a Israele da Giovanni, profeta e precursore del Messia, al cui battesimo Gesù si sottopone. La redazione matteana di questo racconto, presente anche nei vangeli di Marco (Mc 1,9-11) e Luca (3,21-22), sottolinea la dimensione di scelta deliberata e intenzionale che Gesù compie nel decidere il viaggio che lo conduce dalla zona settentrionale della Galilea fino al sud, in Giudea, nella zona presso il Giordano dove Giovanni esercitava il suo ministero.

Matteo scrive che “Gesù venne dalla Galilea al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui” (Mt 3,13). Scegliendo di farsi immergere nelle acque del Giordano da Giovanni, Gesù si espone pubblicamente di fronte a Israele, compiendo un atto che lo situa come discepolo e seguace del predicatore di un movimento di conversione e di radicalità nell’attesa dell’avvento del Regno di Dio. Gesù opera un discernimento e una scelta all’interno del frastagliato panorama dei movimenti spirituali giudaici dell’epoca decidendo di aderire e porsi sulle tracce del Battista, della sua predicazione e del suo movimento. L’evento del battesimo è anzitutto dunque il frutto di una scelta, di una decisione chiara e netta presa da Gesù. E, al tempo stesso, il battesimo, opera della scelta di Gesù, viene presentato come l’evento in cui Gesù viene confermato quale eletto da Dio, colui che il Signore stesso ha scelto.

L’evento del battesimo segnerà poi l’inizio di una fase nuova nella vita di Gesù con la sua predicazione e il suo ministero pubblico. Tanto che si può vedere in questo evento anche il primo emergere della sua autocoscienza messianica, espressa, come vedremo, dalla voce dall’alto: “Tu sei il mio figlio”. Dunque Matteo non si limita ad annotare il viaggio di Gesù, ma ci fa entrare nella vita interiore di Gesù, ci dice che quel viaggio rispondeva a una sua precisa scelta ed era perseguito con volontà e risolutezza. Gesù vuole questo gesto, vuole essere battezzato da Giovanni ma, una volta giunto dal Battista, avviene lo scontro delle volontà.

Nei vv. 14-15 Matteo inserisce un dialogo tra Giovanni e Gesù assente dalla narrazione di Marco. Un dialogo che forse riflette la difficoltà che creava alle comunità cristiane il fatto che Gesù, il più grande, il Messia, il Veniente, colui che avrebbe battezzato in Spirito santo, si fosse sottomesso al battesimo di Giovanni, colui che battezzava in acqua soltanto. Il dialogo consente a Matteo di dare una spiegazione a ciò nel senso dell’obbedienza reciproca dell’uno all’altro che consente il realizzarsi del disegno di Dio. In ogni caso, il testo afferma che, giunto Gesù da Giovanni con l’intenzione di farsi immergere nel Giordano da lui, ecco che il Battista si mostra esitante e anzi cerca di distogliere Gesù da questo atto.

Il testo dice letteralmente che “Giovanni glielo impediva”, cioè, cercava di impedirglielo. E lo faceva dicendogli questo: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni a me?”. Giovanni obietta in base a ciò che sa e conosce, in base al proprio discernimento e alla propria conoscenza spirituale. Egli annuncia colui che battezzerà in Spirito santo e fuoco (Mt 3,11) e sa che lui può solo ricevere dal Veniente quel battesimo, e ora si vede contraddetto, lui che sa, lui che conosce il Veniente, lui che può dire ai suoi ascoltatori “In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete” (Gv 1,26), ora si vede paradossalmente chiamato a immergere nell’acqua colui dal quale avrebbe voluto lui essere immerso nello Spirito santo. L’obbedienza richiesta a Giovanni è particolarmente gravosa, perché lo contraddice non tanto sul piano del sentire o sul piano emotivo o sul piano razionale, ma sul piano spirituale: “Io ho bisogno di essere immerso da te”.

Giovanni fa fiducia a ciò che Gesù gli dice, ma certamente abdica a qualcosa da lui percepito come buono e perfino essenziale dal punto di vista spirituale. E addirittura accetta di compiere lui il gesto che significherà anche, in certo modo, la fine del suo ministero, perché ormai, colui che viene dopo di lui gli subentrerà con un battesimo di ben altra qualità rispetto al suo. Giovanni è uno di quegli uomini della soglia che guidano fino a un confine, a un limitare e poi si fermano; aprono la strada, indicano la via, ma poi hanno la forza di arrestarsi e di lasciare il passo ad altri, un po’ come Mosè che non entrò nella terra promessa ma la indicò al suo popolo e lui la intravide solo, dall’alto del monte Nebo. Giovanni, dirà il quarto vangelo, è l’uomo capace di diminuire, e diminuire nella gioia (Gv 3,28-30) di fronte a colui che viene dopo e dietro a lui.

Giovanni forse non capisce perché Gesù dovrebbe farsi immergere da lui: che bisogno ne ha? Vi è qualcosa di analogo all’atteggiamento di Pietro narrato nel IV vangelo che si rifiuta di farsi lavare i piedi da Gesù: non capisce subito il senso di ciò che Gesù vuole fare (Gv 13,6-9). Così l’atteggiamento di Giovani è di tentare di mettere un ostacolo, di distogliere, di impedire: il verbo usato da Matteo il più delle volte indica atteggiamenti che vengono biasimati e ripresi da Gesù. I discepoli che impedivano ai bambini di andare da Gesù (Mt 19,14), i discepoli che volevano impedire a uno che non faceva parte del loro gruppo di scacciare demoni (Mc 38-39), i dottori della Legge che, appropriatisi delle chiavi della conoscenza, hanno impedito di entrare a coloro che volevano (Lc 11,52).

Gesù invece, non si pone mai nell’atteggiamento di colui che mette ostacoli, che impedisce. Gesù accoglie, lascia che le persone si esprimano, si manifestino, egli non impedisce nemmeno a Giuda di fare ciò che ha in mente di fare. Preferisce obbedire e compiere le Scritture, ovvero, vivere gli eventi della vita cercando di farne un’occasione di adempimento delle Scritture. Così, ora, egli chiede a Giovanni di lasciare fare, per adempiere ogni giustizia, ovvero per adempiere le Scritture, per compiere il volere di Dio espresso nella Legge e nei Profeti. All’“Io ho bisogno di essere battezzato da te” di Giovanni, Gesù oppone il bisogno a cui entrambi è bene che si sottomettano per consentire l’adempiersi del disegno salvifico. La parola chiave è “lasciar fare”: “Lascia fare per ora … Allora lo lasciò fare”.

Matteo ci presenta un evento di reciproca obbedienza tra Gesù e Giovanni. Vi è qualcosa di straordinario in questo incontro. Giovanni obbedisce a Gesù facendo ciò che non vorrebbe, e Gesù obbedisce a Giovanni sottomettendosi al suo battesimo. Straordinario perché avviene tra due uomini, due maschi, due celibi, due personalità forti, due uomini di Dio. In quella reciproca sottomissione vi è una libertà e una maturità che su di essa si posa il compiacimento di Dio. L’amore che essi mostrano è un amore amato da Dio, un amore umano così largo e profondo che diviene spazio di rivelazione e di conoscenza dell’amore di Dio. Nessuna gelosia, nessuna invidia, nessuna rivalità tra i due, ma riconoscimento reciproco e accoglienza reciproca, anche del rispettivo ministero.

Allora Giovanni lascia fare. E il battesimo che lui stesso amministra, diviene un lasciar fare Gesù! Quasi come se non fosse neppure più un gesto suo. Quel gesto battesimale svela poi la qualità di Gesù quale lo stesso Giovanni non poteva prevedere: Gesù sarà il Messia, sì, come appare dal riferimento che la voce dell’alto fa al Salmo 2, Salmo messianico (“Questi è il mio figlio”: Sal 2,7), ma lo sarà nella forma del Servo di cui parla Isaia (“in lui ho posto il mio compiacimento”: Is 42,1), e “servo” significa “obbediente”. Sarà il Messia, ma nella forma e nel destino doloroso di Isacco il figlio destinato al sacrificio (“l’amato”, riferimento a Gen 22,2). La volontà di impedire il battesimo a Gesù esprime anche che la comprensione di Gesù da parte di Giovanni deve ancora perfezionarsi.

Ecco dunque l’atto di fiducia di Giovanni. Non ci sono né recriminazioni da parte di Giovanni, né ulteriori spiegazioni da parte di Gesù, c’è un atto di fiducia rinnovato, e forse questo è il battesimo in cui si immerge Giovanni, si immerge in un atto di abbandono e di fiducia radicali in Gesù e nella sua volontà, nella sua parola. Un atto di fiducia è un atto di fede, e qui l’atto di fede è tra Giovanni, che conosce Gesù, sa chi è in verità, e per quanto possa contraddire ciò che lui sente e sa essere il suo bisogno spirituale, gli fa fiducia. E a questo atto di obbedienza, che in verità, come abbiamo detto, è un’obbedienza reciproca, dell’uno all’altro, risponde l’obbedienza di Dio che manifesta il suo beneplacito. Diceva un abba del deserto: “Obbedienza per obbedienza. Se uno obbedisce a Dio, Dio obbedisce a lui”. Qui, l’obbedienza di Dio risponde all’obbedienza reciproca tra Gesù e Giovanni. Se tra i fratelli vi è reciproca obbedienza, Dio obbedisce loro.

Luciano Manicardi
Monastero di Bose