Letture: Atti degli apostoli 10,34a.37-43; Salmo 117; Colossesi 3, 1-4; Matteo 28, 1-8 (Veglia pasquale)
All’alba, alle prime luci, quasi clandestinamente, due donne si recano alla tomba nel giardino. Vuote le mani, vengono solo per visitare la tomba: guardare, osservare, sostare, ricordare. Sono le stesse donne che venerdì hanno abitato, senza arretrare di un centimetro, il perimetro attorno alla croce. Un angelo scese dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Non apre il sepolcro perché Gesù esca, è già uscito, ma per mostrarlo alle donne: il sepolcro è vuoto, il Nazareno è già altrove. Come, non è detto. Il mistero di Dio resta intatto. Donne, angelo, guardie, il brivido della terra, cielo, pietra, alba: tutti sono convocati perché Gesù Cristo cattura dentro il suo risorgere tutto l’universo; è energia che si dirama per tutte le vene del mondo, una forza che ha imbevuto di sé tutta la trama del creato. «E non riposerà più, fino a che non avrà raggiunto l’ultimo ramo della creazione e rovesciata la pietra dell’ultima tomba» (M. Luzi).
Le donne hanno il cuore grande abbastanza per parlare con gli angeli: “So che cercate Gesù, non è qui!”. Voi cercatrici, mendicanti dell’amato, continuate, ma con occhi nuovi. Che bello questo: non è qui! Cristo c’è, esiste, vive, ma non qui. Non è rinchiuso in nessun luogo. Va cercato altrove, diversamente, via dal territorio delle tombe, è in giro per le strade, un Dio da cogliere nella vita. Dappertutto, ma non qui, fra le cose morte. Bisogna cercare più a fondo: non c’è luogo che lo contenga, non chiesa, non parole o liturgie. Lui è oltre, sempre oltre è il suo infinito cammino. Non è qui, vi precede, è davanti ad aprire la nostra immensa migrazione verso la vita. È davanti, a ricevere in faccia il vento, il sole, il futuro, la violenza. Andate, vi precede. Un Dio migratore, abbiamo, che ama gli spazi aperti, che apre cammini, attraversa pietre e spalanca tombe.
Pasqua vuol dire “passare”. Non è festa per stanziali, ma per migratori, per chi inventa sentieri che facciano scollinare verso più giustizia, più pace, più armonia con il creato, verso terra nuova e cieli nuovi. Vi precede in Galilea. Là lo vedrete. Ucciso a Gerusalemme, risorto a Gerusalemme, ma l’incontro avverrà ai margini, lontano dal centro dei poteri omicidi, in Galilea dove tutto ha avuto inizio con tre anni di strade, lago, pani e pesci, olivi, le lezioni sulla felicità, intese amicali. Devono rileggere tutta la vita di Gesù per capire la sua risurrezione. Devono ripercorrere la sua vita dall’inizio, allora capiranno che Dio l’ha risuscitato perché una vita così non può finire. Che gesti e parole così meritano di non morire, hanno dentro la vita indistruttibile che Dio regala a chi produce amore.
P. Ermes Ronchi
Avvenire
Letture: Gv 20,1-9 (Messa del giorno)
Il brano evangelico che ascoltiamo in questo giorno di Pasqua e che sta al cuore della fede cristiana sembra più la concitata radiocronaca della conclusione di una gara podistica che non una autorevole e impegnata affermazione dogmatica. Sembra quasi di sentire ancora l’ansimare affannato dei personaggi coinvolti in questa competizione biologico-spirituale che non l’annuncio della vittoria della vita sulla morte e sul peccato. In un’epoca di comunicazione drogata e falsata per fini economici, politici o quant’altro, ci si rende qui conto della centralità della testimonianza diretta, dell’importanza dell’accertamento delle fonti, della responsabilità personale nel riportare e interpretare gli avvenimenti accaduti, senza amplificare inutilmente ma anche senza nulla togliere. Nessuno è ancora in grado di valutare fino in fondo le conseguenze di questo fatto – la scomparsa del cadavere di Gesù – ma si cerca di appurare la dinamica dei fatti senza inquinare le prove: si potrebbe forse parlare di un’analisi, di un indagine storico-poliziesca.
Questo livello giudiziale è assolutamente irrinunciabile e conferisce autorevolezza a ogni ulteriore sviluppo successivo: quale credito si potrebbe infatti tributare alla testimonianza di una donna, di peraltro dubbia moralità (cfr. vv. 1-2)? La tradizionale – ma assolutamente infondata e insostenibile – inaffidabilità femminile in ambito testimoniale viene completamente scardinata dal rapporto circostanziato di Simon Pietro e dell’«altro discepolo» (vv. 2.3.4.8). Se si ammette per quest’ultimo l’identificazione con Giovanni, ossia l’autore stesso del quarto evangelo, il testo diviene ancor più stupefacente: scritto verso la fine del I secolo, a distanza quindi di diversi decenni dagli avvenimenti narrati, riesce a trasmettere ancora quell’afflato sensibile e vivissimo che certamente deve aver caratterizzato quei momenti. Cosa passava in quegli istanti nel cuore, nella mente di questi discepoli? A che velocità doveva scorrere il sangue nelle loro vene?
Se si pensa, oggi, a quante milioni di pagine siano state scritte sul valore spirituale e teologico della risurrezione di Gesù si può rimanerne stupefatti. In Maria, Simon Pietro e il discepolo amato dal Signore (cfr. v. 2) il pensiero, il sentimento, il desiderio, la speranza è una sola: Gesù è ancora tra noi, è vivo, lo possiamo nuovamente incontrare, ascoltare, osservare; ci si può ancora lasciar amare da lui! Cosa significhi che Gesù non sia stato trattenuto dalla morte – la prima lettura comincia a elaborare la prima teologia cristiana al riguardo: «egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio (…). Chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome» (At 10,42.43) – non lo sanno né ci vogliono pensare: la domanda, che ci viene consegnata affinché noi stessi la facciamo responsabilmente maturare in noi mediante un’adesione personalizzata, è: se Gesù non è qui, dov’è?
Quello straordinario teologo che sarà Paolo potrà, a qualche anno di distanza, scrivere il magnifico testo riportatoci dalla seconda lettura odierna: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria» (Col 3,1-4). In queste poche espressioni c’è già tutta l’antropologia, la spiritualità, l’escatologia cristiana, un intero affascinante programma di sequela e maturazione in Cristo. Ma cosa poteva esserci nella mente di Pietro e Giovanni se non il ricordo di qualche parola pronunciata dallo stesso Gesù? «Non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti» (v. 9).
Noi riusciamo a percepire quella passione che bruciava nel cuore di quei primi discepoli? La nostra sequela del Signore Gesù è attraversata dalla medesima ansia di incontrarlo, servirlo, amarlo? Domandiamo che in questa Pasqua il Signore faccia davvero risorgere, risuscitare la nostra esistenza, facendola passare da una ricerca del nostro piccolo interesse personale alla condivisione con tutti gli uomini di buona volontà, dalla paura al coraggio della testimonianza, dalla tristezza alla gioia e alla speranza.
Monastero di Dumenza
Domenica di Pasqua
Anno A
Letture: Atti degli apostoli 10,34a.37-43; Salmo 117; Colossesi 3, 1-4; Matteo 28, 1-8 (Veglia pasquale)
All’alba, alle prime luci, quasi clandestinamente, due donne si recano alla tomba nel giardino. Vuote le mani, vengono solo per visitare la tomba: guardare, osservare, sostare, ricordare. Sono le stesse donne che venerdì hanno abitato, senza arretrare di un centimetro, il perimetro attorno alla croce. Un angelo scese dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Non apre il sepolcro perché Gesù esca, è già uscito, ma per mostrarlo alle donne: il sepolcro è vuoto, il Nazareno è già altrove. Come, non è detto. Il mistero di Dio resta intatto. Donne, angelo, guardie, il brivido della terra, cielo, pietra, alba: tutti sono convocati perché Gesù Cristo cattura dentro il suo risorgere tutto l’universo; è energia che si dirama per tutte le vene del mondo, una forza che ha imbevuto di sé tutta la trama del creato. «E non riposerà più, fino a che non avrà raggiunto l’ultimo ramo della creazione e rovesciata la pietra dell’ultima tomba» (M. Luzi).
Le donne hanno il cuore grande abbastanza per parlare con gli angeli: “So che cercate Gesù, non è qui!”. Voi cercatrici, mendicanti dell’amato, continuate, ma con occhi nuovi. Che bello questo: non è qui! Cristo c’è, esiste, vive, ma non qui. Non è rinchiuso in nessun luogo. Va cercato altrove, diversamente, via dal territorio delle tombe, è in giro per le strade, un Dio da cogliere nella vita. Dappertutto, ma non qui, fra le cose morte. Bisogna cercare più a fondo: non c’è luogo che lo contenga, non chiesa, non parole o liturgie. Lui è oltre, sempre oltre è il suo infinito cammino. Non è qui, vi precede, è davanti ad aprire la nostra immensa migrazione verso la vita. È davanti, a ricevere in faccia il vento, il sole, il futuro, la violenza. Andate, vi precede. Un Dio migratore, abbiamo, che ama gli spazi aperti, che apre cammini, attraversa pietre e spalanca tombe.
Pasqua vuol dire “passare”. Non è festa per stanziali, ma per migratori, per chi inventa sentieri che facciano scollinare verso più giustizia, più pace, più armonia con il creato, verso terra nuova e cieli nuovi. Vi precede in Galilea. Là lo vedrete. Ucciso a Gerusalemme, risorto a Gerusalemme, ma l’incontro avverrà ai margini, lontano dal centro dei poteri omicidi, in Galilea dove tutto ha avuto inizio con tre anni di strade, lago, pani e pesci, olivi, le lezioni sulla felicità, intese amicali. Devono rileggere tutta la vita di Gesù per capire la sua risurrezione. Devono ripercorrere la sua vita dall’inizio, allora capiranno che Dio l’ha risuscitato perché una vita così non può finire. Che gesti e parole così meritano di non morire, hanno dentro la vita indistruttibile che Dio regala a chi produce amore.
P. Ermes Ronchi
Avvenire
Letture: Gv 20,1-9 (Messa del giorno)
Il brano evangelico che ascoltiamo in questo giorno di Pasqua e che sta al cuore della fede cristiana sembra più la concitata radiocronaca della conclusione di una gara podistica che non una autorevole e impegnata affermazione dogmatica. Sembra quasi di sentire ancora l’ansimare affannato dei personaggi coinvolti in questa competizione biologico-spirituale che non l’annuncio della vittoria della vita sulla morte e sul peccato. In un’epoca di comunicazione drogata e falsata per fini economici, politici o quant’altro, ci si rende qui conto della centralità della testimonianza diretta, dell’importanza dell’accertamento delle fonti, della responsabilità personale nel riportare e interpretare gli avvenimenti accaduti, senza amplificare inutilmente ma anche senza nulla togliere. Nessuno è ancora in grado di valutare fino in fondo le conseguenze di questo fatto – la scomparsa del cadavere di Gesù – ma si cerca di appurare la dinamica dei fatti senza inquinare le prove: si potrebbe forse parlare di un’analisi, di un indagine storico-poliziesca.
Questo livello giudiziale è assolutamente irrinunciabile e conferisce autorevolezza a ogni ulteriore sviluppo successivo: quale credito si potrebbe infatti tributare alla testimonianza di una donna, di peraltro dubbia moralità (cfr. vv. 1-2)? La tradizionale – ma assolutamente infondata e insostenibile – inaffidabilità femminile in ambito testimoniale viene completamente scardinata dal rapporto circostanziato di Simon Pietro e dell’«altro discepolo» (vv. 2.3.4.8). Se si ammette per quest’ultimo l’identificazione con Giovanni, ossia l’autore stesso del quarto evangelo, il testo diviene ancor più stupefacente: scritto verso la fine del I secolo, a distanza quindi di diversi decenni dagli avvenimenti narrati, riesce a trasmettere ancora quell’afflato sensibile e vivissimo che certamente deve aver caratterizzato quei momenti. Cosa passava in quegli istanti nel cuore, nella mente di questi discepoli? A che velocità doveva scorrere il sangue nelle loro vene?
Se si pensa, oggi, a quante milioni di pagine siano state scritte sul valore spirituale e teologico della risurrezione di Gesù si può rimanerne stupefatti. In Maria, Simon Pietro e il discepolo amato dal Signore (cfr. v. 2) il pensiero, il sentimento, il desiderio, la speranza è una sola: Gesù è ancora tra noi, è vivo, lo possiamo nuovamente incontrare, ascoltare, osservare; ci si può ancora lasciar amare da lui! Cosa significhi che Gesù non sia stato trattenuto dalla morte – la prima lettura comincia a elaborare la prima teologia cristiana al riguardo: «egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio (…). Chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome» (At 10,42.43) – non lo sanno né ci vogliono pensare: la domanda, che ci viene consegnata affinché noi stessi la facciamo responsabilmente maturare in noi mediante un’adesione personalizzata, è: se Gesù non è qui, dov’è?
Quello straordinario teologo che sarà Paolo potrà, a qualche anno di distanza, scrivere il magnifico testo riportatoci dalla seconda lettura odierna: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria» (Col 3,1-4). In queste poche espressioni c’è già tutta l’antropologia, la spiritualità, l’escatologia cristiana, un intero affascinante programma di sequela e maturazione in Cristo. Ma cosa poteva esserci nella mente di Pietro e Giovanni se non il ricordo di qualche parola pronunciata dallo stesso Gesù? «Non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti» (v. 9).
Noi riusciamo a percepire quella passione che bruciava nel cuore di quei primi discepoli? La nostra sequela del Signore Gesù è attraversata dalla medesima ansia di incontrarlo, servirlo, amarlo? Domandiamo che in questa Pasqua il Signore faccia davvero risorgere, risuscitare la nostra esistenza, facendola passare da una ricerca del nostro piccolo interesse personale alla condivisione con tutti gli uomini di buona volontà, dalla paura al coraggio della testimonianza, dalla tristezza alla gioia e alla speranza.
Monastero di Dumenza