Letture: Isaia 2,1-5; Salmo 121; Romani 13,11-14; Matteo 24,37-44
Come nei giorni che precedettero il diluvio, mangiavano e bevevano e non si accorsero di nulla… I giorni di Noè sono i giorni ininterrotti delle nostre disattenzioni, il grande peccato: «questo soprattutto perdonate: la mia disattenzione» (Mariangela Gualtieri). Al vertice opposto, come suo contrario, sull’altro piatto della bilancia ci soccorre l’attenzione «che è la preghiera spontanea dell’anima» (M. Gualtieri). Avvento: tempo per essere vigili, come madri in attesa, attenti alla vita che danza nei grembi, quelli di Maria e di Elisabetta, le prime profetesse, e nei grembi di «tutti gli atomi di Maria sparsi nel mondo e che hanno nome donna» (Giovanni Vannucci).
Avvento è vita che nasce, a sussurrare che questo mondo porta un altro mondo nel grembo, con la sua danza lenta e testarda come il battito del cuore. Avvento: quando Dio è una realtà germinante, colui che presiede ad ogni nascita, che interviene nella storia non con le gesta dei potenti, ma con il miracolo umile e strepitoso della vita, con la danza di un grembo, in cui lievita il pane di un uomo nuovo. Dio è colui che invece di porre la scure alla radice dell’albero, inventa cure per ogni germoglio, per ogni hinnon (Salmo 72,17), che è anche nome di Dio. Due uomini saranno nel campo… due donne macineranno alla mola, una rapita, una lasciata; due soldati saranno al fronte in Ucraina, uno sarà ferito, uno resta incolume. Perché questa alternanza di vita e di morte, di salvati e di sommersi? Gesù stesso non lo spiega. Sappiamo però che caso, fatalità, fortuna sono concetti assolutamente estranei al mondo biblico. Dio non gioca a dadi con la sua creazione.
Io credo con tutto me stesso che, nonostante qualsiasi smentita, la storia, mia e di tutti, è sempre un reale cammino di salvezza. E il capo del filo è saldo nelle mani di Dio. Se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro… Un ladro come metafora del Signore! Di lui che non ruba niente e dona tutto. Se solo sapessi il momento… ma risposta non c’è, non c’è un momento da immaginare; il tempo, tutto il tempo è il messaggero di Dio, ne solleva le parole sulle sue ali insonni. Viene adesso il Signore, camminatore dei secoli e dei giorni, viene segnando le date nel calendario della vita; e ti sorprende quando l’abbraccio di un amico ti disarma, quando ti stupisce il grido vittorioso di un bimbo che nasce, una illuminazione interiore, un brivido di gioia che non sai perché. È un ladro ben strano: viene per rendere più breve la notte. Tempo di albe e di strade è l’avvento, quando il nome di Dio è Colui-che-viene, Dio che cammina a piedi nella polvere della strada. E la tua casa non è una tappa ma la meta del suo viaggio.
P. Ermes Ronchi
Avvenire
Inizia oggi un nuovo anno liturgico: l’Avvento, tempo di attesa, periodo particolare che ci invita a ripercorrere e a rivivere la storia della nostra salvezza. In queste quattro domeniche la liturgia ci solleciterà a ravvivare la nostra attesa nel Signore che «verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti».
Gesù è il «veniente» – come afferma l’Apocalisse -, e a lui dobbiamo andare incontro con le buone opere. Questo andare con gioia incontro al Signore è l’atteggiamento da coltivare specialmente nell’Avvento. Tutti siamo invitati ad andare con gioia, con esultanza, con consapevolezza e senza indugi incontro a «Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!» (cf Ap 1, 8). Non possiamo vivere con spensieratezza come i contemporanei di Noè i quali, «nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo». Spesso, anche noi, siamo in questo stato di apatia morale: chiudiamo gli occhi ai fatti tragici che sconvolgono l’umanità e, purtroppo, riusciamo perfino a non accorgerci delle esigenze più profonde che urgono dentro di noi. Viviamo in una società addormentata, che tenta di banalizzare tutto, che cerca di mascherare le proprie paure e angosce con false sicurezze, con il miraggio dispersivo del piacere, del denaro, del successo.
Ecco allora attuale il pressante richiamo di san Paolo: «è ormai tempo di svegliarvi dal sonno». Scuotiamoci dal nostro torpore, dalle nostre insensibilità, dalla nostra scarsa attenzione a Dio che viene e al prossimo che ci interpella. Solo se viviamo questa «consapevolezza del momento» e ci «rivestiamo del Signore Gesù Cristo» possiamo accogliere il monito di Gesù: «Vegliate…tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». La vigilanza richiede una grande capacità di preghiera e di lotta interiore per non essere intontiti, in balìa di falsi affanni, preda dello stordimento (cf Lc 21, 34-36). In altre parole, il credente è chiamato a «comportarsi onestamente, come in pieno giorno». Pertanto, tutto ciò che è ambiguità, ciò che è falsità con noi e con gli altri, ciò che è contraddizione fra quello che professiamo nella fede e ciò che viviamo, ciò che suscita contesa, gelosia, sopruso, violenza, non appartiene al regno di Dio: sono opere delle tenebre che noi dobbiamo gettare via, secondo l’esortazione di san Paolo.
Per questo Gesù ci dà un comando: «Vegliate», cioè state attenti, camminate nella strada giusta. Nel vangelo, l’immagine del Signore paragonato a un ladro che sopraggiunge nel cuore della notte, esprime in modo fortemente significativo la necessità di questa continua vigilanza, perché la chiesa e i cristiani corrono continuamente il rischio di non sentire i passi di Gesù che viene e che bussa alle loro porte.
Facciamo nostra la parola del profeta Isaia: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Le vie che Gesù ci ha indicato e ci indica ancora oggi sono le beatitudini, le vie della pace e della riconciliazione. Il profeta continua dicendo: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra». Sembra un sogno ciò che dice Isaia. Infatti la realtà quotidiana sono le guerre, le armi, le stragi. Però, in questo mondo sconvolto che sembra senza speranza, noi dobbiamo continuare a sperare ed essere tenaci operatori di pace, come lo furono i profeti, come lo fu soprattutto Gesù, nostra pace. Chiediamo a Dio nostro Padre che risvegli in noi uno spirito vigilante affinché ci aiuti a camminare sulle sue vie secondo la sua volontà.
Don Lucio D’Abbraccio
I domenica di Avvento
Anno A
Letture: Isaia 2,1-5; Salmo 121; Romani 13,11-14; Matteo 24,37-44
Come nei giorni che precedettero il diluvio, mangiavano e bevevano e non si accorsero di nulla… I giorni di Noè sono i giorni ininterrotti delle nostre disattenzioni, il grande peccato: «questo soprattutto perdonate: la mia disattenzione» (Mariangela Gualtieri). Al vertice opposto, come suo contrario, sull’altro piatto della bilancia ci soccorre l’attenzione «che è la preghiera spontanea dell’anima» (M. Gualtieri). Avvento: tempo per essere vigili, come madri in attesa, attenti alla vita che danza nei grembi, quelli di Maria e di Elisabetta, le prime profetesse, e nei grembi di «tutti gli atomi di Maria sparsi nel mondo e che hanno nome donna» (Giovanni Vannucci).
Avvento è vita che nasce, a sussurrare che questo mondo porta un altro mondo nel grembo, con la sua danza lenta e testarda come il battito del cuore. Avvento: quando Dio è una realtà germinante, colui che presiede ad ogni nascita, che interviene nella storia non con le gesta dei potenti, ma con il miracolo umile e strepitoso della vita, con la danza di un grembo, in cui lievita il pane di un uomo nuovo. Dio è colui che invece di porre la scure alla radice dell’albero, inventa cure per ogni germoglio, per ogni hinnon (Salmo 72,17), che è anche nome di Dio. Due uomini saranno nel campo… due donne macineranno alla mola, una rapita, una lasciata; due soldati saranno al fronte in Ucraina, uno sarà ferito, uno resta incolume. Perché questa alternanza di vita e di morte, di salvati e di sommersi? Gesù stesso non lo spiega. Sappiamo però che caso, fatalità, fortuna sono concetti assolutamente estranei al mondo biblico. Dio non gioca a dadi con la sua creazione.
Io credo con tutto me stesso che, nonostante qualsiasi smentita, la storia, mia e di tutti, è sempre un reale cammino di salvezza. E il capo del filo è saldo nelle mani di Dio. Se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro… Un ladro come metafora del Signore! Di lui che non ruba niente e dona tutto. Se solo sapessi il momento… ma risposta non c’è, non c’è un momento da immaginare; il tempo, tutto il tempo è il messaggero di Dio, ne solleva le parole sulle sue ali insonni. Viene adesso il Signore, camminatore dei secoli e dei giorni, viene segnando le date nel calendario della vita; e ti sorprende quando l’abbraccio di un amico ti disarma, quando ti stupisce il grido vittorioso di un bimbo che nasce, una illuminazione interiore, un brivido di gioia che non sai perché. È un ladro ben strano: viene per rendere più breve la notte. Tempo di albe e di strade è l’avvento, quando il nome di Dio è Colui-che-viene, Dio che cammina a piedi nella polvere della strada. E la tua casa non è una tappa ma la meta del suo viaggio.
P. Ermes Ronchi
Avvenire
Inizia oggi un nuovo anno liturgico: l’Avvento, tempo di attesa, periodo particolare che ci invita a ripercorrere e a rivivere la storia della nostra salvezza. In queste quattro domeniche la liturgia ci solleciterà a ravvivare la nostra attesa nel Signore che «verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti».
Gesù è il «veniente» – come afferma l’Apocalisse -, e a lui dobbiamo andare incontro con le buone opere. Questo andare con gioia incontro al Signore è l’atteggiamento da coltivare specialmente nell’Avvento. Tutti siamo invitati ad andare con gioia, con esultanza, con consapevolezza e senza indugi incontro a «Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!» (cf Ap 1, 8). Non possiamo vivere con spensieratezza come i contemporanei di Noè i quali, «nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo». Spesso, anche noi, siamo in questo stato di apatia morale: chiudiamo gli occhi ai fatti tragici che sconvolgono l’umanità e, purtroppo, riusciamo perfino a non accorgerci delle esigenze più profonde che urgono dentro di noi. Viviamo in una società addormentata, che tenta di banalizzare tutto, che cerca di mascherare le proprie paure e angosce con false sicurezze, con il miraggio dispersivo del piacere, del denaro, del successo.
Ecco allora attuale il pressante richiamo di san Paolo: «è ormai tempo di svegliarvi dal sonno». Scuotiamoci dal nostro torpore, dalle nostre insensibilità, dalla nostra scarsa attenzione a Dio che viene e al prossimo che ci interpella. Solo se viviamo questa «consapevolezza del momento» e ci «rivestiamo del Signore Gesù Cristo» possiamo accogliere il monito di Gesù: «Vegliate…tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». La vigilanza richiede una grande capacità di preghiera e di lotta interiore per non essere intontiti, in balìa di falsi affanni, preda dello stordimento (cf Lc 21, 34-36). In altre parole, il credente è chiamato a «comportarsi onestamente, come in pieno giorno». Pertanto, tutto ciò che è ambiguità, ciò che è falsità con noi e con gli altri, ciò che è contraddizione fra quello che professiamo nella fede e ciò che viviamo, ciò che suscita contesa, gelosia, sopruso, violenza, non appartiene al regno di Dio: sono opere delle tenebre che noi dobbiamo gettare via, secondo l’esortazione di san Paolo.
Per questo Gesù ci dà un comando: «Vegliate», cioè state attenti, camminate nella strada giusta. Nel vangelo, l’immagine del Signore paragonato a un ladro che sopraggiunge nel cuore della notte, esprime in modo fortemente significativo la necessità di questa continua vigilanza, perché la chiesa e i cristiani corrono continuamente il rischio di non sentire i passi di Gesù che viene e che bussa alle loro porte.
Facciamo nostra la parola del profeta Isaia: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Le vie che Gesù ci ha indicato e ci indica ancora oggi sono le beatitudini, le vie della pace e della riconciliazione. Il profeta continua dicendo: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra». Sembra un sogno ciò che dice Isaia. Infatti la realtà quotidiana sono le guerre, le armi, le stragi. Però, in questo mondo sconvolto che sembra senza speranza, noi dobbiamo continuare a sperare ed essere tenaci operatori di pace, come lo furono i profeti, come lo fu soprattutto Gesù, nostra pace. Chiediamo a Dio nostro Padre che risvegli in noi uno spirito vigilante affinché ci aiuti a camminare sulle sue vie secondo la sua volontà.
Don Lucio D’Abbraccio