In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». […]
Giovanni vedendo Gesù venire… Poter avere, come lui, occhi di profeta e so che non è impossibile perchè «vi è un pizzico di profeta nei recessi di ogni esistenza umana» (A.J. Heschel); vedere Gesù mentre viene, eternamente incamminato lungo il fiume dei giorni, carico di tutta la lontananza; mentre viene negli occhi dei fratelli uccisi come agnelli; mentre viene lungo il confine tra bene e male dove si gioca il tuo e, in te, il destino del mondo. Vederlo venire (come ci è stato concesso a Natale) pellegrino dell’eternità, nella polvere dei nostri sentieri, sparpagliato per tutta la terra, rabdomante d’amore dentro l’accampamento umano, da dove non se ne andrà mai più. Ecco l’agnello, il piccolo del gregge, l’ultimo nato che ha ancora bisogno della madre e si affida al pastore, che vuole crescere con noi e in mezzo a noi.
Non è il «leone di Giuda», che viene a sistemare i malvagi e i prepotenti, ma un piccolo Dio che non può e non vuole far paura a nessuno; che non si impone, ma si propone e domanda solo di essere accolto. Accolto come il racconto della tenerezza di Dio. Viene e porta la rivoluzione della tenerezza, porta un altro modo possibile di abitare la terra, vivendo una vita libera da inganno e da violenza. Amatevi, dirà, altrimenti vi distruggerete, è tutto qui il Vangelo. Ecco l’agnello, inerme e più forte di tutti gli Erodi della terra. Una sfida a viso aperto alla violenza, alla sua logica, al disamore che è la radice di ogni peccato.
Viene l’Agnello di Dio, e porta molto di più del perdono, porta se stesso: Dio nella carne, il cromosoma divino nel nostro Dna, il suo cuore dentro il nostro cuore, respiro dentro il respiro, per sempre. E toglie il peccato del mondo. Il verbo è al declinato al presente: ecco Colui che instancabilmente, infallibilmente, giorno per giorno, continua a togliere, a raschiare via, adesso ancora, il male dell’uomo. E in che modo toglie il male? Con la minaccia e il castigo? No, ma con lo stesso metodo vitale, positivo con cui opera nella creazione.
Per vincere il buio della notte Dio incomincia a soffiare sulla luce del giorno; per vincere il gelo accende il suo sole; per vincere la steppa semina milioni di semi; per vincere la zizzania del campo si prende cura del buon grano; per demolire la menzogna Lui passa libero, disarmato, amorevole fra le creature. Il peccato è tolto: nel Vangelo il peccato è presente e tuttavia è assente. Gesù ne parla solo per dirci: è tolto, è perdonabile sempre! E come Lui, il discepolo non condanna, ma annuncia un Dio che dimentica se stesso dietro una pecora smarrita, un bambino, un’adultera. Che muore per loro e tutti li catturerà dentro la sua risurrezione.
Letture: Isaia 49,3.5-6; Salmo 39; 1 Corinzi 1,1-3; Giovanni 1,29-34
Ermes Ronchi
Avvenire
Dopo l’Epifania e il Battesimo, la liturgia ci fa soffermare ancora sulle manifestazioni di Gesù. Il vangelo di oggi ci presenta la testimonianza del Battista che rivela l’identità di Gesù e la sua missione. Il IV evangelo si apre con la testimonianza del Battista: l’evangelista omette di narrare le vicende della nascita e dell’infanzia di Gesù per immetterci immediatamente in un processo di ricerca della verità che, attraverso numerose altre testimonianze (Gv 5,37.39; 8,18; 15,26; 19,35; 21,24) e le parole e le opere di Gesù, ci faccia giungere a credere che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio (Gv 20, 30-31). L’evangelista avvia la narrazione inserendo una notazione temporale (Gv 1, 29: il giorno dopo) che cadenza all’interno di una settimana la presentazione di Gesù, la chiamata dei discepoli con l’inizio del suo ministero (Gv 1, 35.43) e il primo dei segni che manifesta la sua gloria (Gv 2,1: Le nozze di Cana).
Se si considera poi che la prima parola dell’inno del prologo è “In principio” (Gv 1,1), con un chiaro richiamo alla Genesi, comprendiamo che l’intento è mostrare che in Gesù avviene una nuova creazione, l’intervento di Gesù nella storia rifonda e rinnova l’umanità. In questo modo, è segnato il passaggio dall’antica alla nuova alleanza e Giovanni Battista, facendosi raggiungere dalla grazia della conoscenza (Gv 1,31.33) è l’anello di congiunzione che introduce alla novità della speranza cristiana (le cose di prima sono passate. Ecco, io faccio nuove tutte le cose: Ap 21,4-5).
Due volte il Battista ammette “Io non lo conoscevo” rivelando come l’incontro col Signore sia dono di grazia, dono da scorgere nell’umiltà del silenzio e dell’ascolto, per aprirsi all’accoglienza del nuovo che Dio prepara per l’uomo. È sempre Dio che va all’uomo, è lui che ci viene incontro, con semplicità e discrezione, spesso in modo inatteso e sorprendente, e la comunità dei credenti insieme al Battista deve farsi indice che orienta e guida la capacità di riconoscere la presenza viva del Signore in mezzo a noi.
Egli lo presenta con il titolo messianico “agnello di Dio”, espressione ripresa dai canti del Servo sofferente del profeta Isaia, in cui viene preannunciato un Messia mite e indifeso, che senza opporre resistenza (Is 40,5) si lascia maltrattare e umiliare come pecora muta di fronte ai tosatori, come agnello condotto al macello (Is 53,7) e spoglia se stesso fino alla morte (Is 53,12), caricandosi le nostre sofferenze (Is 53,4) addossandosi le nostre iniquità (Is 53,11) perché per tutti, non solo per Israele, ma fino all’estremità della terra, egli possa essere luce delle nazioni (Is 49,6).
“Ecco” chi è Gesù e ciò che farà: Il Figlio di Dio (Gv 1,34), accompagnato dallo Spirito del Padre (Gv 1,33), toglie e porta su di sé il peccato del mondo, ossia la fragilità umana all’origine dell’incredulità e dell’ingiustizia che tutti commettiamo e sperimentiamo. Donando se stesso, proponendo e non imponendo, non chiedendo sacrifici, ma sacrificandosi, non chiedendo offerte, ma offrendosi, Gesù si fa prossimo all’uomo e al suo bisogno e ci mostra la via che conduce al Padre.
Egli si rivela quale dono d’amore, che affronta la morte perché non ci sia più la morte, che si fa sacrificio perché non ci siano più sacrifici, ma nell’amore fraterno si compia la vita (Mt 25,34-46). La scena al Giordano ci porta direttamente alla croce, in cui Gesù, vero agnello della pasqua ultima e definitiva, manifesta la sua gloria e ci fa dono del suo Spirito perché in esso possiamo immergerci e rinascere a nuova vita, una vita sotto il segno dell’amore e del dono di sé, una vita che non finisce. La pagina odierna ci invita a farci testimoni con umiltà, fede e stupore. Divenendo testimoni del Figlio, siamo accolti nel seno paterno per amare i fratelli, come siamo amati.
Monica
Comunità Kairòs
II domenica
Tempo ordinario, Anno A
In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». […]
Giovanni vedendo Gesù venire… Poter avere, come lui, occhi di profeta e so che non è impossibile perchè «vi è un pizzico di profeta nei recessi di ogni esistenza umana» (A.J. Heschel); vedere Gesù mentre viene, eternamente incamminato lungo il fiume dei giorni, carico di tutta la lontananza; mentre viene negli occhi dei fratelli uccisi come agnelli; mentre viene lungo il confine tra bene e male dove si gioca il tuo e, in te, il destino del mondo. Vederlo venire (come ci è stato concesso a Natale) pellegrino dell’eternità, nella polvere dei nostri sentieri, sparpagliato per tutta la terra, rabdomante d’amore dentro l’accampamento umano, da dove non se ne andrà mai più. Ecco l’agnello, il piccolo del gregge, l’ultimo nato che ha ancora bisogno della madre e si affida al pastore, che vuole crescere con noi e in mezzo a noi.
Non è il «leone di Giuda», che viene a sistemare i malvagi e i prepotenti, ma un piccolo Dio che non può e non vuole far paura a nessuno; che non si impone, ma si propone e domanda solo di essere accolto. Accolto come il racconto della tenerezza di Dio. Viene e porta la rivoluzione della tenerezza, porta un altro modo possibile di abitare la terra, vivendo una vita libera da inganno e da violenza. Amatevi, dirà, altrimenti vi distruggerete, è tutto qui il Vangelo. Ecco l’agnello, inerme e più forte di tutti gli Erodi della terra. Una sfida a viso aperto alla violenza, alla sua logica, al disamore che è la radice di ogni peccato.
Viene l’Agnello di Dio, e porta molto di più del perdono, porta se stesso: Dio nella carne, il cromosoma divino nel nostro Dna, il suo cuore dentro il nostro cuore, respiro dentro il respiro, per sempre. E toglie il peccato del mondo. Il verbo è al declinato al presente: ecco Colui che instancabilmente, infallibilmente, giorno per giorno, continua a togliere, a raschiare via, adesso ancora, il male dell’uomo. E in che modo toglie il male? Con la minaccia e il castigo? No, ma con lo stesso metodo vitale, positivo con cui opera nella creazione.
Per vincere il buio della notte Dio incomincia a soffiare sulla luce del giorno; per vincere il gelo accende il suo sole; per vincere la steppa semina milioni di semi; per vincere la zizzania del campo si prende cura del buon grano; per demolire la menzogna Lui passa libero, disarmato, amorevole fra le creature. Il peccato è tolto: nel Vangelo il peccato è presente e tuttavia è assente. Gesù ne parla solo per dirci: è tolto, è perdonabile sempre! E come Lui, il discepolo non condanna, ma annuncia un Dio che dimentica se stesso dietro una pecora smarrita, un bambino, un’adultera. Che muore per loro e tutti li catturerà dentro la sua risurrezione.
Letture: Isaia 49,3.5-6; Salmo 39; 1 Corinzi 1,1-3; Giovanni 1,29-34
Ermes Ronchi
Avvenire
Dopo l’Epifania e il Battesimo, la liturgia ci fa soffermare ancora sulle manifestazioni di Gesù. Il vangelo di oggi ci presenta la testimonianza del Battista che rivela l’identità di Gesù e la sua missione. Il IV evangelo si apre con la testimonianza del Battista: l’evangelista omette di narrare le vicende della nascita e dell’infanzia di Gesù per immetterci immediatamente in un processo di ricerca della verità che, attraverso numerose altre testimonianze (Gv 5,37.39; 8,18; 15,26; 19,35; 21,24) e le parole e le opere di Gesù, ci faccia giungere a credere che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio (Gv 20, 30-31). L’evangelista avvia la narrazione inserendo una notazione temporale (Gv 1, 29: il giorno dopo) che cadenza all’interno di una settimana la presentazione di Gesù, la chiamata dei discepoli con l’inizio del suo ministero (Gv 1, 35.43) e il primo dei segni che manifesta la sua gloria (Gv 2,1: Le nozze di Cana).
Se si considera poi che la prima parola dell’inno del prologo è “In principio” (Gv 1,1), con un chiaro richiamo alla Genesi, comprendiamo che l’intento è mostrare che in Gesù avviene una nuova creazione, l’intervento di Gesù nella storia rifonda e rinnova l’umanità. In questo modo, è segnato il passaggio dall’antica alla nuova alleanza e Giovanni Battista, facendosi raggiungere dalla grazia della conoscenza (Gv 1,31.33) è l’anello di congiunzione che introduce alla novità della speranza cristiana (le cose di prima sono passate. Ecco, io faccio nuove tutte le cose: Ap 21,4-5).
Due volte il Battista ammette “Io non lo conoscevo” rivelando come l’incontro col Signore sia dono di grazia, dono da scorgere nell’umiltà del silenzio e dell’ascolto, per aprirsi all’accoglienza del nuovo che Dio prepara per l’uomo. È sempre Dio che va all’uomo, è lui che ci viene incontro, con semplicità e discrezione, spesso in modo inatteso e sorprendente, e la comunità dei credenti insieme al Battista deve farsi indice che orienta e guida la capacità di riconoscere la presenza viva del Signore in mezzo a noi.
Egli lo presenta con il titolo messianico “agnello di Dio”, espressione ripresa dai canti del Servo sofferente del profeta Isaia, in cui viene preannunciato un Messia mite e indifeso, che senza opporre resistenza (Is 40,5) si lascia maltrattare e umiliare come pecora muta di fronte ai tosatori, come agnello condotto al macello (Is 53,7) e spoglia se stesso fino alla morte (Is 53,12), caricandosi le nostre sofferenze (Is 53,4) addossandosi le nostre iniquità (Is 53,11) perché per tutti, non solo per Israele, ma fino all’estremità della terra, egli possa essere luce delle nazioni (Is 49,6).
“Ecco” chi è Gesù e ciò che farà: Il Figlio di Dio (Gv 1,34), accompagnato dallo Spirito del Padre (Gv 1,33), toglie e porta su di sé il peccato del mondo, ossia la fragilità umana all’origine dell’incredulità e dell’ingiustizia che tutti commettiamo e sperimentiamo. Donando se stesso, proponendo e non imponendo, non chiedendo sacrifici, ma sacrificandosi, non chiedendo offerte, ma offrendosi, Gesù si fa prossimo all’uomo e al suo bisogno e ci mostra la via che conduce al Padre.
Egli si rivela quale dono d’amore, che affronta la morte perché non ci sia più la morte, che si fa sacrificio perché non ci siano più sacrifici, ma nell’amore fraterno si compia la vita (Mt 25,34-46). La scena al Giordano ci porta direttamente alla croce, in cui Gesù, vero agnello della pasqua ultima e definitiva, manifesta la sua gloria e ci fa dono del suo Spirito perché in esso possiamo immergerci e rinascere a nuova vita, una vita sotto il segno dell’amore e del dono di sé, una vita che non finisce. La pagina odierna ci invita a farci testimoni con umiltà, fede e stupore. Divenendo testimoni del Figlio, siamo accolti nel seno paterno per amare i fratelli, come siamo amati.
Monica
Comunità Kairòs