Letture: Atti 2,14.22-23; Salmo 15; 1 Pietro 1,17-21; Luca 24, 13-25
Il Vangelo di Emmaus si dipana come una grande liturgia in tre tempi: la liturgia della strada, della parola, del pane. Emmaus dista undici chilometri da Gerusalemme, tre ore di cammino, trascorse a parlare del sogno in cui avevano tanto investito, naufragato nel sangue. Ed ecco, Gesù si avvicinò e camminava con loro. Come un Dio sparpagliato per tutte le strade, che non impone nessun passo, prende il mio. Gli basta il passo del momento, quello quotidiano. Ogni camminare gli va bene, purché sia cammino. Poi, la liturgia della parola: e cominciando da Mosè e dai profeti spiegava loro le scritture, spiegava la vita con la Parola, spiegava che la Croce non è un incidente, ma la pienezza. E i due scoprono l’immensa verità: vedono un Dio che, così nascosto da sembrare assente, tesse il filo d’oro nella tela del mondo a partire dal punto più oscuro, la croce.
Ora sanno che la mano di Dio più sembra nascosta, più è potente. Più è silenziosa, più è efficace.Giunti a Emmaus Gesù mostra di voler andare più lontano. Come un senza fissa dimora, un Dio migratore per spazi liberi e aperti che appartengono a tutti. Allora si apre la liturgia del pane, attorno al primo altare che è la tavola di casa: lo riconobbero nello spezzare il pane. Sì, perché un giovedì, al tramonto Gesù aveva pronunciato parole terribili su del pane e del vino: prendete e mangiate. Questo è il mio corpo. È il Tutto di me, fino all’ultima fibra, fino all’ultima ferita. È per voi. La storia di Gesù profuma di pane. Il pane, buono da solo e buono con tutto.
Ma spezzare il pane non mostra la conclusione, è solo il primo tempo del donare. Prendo qualcosa di mio e lo do a te. Lascio nelle tue mani un pezzo di me, una porzione, una frazione, briciole, qualcosa che da mio diventa tuo. Spezzare: vi è riassunta l’anima di Gesù, la sua storia, la sua missione. Lui non spezza nessuno, spezza se stesso. Lui non chiede nulla, offre tutto.Per secoli la Messa è stata chiamata fractio panis, lo spezzare il pane e il donarlo. Preso da Isaia 58: spezza il tuo pane con l’affamato e la tua fame finirà; illumina altri e ti illuminerai; guarisci la ferita d’altri e guarirà la tua ferita.L’asse portante del vangelo e il dono e non il sacrificio. Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, partono come chiamati, come se la notte non dovesse venire più, partono con il sole dentro, senza paura. Un miracolo. Ma il primo miracolo è stato un altro: non ci bruciava forse il cuore mentre per via ci spiegava il senso delle Scritture e della vita? Perché «chi mangia me, mangia il fuoco! Abbiamo mangiato il fuoco nel pane» (Efrem il Siro, Inni sulla fede, IV sec.).
P. Ermes Ronchi
Avvenire
È un cammino, luogo di incontro e metafora del percorso di fede, che Luca inserisce all’interno del capitolo conclusivo del suo Vangelo. Sulla strada verso Emmaus, che segna il distanziamento da Gerusalemme, Gesù riappare. Sotto le spoglie di viandante, egli si avvicina ai due discepoli, avvolti dalle tenebre della disillusione e dello sconforto, e li affianca lungo il cammino. Avere creduto e sperato nel Messia, vederne ora la morte ignominiosa sulla croce, chiude definitivamente ogni speranza: a nulla vale, sconvolgente e considerato puro vaneggiamento, l’annunzio della resurrezione portato dalle donne di ritorno dal sepolcro. In questa situazione di sconforto e di vuoto, riempito solo dall’immagine terribile dell’appeso alla croce, dal dolore e dalla morte, non si può non provare un profondissimo disorientamento. Chi abbiamo seguito? Chi era colui in cui abbiamo creduto? Che ne è di tutto ciò in cui egli ci ha fatto sperare, se Israele non è stata liberata, ed egli è finito come tra i più reietti della terra?
Sembra di sentire, ritmati dai passi sul terreno, parole, ragionamenti, domande senza risposta, che sanno di sconfitta, a chiudere il sipario su ogni possibilità di fede e di speranza. Ed è a questo punto che il Risorto si avvicina e si fa compagno di cammino. Ma non può essere riconosciuto: «i loro occhi erano impediti», precisa Luca. Discreto e in ascolto, egli pone domande semplici che mirano a far loro percorrere un altro percorso, quello della memoria. Passo dopo passo, i discepoli snocciolano le tappe degli eventi: «Gesù Nazareno, che fu un uomo profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo, come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi lo hanno crocifisso». Ecco il punto di non ritorno: la croce, scandalo, pietra d’inciampo alla fede. Poi, l’annunzio delle donne. La tomba vuota. Il corpo non ritrovato. Troppo. In un giorno che idealmente si dilata («quello stesso giorno») troppi fatti, sconvolgenti, creano disorientamento profondo.
Ed è qui che Gesù propone una lettura altra di quegli stessi eventi: non fallimento, ma compimento. Compimento delle Scritture, che gli stessi discepoli conoscevano, ma cui probabilmente non credevano e che, pertanto, non riuscivano ancora a leggere. Incluso, e forse soprattutto, quella necessitas della croce di Gesù, uomo giusto, perseguitato in un mondo ingiusto e ostile. È questa infatti la triste fine del testimone che non si assoggetta a logiche di potere e di compromesso, e che affronta in nome della sua stessa fede il dramma dell’incomprensione, del rifiuto, della persecuzione. In questo senso è da intendere «Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». Ma i discepoli si sono fermati allo scandalo del dolore, e della morte di colui in cui avevano riposto ogni speranza, incapaci di collegare i fatti alla Scrittura, comprendendone il senso.
Tuttavia, ascoltare l’interpretazione e il racconto del forestiero provoca un cambiamento; sorge il desiderio profondo di continuare a stare con lui: «Rimani con noi» , è la richiesta che gli rivolgono. Entrati nella loro dimora, l’ospite si fa padrone di casa: seduto a tavola, benedice e spezza il pane e lo dà ai discepoli, ed è a questo punto che, ci dice Luca, «si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista». La parola, letta, interpretata e meditata, seguita dal gesto eucaristico dello spezzare il pane consente loro di vederlo. Rimasti soli, i due discepoli comprendono ora il sentimento che li attraversava mentre egli parlava: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». Così, quel cammino, che dal buio dell’incredulità, passo dopo passo, ha portato al riconoscimento e alla fede, diventa ora cammino di annuncio: in quello stesso giorno i discepoli ripercorrono a ritroso la via verso Gerusalemme, per raggiungere gli Undici riuniti e dare la loro testimonianza.
Sintesi e liturgia della storia di salvezza, questo brano è la buona notizia che ci viene incontro nel nostro percorso di fede attraversato dal dubbio, dallo sconcerto fino alla vertigine della non fede, sovente a causa dell’insopportabilità e imperscrutabilità del male, esso stesso fonte di un male altrettanto perfido: la perdita di ogni speranza. Disorientati, percorriamo altre vie, seppellendo sotto la coltre del nulla ciò in cui avevamo creduto e sperato. In questo percorso il Signore ci viene accanto, ma non possiamo coglierne la presenza se non ci mettiamo in ascolto della sua parola, se non ci facciamo interrogare da essa, se non cerchiamo di percepire ciò che nel frattempo si agita nel nostro cuore/mente. Facendo memoria delle sue parole e dei suoi gesti, meditiamo la buona novella del volto misericordioso del Padre, ritroviamo la gioia della vita solidale e fraterna, ci apriamo alla fede nella resurrezione.
Alessandra Colonna Romano
Comunità Kairòs
III domenica di Pasqua
Anno A
Letture: Atti 2,14.22-23; Salmo 15; 1 Pietro 1,17-21; Luca 24, 13-25
Il Vangelo di Emmaus si dipana come una grande liturgia in tre tempi: la liturgia della strada, della parola, del pane. Emmaus dista undici chilometri da Gerusalemme, tre ore di cammino, trascorse a parlare del sogno in cui avevano tanto investito, naufragato nel sangue. Ed ecco, Gesù si avvicinò e camminava con loro. Come un Dio sparpagliato per tutte le strade, che non impone nessun passo, prende il mio. Gli basta il passo del momento, quello quotidiano. Ogni camminare gli va bene, purché sia cammino. Poi, la liturgia della parola: e cominciando da Mosè e dai profeti spiegava loro le scritture, spiegava la vita con la Parola, spiegava che la Croce non è un incidente, ma la pienezza. E i due scoprono l’immensa verità: vedono un Dio che, così nascosto da sembrare assente, tesse il filo d’oro nella tela del mondo a partire dal punto più oscuro, la croce.
Ora sanno che la mano di Dio più sembra nascosta, più è potente. Più è silenziosa, più è efficace.Giunti a Emmaus Gesù mostra di voler andare più lontano. Come un senza fissa dimora, un Dio migratore per spazi liberi e aperti che appartengono a tutti. Allora si apre la liturgia del pane, attorno al primo altare che è la tavola di casa: lo riconobbero nello spezzare il pane. Sì, perché un giovedì, al tramonto Gesù aveva pronunciato parole terribili su del pane e del vino: prendete e mangiate. Questo è il mio corpo. È il Tutto di me, fino all’ultima fibra, fino all’ultima ferita. È per voi. La storia di Gesù profuma di pane. Il pane, buono da solo e buono con tutto.
Ma spezzare il pane non mostra la conclusione, è solo il primo tempo del donare. Prendo qualcosa di mio e lo do a te. Lascio nelle tue mani un pezzo di me, una porzione, una frazione, briciole, qualcosa che da mio diventa tuo. Spezzare: vi è riassunta l’anima di Gesù, la sua storia, la sua missione. Lui non spezza nessuno, spezza se stesso. Lui non chiede nulla, offre tutto.Per secoli la Messa è stata chiamata fractio panis, lo spezzare il pane e il donarlo. Preso da Isaia 58: spezza il tuo pane con l’affamato e la tua fame finirà; illumina altri e ti illuminerai; guarisci la ferita d’altri e guarirà la tua ferita.L’asse portante del vangelo e il dono e non il sacrificio. Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, partono come chiamati, come se la notte non dovesse venire più, partono con il sole dentro, senza paura. Un miracolo. Ma il primo miracolo è stato un altro: non ci bruciava forse il cuore mentre per via ci spiegava il senso delle Scritture e della vita? Perché «chi mangia me, mangia il fuoco! Abbiamo mangiato il fuoco nel pane» (Efrem il Siro, Inni sulla fede, IV sec.).
P. Ermes Ronchi
Avvenire
È un cammino, luogo di incontro e metafora del percorso di fede, che Luca inserisce all’interno del capitolo conclusivo del suo Vangelo. Sulla strada verso Emmaus, che segna il distanziamento da Gerusalemme, Gesù riappare. Sotto le spoglie di viandante, egli si avvicina ai due discepoli, avvolti dalle tenebre della disillusione e dello sconforto, e li affianca lungo il cammino. Avere creduto e sperato nel Messia, vederne ora la morte ignominiosa sulla croce, chiude definitivamente ogni speranza: a nulla vale, sconvolgente e considerato puro vaneggiamento, l’annunzio della resurrezione portato dalle donne di ritorno dal sepolcro. In questa situazione di sconforto e di vuoto, riempito solo dall’immagine terribile dell’appeso alla croce, dal dolore e dalla morte, non si può non provare un profondissimo disorientamento. Chi abbiamo seguito? Chi era colui in cui abbiamo creduto? Che ne è di tutto ciò in cui egli ci ha fatto sperare, se Israele non è stata liberata, ed egli è finito come tra i più reietti della terra?
Sembra di sentire, ritmati dai passi sul terreno, parole, ragionamenti, domande senza risposta, che sanno di sconfitta, a chiudere il sipario su ogni possibilità di fede e di speranza. Ed è a questo punto che il Risorto si avvicina e si fa compagno di cammino. Ma non può essere riconosciuto: «i loro occhi erano impediti», precisa Luca. Discreto e in ascolto, egli pone domande semplici che mirano a far loro percorrere un altro percorso, quello della memoria. Passo dopo passo, i discepoli snocciolano le tappe degli eventi: «Gesù Nazareno, che fu un uomo profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo, come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi lo hanno crocifisso». Ecco il punto di non ritorno: la croce, scandalo, pietra d’inciampo alla fede. Poi, l’annunzio delle donne. La tomba vuota. Il corpo non ritrovato. Troppo. In un giorno che idealmente si dilata («quello stesso giorno») troppi fatti, sconvolgenti, creano disorientamento profondo.
Ed è qui che Gesù propone una lettura altra di quegli stessi eventi: non fallimento, ma compimento. Compimento delle Scritture, che gli stessi discepoli conoscevano, ma cui probabilmente non credevano e che, pertanto, non riuscivano ancora a leggere. Incluso, e forse soprattutto, quella necessitas della croce di Gesù, uomo giusto, perseguitato in un mondo ingiusto e ostile. È questa infatti la triste fine del testimone che non si assoggetta a logiche di potere e di compromesso, e che affronta in nome della sua stessa fede il dramma dell’incomprensione, del rifiuto, della persecuzione. In questo senso è da intendere «Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». Ma i discepoli si sono fermati allo scandalo del dolore, e della morte di colui in cui avevano riposto ogni speranza, incapaci di collegare i fatti alla Scrittura, comprendendone il senso.
Tuttavia, ascoltare l’interpretazione e il racconto del forestiero provoca un cambiamento; sorge il desiderio profondo di continuare a stare con lui: «Rimani con noi» , è la richiesta che gli rivolgono. Entrati nella loro dimora, l’ospite si fa padrone di casa: seduto a tavola, benedice e spezza il pane e lo dà ai discepoli, ed è a questo punto che, ci dice Luca, «si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista». La parola, letta, interpretata e meditata, seguita dal gesto eucaristico dello spezzare il pane consente loro di vederlo. Rimasti soli, i due discepoli comprendono ora il sentimento che li attraversava mentre egli parlava: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». Così, quel cammino, che dal buio dell’incredulità, passo dopo passo, ha portato al riconoscimento e alla fede, diventa ora cammino di annuncio: in quello stesso giorno i discepoli ripercorrono a ritroso la via verso Gerusalemme, per raggiungere gli Undici riuniti e dare la loro testimonianza.
Sintesi e liturgia della storia di salvezza, questo brano è la buona notizia che ci viene incontro nel nostro percorso di fede attraversato dal dubbio, dallo sconcerto fino alla vertigine della non fede, sovente a causa dell’insopportabilità e imperscrutabilità del male, esso stesso fonte di un male altrettanto perfido: la perdita di ogni speranza. Disorientati, percorriamo altre vie, seppellendo sotto la coltre del nulla ciò in cui avevamo creduto e sperato. In questo percorso il Signore ci viene accanto, ma non possiamo coglierne la presenza se non ci mettiamo in ascolto della sua parola, se non ci facciamo interrogare da essa, se non cerchiamo di percepire ciò che nel frattempo si agita nel nostro cuore/mente. Facendo memoria delle sue parole e dei suoi gesti, meditiamo la buona novella del volto misericordioso del Padre, ritroviamo la gioia della vita solidale e fraterna, ci apriamo alla fede nella resurrezione.
Alessandra Colonna Romano
Comunità Kairòs