Letture (messa della notte): Is 9,1-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14
«Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce. Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio». Questo è l’annuncio pieno di speranza che ci affida Isaia, grande profeta messianico, nella I lettura della Veglia di Natale. Nelle diverse Messe (della Notte, dell’Aurora e del Giorno) il tema della Luce che vince le tenebre e della Salvezza che si realizza nel Figlio torna continuamente, perché il Natale del Signore è esattamente questo: la consegna di Dio all’uomo come Figlio, «Luce per illuminare le genti». L’Onnipotente, incarnatosi nel seno di Maria, porta del Natale, gestato con amore per nove mesi dalla Madre, atteso «con stupore e gioia grande», nasce come ogni uomo, dentro una famiglia, tra gli ordinari e straordinari problemi della quotidianità, minacciato, come può essere ogni persona umana, nella sua nudità, nella sua vulnerabilità, nella sua stessa dignità, nella vita fragile che da un momento all’altro può finire, anche perché non è abbastanza amata e custodita, perché è abbandonata, perché non le si riconosce il valore immenso che essa ha: un pezzo di Infinito dentro ciascuno di noi, che come tale non finirà mai.
Il Natale del Signore, con i racconti di speranza che ogni anno ascoltiamo dai Vangeli dell’infanzia, rischia di ripetersi come un rito senza anima e non ha senso se non ci apre gli occhi per vedere la Luce, come l’hanno vista i pastori, reietti e ultimi del mondo ma capaci di «vegliare», dunque vere sentinelle di Avvento. Sono i primi «avvolti dalla Luce»: essa rifulge sempre nella culla di un bambino. Cristo ci è dato come Bambino e come Figlio, da custodire e da difendere.
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Laura Paladino
Letture (messa del giorno): Isaia 52,7-10; Salmo 97; Ebrei 1,1-6; Giovanni 1,1-18
Un Vangelo immenso ascoltiamo oggi, che ci obbliga a pensare in grande. Giovanni comincia con un inno, un canto, che ci chiama a volare alto, un volo d’aquila che proietta Gesù di Nazaret verso i confini del cosmo e del tempo. In principio era il Verbo e il Verbo era Dio. Nel principio e nel profondo, nel tempo e fuori dal tempo. Un mito? No, perché il volo d’aquila plana fra le tende dell’accampamento umano: e venne ad abitare, piantò la sua tenda in mezzo a noi. Poi Giovanni apre di nuovo le ali e si lancia verso l’origine delle cose che esistono: tutto è stato fatto per mezzo di Lui (v 3). Nulla di nulla senza di lui. “In principio”, “tutto”, “nulla”, “Dio”, parole assolute, che ci mettono in rapporto con la totalità e con l’eternità, con Dio e con il cosmo, in una straordinaria visione che abbraccia tempo, cose, spazio, divinità. Senza di lui nulla di ciò che esiste è stato fatto. Non solo gli esseri umani, ma il filo d’erba e la pietra e il pettirosso di stamattina, tutta la vita è fiorita dalle sue mani. Nessuno e niente nasce da se stesso…
Natale: veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Ogni uomo, ogni donna, ogni bambino e ogni anziano, ogni malato e ogni migrante, tutti, nessuno escluso; nessuna esistenza è senza un grammo di quella luce, nessuna storia senza lo scintillio di un tesoro, abbastanza profondo perché nessun peccato possa mai spegnerlo. E allora c’è un frammento di Verbo in ogni carne, un pezzetto di Dio in ogni uomo, c’è santità in ogni vita. La luce splende nelle tenebre ma le tenebre non l’hanno vinta! Le tenebre non vincono la luce. Non la vincono mai. La notte non sconfigge il giorno. Ripetiamolo a noi e agli altri, in questo mondo duro e triste: il buio non vince.
“In principio era il Verbo e il Verbo era Dio…”. Che vorrei tradurre: in principio era la tenerezza / e la tenerezza era Dio. E la tenerezza di Dio si è fatta carne. Natale è il racconto di Dio caduto sulla terra come un bacio (B. Calati). Natale è il brivido del divino nella storia (papa Francesco). Per questo siamo più felici a Natale, perché ascolti il brivido, rallenti il tempo, guardi di più tuo figlio, gli dai una carezza… Gesù è il racconto della tenerezza di Dio (Ev. Ga.), porta la rivoluzione non della onnipotenza o della perfezione, ma della tenerezza e della piccolezza: Dio nell’umiltà, il segreto del Natale. Dio nella piccolezza, forza dirompente del Natale. Dio adagiato sulla povera paglia come una spiga nuova. Noi non stiamo aspettando Qualcuno che verrà all’improvviso, ma vogliamo prendere coscienza di Qualcuno che, come una luce, già abita la nostra vita.
P. Ermes Ronchi
Avvenire
La liturgia, nel giorno di Natale, alla messa del giorno, ci fa leggere il prologo di san Giovanni. L’apostolo ed evangelista scrive: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. […] E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Il Verbo di Dio, ossia il «Figlio unigenito che viene dal Padre», colui al quale il Padre guardava per creare il mondo, decide di prendere un corpo, di calarsi nelle tenebre della finitudine. Dice ancora l’evangelista Giovanni: «…noi abbiamo contemplato la sua gloria». Sappiamo che Giovanni è stato vicinissimo a Gesù, ha condiviso con lui alcuni anni di vita, colui che nell’ultima cena si è chinato «sul petto di Gesù» (cf Gv 13, 25), colui che ha toccato la sua «carne». Ora sa che questa carne umana, debole e mortale, apparteneva al Figlio eterno del Padre e gli ha permesso di rendere visibile il volto di Dio.
Per questo, rubando le prime parole al libro della Genesi, l’evangelista stabilisce l’inizio di tutto non nella creazione del cielo e della terra, ma nell’eternità abitata da Dio Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo: «Egli era, in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste». La nostra storia umana, quindi, inizia nell’amore eterno del Padre, che insieme al Figlio nello Spirito crea tutte le cose e l’uomo a sua immagine (Gn 1, 27). La creazione richiede anche la rivelazione, altrimenti l’uomo non potrebbe conoscere l’amore da cui ha avuto origine. Questo comporta che il Figlio si renda presente nel mondo. Lui è la vita, lui è la luce del mondo: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini». Ma la sua venuta ha fatto esplodere il dramma: la luce si scontra con le tenebre, che tentano di oscurarla, ma sono sconfitte; coloro che avrebbero dovuto accogliere a braccia aperte la vita, l’hanno respinta e hanno preferito la morte: «La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta».
Ma il Verbo incarnato non si è arreso! Egli – scrive l’apostolo Paolo – «ha umiliato se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (cf Fil 2, 8), ha dato la sua vita, perché quelli che accolgono il suo dono diventino, per mezzo di lui, veri figli di Dio: «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio». Quindi Gesù, unigenito figlio di Dio, «luce vera nel mondo, quella che illumina ogni uomo», è venuto nel mondo, diventando in tutto uomo come noi, fuorché nel peccato, per rivelare l’amore misericordioso del Padre. Ebbene, la festa del Natale del Signore, che fa memoria della sua incarnazione, ci pone di fronte alla scelta che non si fa una sola volta, ma va rinnovata ogni giorno: lasciare le tenebre per essere avvolti dalla luce di Cristo, rifiutare l’odio per vivere nell’amore che lui ci ha insegnato e mostrato! Chiediamo a Dio Padre onnipotente affinché ci aiuti a gustare la bellezza di essere suoi figli e a camminare nella sua luce, per giungere, un giorno, alla Gerusalemme del cielo.
Don Lucio d’Abbraccio
Natale del Signore
Anno A
Letture (messa della notte): Is 9,1-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14
«Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce. Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio». Questo è l’annuncio pieno di speranza che ci affida Isaia, grande profeta messianico, nella I lettura della Veglia di Natale. Nelle diverse Messe (della Notte, dell’Aurora e del Giorno) il tema della Luce che vince le tenebre e della Salvezza che si realizza nel Figlio torna continuamente, perché il Natale del Signore è esattamente questo: la consegna di Dio all’uomo come Figlio, «Luce per illuminare le genti». L’Onnipotente, incarnatosi nel seno di Maria, porta del Natale, gestato con amore per nove mesi dalla Madre, atteso «con stupore e gioia grande», nasce come ogni uomo, dentro una famiglia, tra gli ordinari e straordinari problemi della quotidianità, minacciato, come può essere ogni persona umana, nella sua nudità, nella sua vulnerabilità, nella sua stessa dignità, nella vita fragile che da un momento all’altro può finire, anche perché non è abbastanza amata e custodita, perché è abbandonata, perché non le si riconosce il valore immenso che essa ha: un pezzo di Infinito dentro ciascuno di noi, che come tale non finirà mai.
Il Natale del Signore, con i racconti di speranza che ogni anno ascoltiamo dai Vangeli dell’infanzia, rischia di ripetersi come un rito senza anima e non ha senso se non ci apre gli occhi per vedere la Luce, come l’hanno vista i pastori, reietti e ultimi del mondo ma capaci di «vegliare», dunque vere sentinelle di Avvento. Sono i primi «avvolti dalla Luce»: essa rifulge sempre nella culla di un bambino. Cristo ci è dato come Bambino e come Figlio, da custodire e da difendere.
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Laura Paladino
Letture (messa del giorno): Isaia 52,7-10; Salmo 97; Ebrei 1,1-6; Giovanni 1,1-18
Un Vangelo immenso ascoltiamo oggi, che ci obbliga a pensare in grande. Giovanni comincia con un inno, un canto, che ci chiama a volare alto, un volo d’aquila che proietta Gesù di Nazaret verso i confini del cosmo e del tempo. In principio era il Verbo e il Verbo era Dio. Nel principio e nel profondo, nel tempo e fuori dal tempo. Un mito? No, perché il volo d’aquila plana fra le tende dell’accampamento umano: e venne ad abitare, piantò la sua tenda in mezzo a noi. Poi Giovanni apre di nuovo le ali e si lancia verso l’origine delle cose che esistono: tutto è stato fatto per mezzo di Lui (v 3). Nulla di nulla senza di lui. “In principio”, “tutto”, “nulla”, “Dio”, parole assolute, che ci mettono in rapporto con la totalità e con l’eternità, con Dio e con il cosmo, in una straordinaria visione che abbraccia tempo, cose, spazio, divinità. Senza di lui nulla di ciò che esiste è stato fatto. Non solo gli esseri umani, ma il filo d’erba e la pietra e il pettirosso di stamattina, tutta la vita è fiorita dalle sue mani. Nessuno e niente nasce da se stesso…
Natale: veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Ogni uomo, ogni donna, ogni bambino e ogni anziano, ogni malato e ogni migrante, tutti, nessuno escluso; nessuna esistenza è senza un grammo di quella luce, nessuna storia senza lo scintillio di un tesoro, abbastanza profondo perché nessun peccato possa mai spegnerlo. E allora c’è un frammento di Verbo in ogni carne, un pezzetto di Dio in ogni uomo, c’è santità in ogni vita. La luce splende nelle tenebre ma le tenebre non l’hanno vinta! Le tenebre non vincono la luce. Non la vincono mai. La notte non sconfigge il giorno. Ripetiamolo a noi e agli altri, in questo mondo duro e triste: il buio non vince.
“In principio era il Verbo e il Verbo era Dio…”. Che vorrei tradurre: in principio era la tenerezza / e la tenerezza era Dio. E la tenerezza di Dio si è fatta carne. Natale è il racconto di Dio caduto sulla terra come un bacio (B. Calati). Natale è il brivido del divino nella storia (papa Francesco). Per questo siamo più felici a Natale, perché ascolti il brivido, rallenti il tempo, guardi di più tuo figlio, gli dai una carezza… Gesù è il racconto della tenerezza di Dio (Ev. Ga.), porta la rivoluzione non della onnipotenza o della perfezione, ma della tenerezza e della piccolezza: Dio nell’umiltà, il segreto del Natale. Dio nella piccolezza, forza dirompente del Natale. Dio adagiato sulla povera paglia come una spiga nuova. Noi non stiamo aspettando Qualcuno che verrà all’improvviso, ma vogliamo prendere coscienza di Qualcuno che, come una luce, già abita la nostra vita.
P. Ermes Ronchi
Avvenire
La liturgia, nel giorno di Natale, alla messa del giorno, ci fa leggere il prologo di san Giovanni. L’apostolo ed evangelista scrive: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. […] E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Il Verbo di Dio, ossia il «Figlio unigenito che viene dal Padre», colui al quale il Padre guardava per creare il mondo, decide di prendere un corpo, di calarsi nelle tenebre della finitudine. Dice ancora l’evangelista Giovanni: «…noi abbiamo contemplato la sua gloria». Sappiamo che Giovanni è stato vicinissimo a Gesù, ha condiviso con lui alcuni anni di vita, colui che nell’ultima cena si è chinato «sul petto di Gesù» (cf Gv 13, 25), colui che ha toccato la sua «carne». Ora sa che questa carne umana, debole e mortale, apparteneva al Figlio eterno del Padre e gli ha permesso di rendere visibile il volto di Dio.
Per questo, rubando le prime parole al libro della Genesi, l’evangelista stabilisce l’inizio di tutto non nella creazione del cielo e della terra, ma nell’eternità abitata da Dio Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo: «Egli era, in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste». La nostra storia umana, quindi, inizia nell’amore eterno del Padre, che insieme al Figlio nello Spirito crea tutte le cose e l’uomo a sua immagine (Gn 1, 27). La creazione richiede anche la rivelazione, altrimenti l’uomo non potrebbe conoscere l’amore da cui ha avuto origine. Questo comporta che il Figlio si renda presente nel mondo. Lui è la vita, lui è la luce del mondo: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini». Ma la sua venuta ha fatto esplodere il dramma: la luce si scontra con le tenebre, che tentano di oscurarla, ma sono sconfitte; coloro che avrebbero dovuto accogliere a braccia aperte la vita, l’hanno respinta e hanno preferito la morte: «La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta».
Ma il Verbo incarnato non si è arreso! Egli – scrive l’apostolo Paolo – «ha umiliato se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (cf Fil 2, 8), ha dato la sua vita, perché quelli che accolgono il suo dono diventino, per mezzo di lui, veri figli di Dio: «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio». Quindi Gesù, unigenito figlio di Dio, «luce vera nel mondo, quella che illumina ogni uomo», è venuto nel mondo, diventando in tutto uomo come noi, fuorché nel peccato, per rivelare l’amore misericordioso del Padre. Ebbene, la festa del Natale del Signore, che fa memoria della sua incarnazione, ci pone di fronte alla scelta che non si fa una sola volta, ma va rinnovata ogni giorno: lasciare le tenebre per essere avvolti dalla luce di Cristo, rifiutare l’odio per vivere nell’amore che lui ci ha insegnato e mostrato! Chiediamo a Dio Padre onnipotente affinché ci aiuti a gustare la bellezza di essere suoi figli e a camminare nella sua luce, per giungere, un giorno, alla Gerusalemme del cielo.
Don Lucio d’Abbraccio