Letture: Ezechiele 34,11-12.15-17; Salmo 22; Prima Corinzi 15,20-26.28; Matteo 25,31-46
Una scena potente, drammatica, detta del “giudizio universale”, ma che in realtà è la rivelazione della verità ultima sull’uomo e sulla vita, su ciò che rimane quando non rimane più niente: l’amore. Perché il tempo dell’amore è più lungo del tempo della vita. La scena risponde a una domanda antica quanto l’uomo: cosa hai fatto di tuo fratello? La Parola offre in risposta sei opere ordinarie, poi apre una feritoia straordinaria: ciò che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me! Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini, da giungere a identificarsi con loro: l’avete fatto a me!
Il povero è come Dio, è corpo e carne di Dio. Il cielo che il Padre abita sono i suoi figli.E capisco che a Dio manca qualcosa: all’amore manca di essere amato. È lì nell’ultimo della fila, mendicante di pane e di casa per i suoi amati: li vuole tutti dissetati, saziati, vestiti, guariti, consolati. E finché uno solo sarà sofferente, lo sarà anche lui. Davanti a questo Dio resto incantato, con lui mi sento al sicuro. E così farò anch’io, mi prenderò cura di un fratello, lo terrò al sicuro al riparo del mio cuore. Mi è d’immenso conforto sentire che il tema del giudizio non sarà il male ma il bene; non peccati, debolezze, difetti, ma gesti buoni, briciole gentili.
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P. Ermes Ronchi
Siamo giunti all’apice dell’anno liturgico e la liturgia ci invita a fissare lo sguardo su Gesù, Re dell’Universo. Una espressione piuttosto ambigua, se la leggiamo a partire dalle categorie di regalità che conosciamo! Certo, Gesù non è un Re al modo dei sovrani e governanti di questo mondo, ma Lui stesso si lascia definire così nel dialogo con Pilato, di fronte all’ormai imminente dono della sua vita fino alla fine: “Tu lo dici. Io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità” (cfr. Gv 18,33-37). Gesù è un re che dà testimonianza alla verità, cioè che mette in luce la verità della nostra vita, che svela il filo rosso che ha mosso le nostre azioni. In questo senso il Re Gesù “giudica”.
Nel brano del vangelo odierno, solitamente intitolato dalle nostre Bibbie “il giudizio finale”, il giudizio non è semplicemente qualcosa che il Re farà alla fine dei tempi. Il giudizio avviene infatti quando le nostre azioni sono poste di fronte a Lui. E non si tratta di un giudizio che mira a condannare, ma che ha come unico scopo quello di manifestare la verità del nostro agire: “Dio non ha mandato il Figlio per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. […] E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità, viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio” (Gv 3,17.19-21).
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Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo
Tempo ordinario, Anno A
Letture: Ezechiele 34,11-12.15-17; Salmo 22; Prima Corinzi 15,20-26.28; Matteo 25,31-46
Una scena potente, drammatica, detta del “giudizio universale”, ma che in realtà è la rivelazione della verità ultima sull’uomo e sulla vita, su ciò che rimane quando non rimane più niente: l’amore. Perché il tempo dell’amore è più lungo del tempo della vita. La scena risponde a una domanda antica quanto l’uomo: cosa hai fatto di tuo fratello? La Parola offre in risposta sei opere ordinarie, poi apre una feritoia straordinaria: ciò che avete fatto a uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me! Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini, da giungere a identificarsi con loro: l’avete fatto a me!
Il povero è come Dio, è corpo e carne di Dio. Il cielo che il Padre abita sono i suoi figli.E capisco che a Dio manca qualcosa: all’amore manca di essere amato. È lì nell’ultimo della fila, mendicante di pane e di casa per i suoi amati: li vuole tutti dissetati, saziati, vestiti, guariti, consolati. E finché uno solo sarà sofferente, lo sarà anche lui. Davanti a questo Dio resto incantato, con lui mi sento al sicuro. E così farò anch’io, mi prenderò cura di un fratello, lo terrò al sicuro al riparo del mio cuore. Mi è d’immenso conforto sentire che il tema del giudizio non sarà il male ma il bene; non peccati, debolezze, difetti, ma gesti buoni, briciole gentili.
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P. Ermes Ronchi
Siamo giunti all’apice dell’anno liturgico e la liturgia ci invita a fissare lo sguardo su Gesù, Re dell’Universo. Una espressione piuttosto ambigua, se la leggiamo a partire dalle categorie di regalità che conosciamo! Certo, Gesù non è un Re al modo dei sovrani e governanti di questo mondo, ma Lui stesso si lascia definire così nel dialogo con Pilato, di fronte all’ormai imminente dono della sua vita fino alla fine: “Tu lo dici. Io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità” (cfr. Gv 18,33-37). Gesù è un re che dà testimonianza alla verità, cioè che mette in luce la verità della nostra vita, che svela il filo rosso che ha mosso le nostre azioni. In questo senso il Re Gesù “giudica”.
Nel brano del vangelo odierno, solitamente intitolato dalle nostre Bibbie “il giudizio finale”, il giudizio non è semplicemente qualcosa che il Re farà alla fine dei tempi. Il giudizio avviene infatti quando le nostre azioni sono poste di fronte a Lui. E non si tratta di un giudizio che mira a condannare, ma che ha come unico scopo quello di manifestare la verità del nostro agire: “Dio non ha mandato il Figlio per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. […] E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità, viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio” (Gv 3,17.19-21).
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