Santissima Trinità

Anno A

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

I nomi di Dio sul monte sono uno più bello dell’altro: il misericordioso e pietoso, il lento all’ira, il ricco di grazia e di fedeltà (Es 34,6). Mosè è salito con fatica, due tavole di pietra in mano, e Dio sconcerta lui e tutti i moralisti, scrivendo su quella rigida pietra parole di tenerezza e di bontà. Che giungono fino a Nicodemo, a quella sera di rinascite. Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Siamo al versetto centrale del Vangelo di Giovanni, a uno stupore che rinasce ogni volta davanti a parole buone come il miele, tonificanti come una camminata in riva al mare, fra spruzzi d’onde e aria buona respirata a pieni polmoni: Dio ha tanto amato il mondo… e la notte di Nicodemo, e le nostre, s’illuminano.

Gesù sta dicendo al fariseo pauroso: il nome di Dio non è amore, è “tanto amore”, lui è “il molto-amante”. Dio altro non fa che, in eterno, considerare il mondo, ogni carne, più importanti di se stesso. Per acquistare me, ha perduto se stesso. Follia della croce. Pazzia di venerdì santo. Ma per noi rinascita: ogni essere nasce e rinasce dal cuore di chi lo ama. Proviamo a gustare la bellezza di questi verbi al passato: Dio ha amato, il Figlio è dato. Dicono non una speranza (Dio ti amerà, se tu…), ma un fatto sicuro e acquisito: Dio è già qui, ha intriso di sé il mondo, e il mondo ne è imbevuto. Lasciamo che i pensieri assorbano questa verità bellissima: Dio è già venuto, è nel mondo, qui, adesso, con molto amore. E ripeterci queste parole ad ogni risveglio, ad ogni difficoltà, ogni volta che siamo sfiduciati e si fa buio.

Il Figlio non è stato mandato per giudicare. «Io non giudico!»(Gv 8.15) Che parola dirompente, da ripetere alla nostra fede paurosa settanta volte sette! Io non giudico, né per sentenze di condanna e neppure per verdetti di assoluzione. Posso pesare i monti con la stadera e il mare con il cavo della mano (Is 40,12), ma l’uomo non lo peso e non lo misuro, non preparo né bilance, né tribunali. Io non giudico, io salvo. Salvezza, parola enorme.

Salvare vuol dire nutrire di pienezza e poi conservare. Dio conserva: questo mondo e me, ogni pensiero buono, ogni generosa fatica, ogni dolorosa pazienza; neppure un capello del vostro capo andrà perduto (Lc 21,18), neanche un filo d’erba, neanche un filo di bellezza scomparirà nel nulla. Il mondo è salvo perché amato. I cristiani non sono quelli che amano Dio, sono quelli che credono che Dio li ama, che ha pronunciato il suo sì al mondo, prima che il mondo dica sì a lui. Festa della Trinità: annuncio che Dio non è in se stesso solitudine, ma comunione, legame, abbraccio. Che ci ha raggiunto, e libera e fa alzare in volo una pulsione d’amore.

Letture: Esodo 34, 4-6.8-9; Deuteronomio 3,52-56; 2 Corinzi 13, 11-13; Giovanni 3, 16-18

Ermes Ronchi
Avvenire

 

Dio non è un giudice, ma è colui che comunica vita e offre all’umanità la pienezza di vita che si è manifestata e presentata nel Figlio unico, Gesù. È il vangelo di Giovanni, capitolo 3, versetti 16-18, ma che avremo bisogno di integrare con il 19 e il 20, altrimenti il brano, così com’è amputato dalla liturgia, non si capisce. “Dio infatti ha tanto amato il mondo” – quindi c’è questa manifestazione d’amore di Dio verso il mondo. Dio non è un Dio pessimista, un Dio nauseato dall’umanità, ma un Dio innamorato dell’umanità. Ed è talmente innamorato, ha talmente amato il mondo – “da dare il proprio figlio unigenito perché chiunque crede in lui …”. Credere nel figlio unigenito significa credere nel modello di umanità. Qui Gesù viene presentato come il figlio unigenito. È figlio di Dio, in quanto Gesù manifesta Dio nella sua condizione umana, ma è figlio dell’Uomo in quanto rappresenta l’uomo nella condizione divina. Quindi in Gesù c’è il modello dell’umanità.

Quanti hanno dato adesione a questo modello di umanità, e il modello di umanità, la crescita, la maturità piena dell’uomo, si ha in una capacità d’amore che non si lascia condizionare da nessuno. “Non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. La vita eterna per Gesù non è una promessa per il futuro, ma una possibilità nel presente. Chiunque vive mettendo nella sua vita un amore simile a quello che Dio ha per noi, cioè un amore totale, incondizionato e illimitato, ha già una vita di una qualità tale che si chiama eterna, non tanto per la durata, ma proprio per la qualità, che è indistruttibile: la morte non la potrà neanche scalfire. “Dio infatti non ha mandato il figlio” – e di nuovo insiste su questo “il figlio”, il figlio di Dio, il figlio dell’Uomo nella pienezza umana e che comporta la condizione divina – “nel mondo” – e qui non dice “per condannare”, il verbo è “giudicare”. Dio non è un giudice, ma colui che comunica vita. E il figlio lo stesso.

Quindi non ha mandato il Figlio per giudicare il mondo; questa era l’attesa dei farisei che attendevano un messia venuto a giudicare, a separare i buoni dai cattivi, i puri dagli impuri, ma non Dio, non Gesù. Quindi non ha mandato il figlio per giudicare, ma perché “il mondo sia salvato per mezzo di lui”. Gesù offre una alternativa di vita, offre un’alternativa di società. Quanti l’accolgono sono con lui nella pienezza della vita. “Chi crede in lui” – e credere significa dare adesione a questo modello d’uomo, un uomo capace di un amore illimitato e incondizionato – “non è giudicato”. Quindi non si va incontro a nessun giudizio. L’idea di un giudizio è estranea al vangelo di Giovanni. Chi crede non va incontro a nessun giudizio, ma è già nella pienezza della vita.

Al contrario, chi non crede è già stato giudicato, “perché non ha creduto nel nome dell’Unigenito”. E’ l’uomo che si giudica da solo, rifiutando questa pienezza di vita, questo amore. Il rifiuto della pienezza di vita, che è Gesù, comporta la pienezza della morte. Questo è il significato che vuol dare l’evangelista, questo giudizio che poi diventa una condanna. Quindi il messaggio di Dio è assolutamente positivo: chi lo accoglie è nella pienezza di vita, chi lo rifiuta non viene giudicato, ma da sé stesso si condanna. Ed ecco allora i versetti 19 e 20 che fanno comprendere meglio questo pensiero che altrimenti è amputato. E l’evangelista scrive: “La luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce perché le loro opere erano malvage”.

Ecco il giudizio. Quanti, pur vedendo brillare la luce del Signore se ne ritraggono, rimangono sotto l’ambito della morte. Quanti, invece, vengono attratti da questo cono di luce, entrano nella pienezza di vita.
Infatti commenta l’evangelista: “Chiunque infatti fa il male odia la luce e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate”. Quindi non c’è nessun giudizio da parte di Dio, c’è una proposta positiva di vita. Chi lo accoglie è nella pienezza della vita; chi lo rifiuta perché questa pienezza di vita va contro i suoi interessi, va contro le sue aspirazioni, rimane nell’ambito della morte. Non per un giudizio di Dio, ma per un giudizio che l’uomo, per la sua scelta, si è dato da sé.

P. Alberto Maggi
Il dialogo