Trasfigurazione del Signore

Anno A

Letture: Daniele 7,9-10.13-14; Salmo 96 ; Seconda Pietro 1,16-19: Matteo 17,1-9

La Trasfigurazione è una pagina di teologia per immagini: si tratta di vedere Gesù come il sole della nostra vita, e la vita sotto il sole di Dio. Gesù chiama di nuovo Pietro, Giovanni e Giacomo, i primi chiamati, e li porta con sé su un alto monte, là dove la terra s’innalza nella luce e dove lui stesso si veste di luce. Il suo volto brillò come il sole (17,2). Nel volto è detto il cuore. Ogni figlio di Dio ha nel suo intimo una manciata di luce; è un’icona di Cristo dipinta su un fondo-oro (la somiglianza con Dio), un’icona che cammina, sempre in progress.

Vivere è la fatica paziente e gioiosa di liberare tutta la luce e la bellezza sepolte in noi, la pazienza della nostra incompiuta trasfigurazione nella luce. E le sue vesti divennero bianche come la luce: lo splendore è così eccedente che non si ferma al volto, supera il corpo, tracima oltre e cattura perfino la materia degli abiti e la trasfigura. Se la veste è così luminosa, quale non sarà la bellezza del corpo? Ed ecco apparvero Mosè ed Elia. Mosè sceso dal Sinai con il volto imbevuto di luce, Elia rapito dentro un carro di fuoco e di luce. Sono la legge e i profeti, tutta la storia santa, lucente e incompiuta.

Allora, Pietro, stordito e sedotto da ciò che vede, balbetta: È bello per noi essere qui. Qui ci sentiamo a casa, altrove siamo sempre fuori posto; altrove non è bello, e possiamo solo pellegrinare, non stare. Qui è la nostra identità, anche noi in qualche modo luce da luce. Non c’è fede viva che non discenda da uno stupore, da un innamoramento, da un: che bello! gridato a pieno cuore, come Pietro sul Tabor. La bellezza è l’esca del divino.

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P. Ermes Ronchi

 

Quest’anno il giorno 6 agosto, festa della Trasfigurazione del Signore, cade di domenica. Così, le letture bibliche previste per la XVIII domenica del tempo Ordinario lasciano il posto a quelle che celebrano questa importante memoria cristologica. Volendo riflettere sull’evento della metamórphosis (transfiguratio), noi commenteremo la pagina evangelica Mt 17,1-9 che nel Lezionario è preparata anche dal testo di 2Pt 1,16-19, cioè la seconda lettura. Infatti la pericope della seconda lettera di Pietro è l’unico testo non evangelico che presenta una testimonianza circa la trasfigurazione di Gesù. Anzi, afferma di trasmetterne la testimonianza oculare di Pietro stesso quando era insieme con Gesù “sul monte santo” (2Pt 1,18).

E l’autorevolezza della testimonianza dell’apostolo, che ha visto la grandezza del Signore e ha ascoltato con le sue orecchie la voce dal cielo che lo proclamava messia e giudice escatologico, conferma la bontà delle profezie veterotestamentarie che non sono per nulla “favole artificiosamente inventate”, “miti sofisticati” (2Pt 1,16), “perché non da volontà umana è mai venuta una profezia, ma mossi dallo Spirito santo parlarono alcuni uomini da parte di Dio” (2Pt 1,21). La seconda lettera di Pietro garantisce l’autorità e l’origine divina delle profezie, vera “lampada che splende in luogo oscuro” (2Pt 1,19) fino alla venuta del Signore, fondandosi sull’esperienza personale di rivelazione accordata a Pietro e a quelli che erano con lui sul monte della trasfigurazione. O, come dice la 2Pt, sul monte dove Gesù “ricevette onore e gloria da Dio Padre” (2Pt 1,17).

La pericope evangelica inizia con una notazione di tipo cronologico, “sei giorni dopo” (Mt 17,1), che rinvia agli eventi raccontati precedentemente. Pochi giorni prima Gesù ha annunciato ai suoi discepoli, per la prima volta, la sua passione e morte. Gesù ha integrato il suo destino prossimo di morte, lo ha assunto a tal punto che ne ha parlato con chiarezza, senza tentennamenti e senza reticenze: Gesù lo ha verbalizzato e reso pubblico, lo ha esplicitato dicendolo apertamente ai suoi discepoli: “Gesù cominciò a mostrare ai suoi discepoli che egli doveva andare a Gerusalemme e patire molte cose dagli anziani e gran sacerdoti e scribi, ed essere ucciso” (Mt 16,21). Con le persone a lui più vicine Gesù parla della sua morte, osa parlare di sé e di ciò che più è scandaloso e intimo, la propria morte.

L’unificazione personale, almeno a un certo punto della vita, chiede di integrare la prospettiva della propria morte, di passare dal pensiero della morte a quello della propria morte: altrimenti la persona rischia di restare in perpetua fuga da sé, dalla vita, e dunque dalla realtà. E ovviamente, dicendo questa cosa ad altri, rendendo altri testimoni di questa sua prospettiva di morte, essa diviene sempre più reale e concreta anche per lui stesso, per Gesù. Non è più un’intuizione o anche una certezza coltivata solamente tra sé e sé, ma entra nella relazione con gli altri, con quegli altri che essendo i più vicini a lui, sarebbero maggiormente colpiti dalla sua morte. In certo modo comincia ad essere reale. Tuttavia, l’espressione “sei giorni dopo” presenta anche altre sfumature di significato.

Essa rinvia all’evento sinaitico, quando Mosè dopo sei giorni fu chiamato da Dio dalla nube (Es 24,16) e allora “la gloria del Signore apparve agli occhi dei figli d’Israele come fuoco divorante sulla cima della montagna” (Es 24,17). Se il volto di Mosè divenne raggiante e luminoso perché aveva conversato con Dio (Es 34,29), il volto di Gesù diviene risplendente come il sole (Mt 17,2). Così, la prospettiva della propria morte che ormai abita in Gesù riceve una luce e un senso nuovi dal riferimento all’esperienza mosaica di intimità con il Signore. Dietro al nostro testo vediamo in filigrana le pagine della Scrittura che parlano dell’intimità di Mosè con Dio sul monte Sinai. Matteo suggerisce che l’intera vita di Gesù, l’esperienza di Dio che egli fa, il rapporto con i discepoli che egli vive, così come l’intero suo ministero e l’intera sua vita, sono guidati dall’obbedienza alle Scritture, sono orientati e illuminati dall’ascolto interiorizzato della parola di Dio contenuta nelle Scritture.

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Luciano Manicardi