V domenica

Tempo ordinario, Anno A

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

Voi siete sale, voi siete luce. Sale che conserva le cose, minima eternità disciolta nel cibo. Luce che accarezza di gioia le cose, ne risveglia colori e bellezza. Tu sei luce. Gesù lo annuncia alla mia anima bambina, a quella parte di me che sa ancora incantarsi, ancora accendersi. Tu sei sale, non per te stesso ma per la terra. La faccenda è seria, perché essere sale e luce del mondo vuol dire che dalla buona riuscita della mia avventura, umana e spirituale, dipende la qualità del resto del mondo. Come fare per vivere questa responsabilità seria, che è di tutti? Meno parole e più gesti. Che il profeta Isaia elenca, nella prima lettura di domenica: «Spezza il tuo pane», verbo asciutto, concreto, fattivo.

«Spezza il tuo pane», e poi è tutto un incalzare di altri gesti: «Introduci in casa, vesti il nudo, non distogliere gli occhi. Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà in fretta». E senti l’impazienza di Dio, l’impazienza di Adamo, e dell’aurora che sorge e della fame che grida; l’urgenza del corpo dell’uomo che ha dolore e ferite, ha fretta di pane e di salute. La luce viene attraverso il mio pane quando diventa nostro pane, condiviso e non possesso geloso.

Il gesto del pane viene prima di tutto: perché sulla terra ci sono creature che hanno così tanta fame che per loro Dio non può che avere la forma di un pane. Guarisci altri e guarirà la tua ferita, prenditi cura di qualcuno e Dio si prenderà cura di te; produci amore e Lui ti fascerà il cuore, quando è ferito. Illumina altri e ti illuminerai, perché chi guarda solo a se stesso non s’illumina mai. Chi non cerca, anche a tentoni, quel volto che dal buio chiede aiuto, non si accenderà mai. È dalla notte condivisa che sorge il sole di tutti. «Se mi chiudo nel mio io, pur adorno di tutte le virtù, ricco di sale e di luce, e non partecipo all’esistenza degli altri, se non mi dischiudo agli altri, posso essere privo di peccati, e tuttavia vivo in una situazione di peccato» (G. Vannucci).

Ma se il sale perde sapore con che cosa lo si potrà rendere salato? Conosciamo bene il rischio di affondare in una vita insipida e spenta. E accade quando non comunico amore a chi mi incontra, non sono generoso di me, non so voler bene: «non siamo chiamati a fare del bene, ma a voler bene» (Sorella Maria di Campello). Primo impegno vitale. Io sono luce spenta quando non evidenzio bellezza e bontà negli altri, ma mi inebrio dei loro difetti: allora sto spegnendo la fiamma delle cose, sono un cembalo che tintinna (parola di Paolo), un trombone di latta. Quando amo tre verbi oscuri: prendere, salire, comandare; anziché seguire i tre del sale e della luce: dare, scendere, servire.

Letture: Isaia 58,7-10; Salmo 111; 1 Corinzi 2,1-5; Matteo 5,13-16

Ermes Ronchi
Avvenire

Dopo aver proclamato le beatitudini Gesù si rivolge ai suoi discepoli che l’hanno accolto e dice loro: «Voi siete il sale della terra». Qual è il significato di questo sale? Da sempre nell’antichità il sale aveva il significato di quello che conserva gli alimenti. Gli alimenti, non esistendo i frigoriferi, si mettevano sotto sale e questo permetteva loro di essere conservati. Da questo fatto di conservare gli alimenti poi il sale passò, in maniera figurata, a rappresentare ciò che rende valida e vera un’alleanza. Ad esempio per dare valore e validità continua a un documento, si spargeva sopra del sale. Allora questo sale, nell’Antico Testamento, è diventato addirittura il segno dell’alleanza di Dio con il suo popolo. Nel libro del Levitico (2,13), per esempio, si legge: “Non lascerai mancare il sale” – cioè la fedeltà – “dell’alleanza del tuo Dio”. Quindi il sale rende valida e continua l’alleanza tra Dio e il suo popolo.

Gesù nelle beatitudini ha proclamato la nuova alleanza tra Dio e il suo popolo; ebbene, quelli che l’accolgono, i discepoli, devono essere, col loro atteggiamento e con la loro vita, i garanti di tutto questo. Quindi la fedeltà dei discepoli alle beatitudini rende valida la nuova alleanza e permette l’inaugurazione del regno. Allora Gesù dice «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore …», l’evangelista in realtà adopera un verbo che non sia applica per le cose, ma per gli uomini, perché l’evangelista letteralmente scrive “se il sale impazzisce”. Cosa significa questo impazzire? Si rifà al termine “pazzo” che poi ritroviamo nel capitolo 7 di questo vangelo, al versetto 26, dove Gesù parla di un pazzo che è andato a costruire la sua casa sulla sabbia; quando è arrivata la fiumana la casa è stata travolta. E questo pazzo che costruisce sulla sabbia è colui che ascolta le parole del Signore, ma poi non le mette in pratica.

Allora questo sale che impazzisce indica l’atteggiamento di quei discepoli che accolgono con entusiasmo il messaggio di Gesù, ma poi non lo mettono in pratica. Quindi Gesù dice: «Se il sale impazzisce» – cioè se non mettete in pratica queste mie parole, null’altro riesce a renderlo salato – «a null’altro serve che ad essere gettato via» – letteralmente l’evangelista scrive “fuori”, che nel vangelo di Matteo ha sempre un significato di lontananza da Dio, quindi è sempre un significato negativo – «e calpestato» – Matteo adopera un verbo che dà proprio l’idea di qualcosa che viene triturato, calpestato – «dalla gente». Cioè, se voi non siete fedeli – sta dicendo Gesù ai discepoli – a questa nuova alleanza, alle beatitudini, voi che mi seguite, meritate soltanto il disprezzo della gente; la gente che attende da voi un’alternativa a questa società, che attende da voi una modalità diversa nella vita, se vede che voi avete accolto questo messaggio a parole, ma poi non lo praticate, rimane delusa e si perde. Quindi meritate il disprezzo.

Poi Gesù passa a un altro esempio, «Voi siete la luce del mondo». Luce del mondo a quel tempo si considerava Gerusalemme, si considerava Israele. Il profeta Isaia nel capitolo 60 scriveva, “Cammineranno le genti alla tua luce”. Ebbene, ora la luce del mondo non è più qualcosa di statico, ma qualcosa di dinamico, il gruppo di discepoli che poi, alla fine del vangelo, Gesù li manderà ad annunziare questa buona notizia. E qui Gesù fa degli esempi riguardo questa luce. Dice che «La lampada non si accende per metterla sotto il moggio». Perché l’evangelista adopera questo termine “moggio”? Il moggio era il recipiente che si adoperava per misurare o conservare i cereali, in particolare il grano. Ebbene, il moggio è immagine di quello che si dona, di quello che si dà. Il moggio allora non deve nascondere la luce, ma ne deve essere l’espressione.

Questa luce si manifesta nel dono, nel donare se stessi. Infatti dice «Ma sul candelabro, così fa luce a tutti quelli che sono nella casa». Dice poi «Risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone». Ecco, la luce sono le opere buone. Sono le opere che manifestano questa luce. Quindi Gesù non invita ad insegnare una dottrina, ma una pratica; la pratica delle beatitudini manifesterà visibilmente chi è Dio, chi è l’uomo e sarà questa luce che inonda la società. Ma queste opere che sono la luce del mondo, aggiunge Gesù, «E rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli». Quindi non la propria gloria, la propria ammirazione.

Gesù poi nel capitolo 6 rimprovererà gli ipocriti, cioè teatranti, commedianti, e dirà: «Guardatevi dal compiere le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati», questo è il peccato di idolatria. L’ammirazione e la gloria di queste opere vanno dirottate, e per la prima volta nel vangelo di Matteo, Dio viene presentato come Padre. Padre, nella cultura dell’epoca, è colui che genera e che comunica la vita, «al Padre vostro che è nei cieli». Quindi l’invito di Gesù è che la pratica delle beatitudini sia questa luce che piano piano inonda la società che sta nelle tenebre e che è assetata della buona notizia.

P. Alberto Maggi
Il dialogo