In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. […]»
Una serie di situazioni molto concrete: schiaffo, tunica, miglio. E soluzioni in sintonia: l’altra guancia, il mantello, due miglia. La semplicità del vangelo! «Gesù parla della vita con le parole proprie della vita» (C. Bobin). Niente che un bambino non possa capire, nessuna teoria astratta e complicata, ma la proposta di gesti quotidiani, la santità di ogni giorno, che sa di abiti, di strade, di gesti, di polvere. E di rischio. E poi apre feritoie sull’infinito: siate perfetti come il Padre, siate figli del Padre che fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni. Fare ciò che Dio fa, essere come il Padre, qui è tutta l’etica biblica. E che cosa fa il Padre? Fa sorgere il sole. Mi piace questo Dio solare, luminoso, splendente di vita, il Dio che presiede alla nascita di ogni nostro mattino.
Il sole, come Dio, non si merita, si accoglie. E Dio, come il sole, si trasforma in un mistero gaudioso, da godere prima che da capire. Fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni. Addirittura Gesù inizia dai cattivi, forse perché i loro occhi sono più in debito di luce, più in ansia. Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra. Cristo degli uomini liberi, padroni delle proprie scelte anche davanti al male, capaci di disinnescare la spirale della vendetta e di inventarsi qualcosa, un gesto, una parola, che faccia saltare i piani e che disarmi. Così semplice il suo modo di amare e così rischioso. E tuttavia il cristianesimo non è una religione di battuti e sottomessi, di umiliati che non reagiscono. Come non lo era Gesù che, colpito, reagisce chiedendo ragione dello schiaffo (Gv 18,22).
E lo vediamo indignarsi, e quante volte, per un’ingiustizia, per un bambino scacciato, per il tempio fatto mercato, per il cuore di pietra dei pii e dei devoti. E collocarsi dentro la tradizione profetica dell’ira sacra. Non passività, non sottomissione debole, quello che Gesù propone è una presa di posizione coraggiosa: tu porgi, fai tu il primo passo, cercando spiegazioni, disarmando la vendetta, ricominciando, rammendando tenacemente il tessuto continuamente lacerato dalla violenza. Credendo all’incredibile: amate i vostri nemici.
Gesù intende eliminare il concetto stesso di nemico. «Amatevi, altrimenti vi distruggerete. È tutto qui il Vangelo» (D.M. Turoldo). Violenza produce violenza, in una catena infinita. Io scelgo di spezzarla. Di non replicare su altri ciò che ho subito, di non far proliferare il male. Ed è così che inizio a liberare me nella storia. Allora siate perfetti come il Padre… non quanto, una misura impossibile che ci schiaccerebbe; ma come il Padre, con il suo stile fatto di tenerezza, di combattiva tenerezza.
Letture: Levitico 19,1-2.17-18; Salmo 102; 1 Corinzi 3,16-23; Matteo 5,38-48
Ermes Ronchi
Avvenire
Amare è difficile! Noi contraccambiamo, spesso, non l’amore, ma l’amicizia, con chi ci accetta, con chi la pensa come noi e con chi non ci dà troppo fastidio. Però, nel brano evangelico proposto oggi dalla liturgia, abbiamo ascoltato che Gesù chiede ai suoi discepoli qualcosa di decisamente scomodo, difficile da comprendere e accettare: «Amare i nemici». Come è possibile amare chi ci odia, chi è cattivo verso di noi, chi ci ha fatto un torto?
Tra i passi del discorso della montagna, questo è senza dubbio il più arduo da accettare, però è anche quello che qualifica più chiaramente il discepolo che decide di seguire la nuova legge. Ciò che dice Gesù fa parte di una logica assolutamente nuova, sconosciuta sia nel mondo antico che in quello ebraico. Gesù, infatti, cita la cosiddetta «legge del taglione»: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”». Questa norma, che era sorta allo scopo di limitare la vendetta per un torto subìto, viene da Gesù ampiamente superata, anzi capovolta: egli annuncia un amore sovrabbondante nei confronti di chi commette un sopruso contro di noi. Gesù chiede dunque a quanti aderiscono a lui di mettere in pratica la paradossale legge della non-violenza, che consiste nel non opporsi al malvagio, e lo fa con tre esempi estremamente chiari nella loro paradossalità: porgere l’altra guancia a chi ci schiaffeggia, dare anche il mantello a chi esige da noi la tunica, fare due miglia con chi ci vuole costringere a farne con lui uno. E aggiunge: «Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle».
Già in queste parole è insita la richiesta di un amore gratuito e unilaterale, che si traduce nel saper rispondere al male con il bene (cf Rm 12, 21). Ma ciò si fa esplicito e viene espresso in positivo nelle successive affermazioni di Gesù: «Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano». Al termine della sua vita, nei discorsi di commiato, Gesù propone il suo amore come esempio, come modello, come punto di riferimento: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (cf Gv 15, 12-13). Gesù è stato percosso, è stato spogliato dalle sue vesti, ha compiuto il cammino verso il Calvario con la croce, costretto dalla forza, senza opporsi al malvagio, ma pregando per i suoi crocifissori: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (cf Lc 23, 24).
Nell’amore verso tutti, senza esclusione alcuna, sta il superamento e il compimento della legge antica. Ebbene, nell’esclamazione: «ma io vi dico», Gesù non ci dona una legge esteriore, ma scrive la legge dell’amore nei nostri cuori dove risiede lo Spirito dell’amore, riversato in noi dal Padre e dal Signore risorto. Senza questa legge suprema dell’amore non sarà mai possibile alcuna riconciliazione. Dio si riconcilia con noi perché, come scrive san Paolo: «non ha imputato agli uomini le loro colpe» (cf 2Cor 5, 19), perché «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo» (cf Ef 2, 4-5).
La riconciliazione di Dio, «ricco di misericordia», è stata affidata a noi perché ne siamo gli annunciatori e i testimoni. Ma non si può annunziare agli altri la riconciliazione, se noi non siamo pronti al perdono, alla misericordia, all’amore anche verso coloro che ci hanno fatto del male. Perdonare i nemici non vuol dire accettare il peccato, l’ingiustizia, il sopruso verso i poveri e gli umili. Chi è capace di perdono e di amore è anche forte nel suo impegno contro ogni forma di sopraffazione.
Gesù, inoltre, annota l’evangelista, dice: «affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti». Sì, noi diventiamo figli di Dio, «partecipi della natura divina» (cf 2Pt 1, 4), solo nella misura in cui ci comportiamo come lui, che nel suo amore incondizionato non fa distinzione di persone. E perché questa esigenza sia chiara, Gesù insiste sulla necessità di uscire dalla chiusura della reciprocità (amare chi già ci ama, salutare i propri fratelli…), un vero e proprio «virus» che deve essere estraneo al comportamento dei suoi discepoli.
Infine, Gesù conclude questa parte del suo discorso con una parola che non deve spaventarci: «Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». Questa affermazione di Gesù non è un’esortazione a un ideale astratto di perfezione morale, ma al pieno compimento della Legge di Dio secondo l’interpretazione che egli stesso ha appena dato, la quale si traduce concretamente in un amore «completo», senza limiti né distinzioni, a imitazione di quello di Dio.
Sia Mosè (I lettura) che Paolo (II lettura) esortano a una nuova sapienza, a una vita speciale, a essere santi. E Gesù non chiede qualcosa di diverso. L’amore per il nemico, quindi, impossibile alle sole forze umane, diventa possibile solo se noi ci affidiamo a Dio e mettiamo in pratica le beatitudini. È solo così che l’amore verso i nemici, o meglio ancora il «non considerare nessuno come nemico», può diventare possibile.
Don Lucio D’Abbraccio
VII domenica
Tempo ordinario, Anno A
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. […]»
Una serie di situazioni molto concrete: schiaffo, tunica, miglio. E soluzioni in sintonia: l’altra guancia, il mantello, due miglia. La semplicità del vangelo! «Gesù parla della vita con le parole proprie della vita» (C. Bobin). Niente che un bambino non possa capire, nessuna teoria astratta e complicata, ma la proposta di gesti quotidiani, la santità di ogni giorno, che sa di abiti, di strade, di gesti, di polvere. E di rischio. E poi apre feritoie sull’infinito: siate perfetti come il Padre, siate figli del Padre che fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni. Fare ciò che Dio fa, essere come il Padre, qui è tutta l’etica biblica. E che cosa fa il Padre? Fa sorgere il sole. Mi piace questo Dio solare, luminoso, splendente di vita, il Dio che presiede alla nascita di ogni nostro mattino.
Il sole, come Dio, non si merita, si accoglie. E Dio, come il sole, si trasforma in un mistero gaudioso, da godere prima che da capire. Fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni. Addirittura Gesù inizia dai cattivi, forse perché i loro occhi sono più in debito di luce, più in ansia. Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra. Cristo degli uomini liberi, padroni delle proprie scelte anche davanti al male, capaci di disinnescare la spirale della vendetta e di inventarsi qualcosa, un gesto, una parola, che faccia saltare i piani e che disarmi. Così semplice il suo modo di amare e così rischioso. E tuttavia il cristianesimo non è una religione di battuti e sottomessi, di umiliati che non reagiscono. Come non lo era Gesù che, colpito, reagisce chiedendo ragione dello schiaffo (Gv 18,22).
E lo vediamo indignarsi, e quante volte, per un’ingiustizia, per un bambino scacciato, per il tempio fatto mercato, per il cuore di pietra dei pii e dei devoti. E collocarsi dentro la tradizione profetica dell’ira sacra. Non passività, non sottomissione debole, quello che Gesù propone è una presa di posizione coraggiosa: tu porgi, fai tu il primo passo, cercando spiegazioni, disarmando la vendetta, ricominciando, rammendando tenacemente il tessuto continuamente lacerato dalla violenza. Credendo all’incredibile: amate i vostri nemici.
Gesù intende eliminare il concetto stesso di nemico. «Amatevi, altrimenti vi distruggerete. È tutto qui il Vangelo» (D.M. Turoldo). Violenza produce violenza, in una catena infinita. Io scelgo di spezzarla. Di non replicare su altri ciò che ho subito, di non far proliferare il male. Ed è così che inizio a liberare me nella storia. Allora siate perfetti come il Padre… non quanto, una misura impossibile che ci schiaccerebbe; ma come il Padre, con il suo stile fatto di tenerezza, di combattiva tenerezza.
Letture: Levitico 19,1-2.17-18; Salmo 102; 1 Corinzi 3,16-23; Matteo 5,38-48
Ermes Ronchi
Avvenire
Amare è difficile! Noi contraccambiamo, spesso, non l’amore, ma l’amicizia, con chi ci accetta, con chi la pensa come noi e con chi non ci dà troppo fastidio. Però, nel brano evangelico proposto oggi dalla liturgia, abbiamo ascoltato che Gesù chiede ai suoi discepoli qualcosa di decisamente scomodo, difficile da comprendere e accettare: «Amare i nemici». Come è possibile amare chi ci odia, chi è cattivo verso di noi, chi ci ha fatto un torto?
Tra i passi del discorso della montagna, questo è senza dubbio il più arduo da accettare, però è anche quello che qualifica più chiaramente il discepolo che decide di seguire la nuova legge. Ciò che dice Gesù fa parte di una logica assolutamente nuova, sconosciuta sia nel mondo antico che in quello ebraico. Gesù, infatti, cita la cosiddetta «legge del taglione»: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”». Questa norma, che era sorta allo scopo di limitare la vendetta per un torto subìto, viene da Gesù ampiamente superata, anzi capovolta: egli annuncia un amore sovrabbondante nei confronti di chi commette un sopruso contro di noi. Gesù chiede dunque a quanti aderiscono a lui di mettere in pratica la paradossale legge della non-violenza, che consiste nel non opporsi al malvagio, e lo fa con tre esempi estremamente chiari nella loro paradossalità: porgere l’altra guancia a chi ci schiaffeggia, dare anche il mantello a chi esige da noi la tunica, fare due miglia con chi ci vuole costringere a farne con lui uno. E aggiunge: «Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle».
Già in queste parole è insita la richiesta di un amore gratuito e unilaterale, che si traduce nel saper rispondere al male con il bene (cf Rm 12, 21). Ma ciò si fa esplicito e viene espresso in positivo nelle successive affermazioni di Gesù: «Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano». Al termine della sua vita, nei discorsi di commiato, Gesù propone il suo amore come esempio, come modello, come punto di riferimento: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (cf Gv 15, 12-13). Gesù è stato percosso, è stato spogliato dalle sue vesti, ha compiuto il cammino verso il Calvario con la croce, costretto dalla forza, senza opporsi al malvagio, ma pregando per i suoi crocifissori: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (cf Lc 23, 24).
Nell’amore verso tutti, senza esclusione alcuna, sta il superamento e il compimento della legge antica. Ebbene, nell’esclamazione: «ma io vi dico», Gesù non ci dona una legge esteriore, ma scrive la legge dell’amore nei nostri cuori dove risiede lo Spirito dell’amore, riversato in noi dal Padre e dal Signore risorto. Senza questa legge suprema dell’amore non sarà mai possibile alcuna riconciliazione. Dio si riconcilia con noi perché, come scrive san Paolo: «non ha imputato agli uomini le loro colpe» (cf 2Cor 5, 19), perché «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo» (cf Ef 2, 4-5).
La riconciliazione di Dio, «ricco di misericordia», è stata affidata a noi perché ne siamo gli annunciatori e i testimoni. Ma non si può annunziare agli altri la riconciliazione, se noi non siamo pronti al perdono, alla misericordia, all’amore anche verso coloro che ci hanno fatto del male. Perdonare i nemici non vuol dire accettare il peccato, l’ingiustizia, il sopruso verso i poveri e gli umili. Chi è capace di perdono e di amore è anche forte nel suo impegno contro ogni forma di sopraffazione.
Gesù, inoltre, annota l’evangelista, dice: «affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti». Sì, noi diventiamo figli di Dio, «partecipi della natura divina» (cf 2Pt 1, 4), solo nella misura in cui ci comportiamo come lui, che nel suo amore incondizionato non fa distinzione di persone. E perché questa esigenza sia chiara, Gesù insiste sulla necessità di uscire dalla chiusura della reciprocità (amare chi già ci ama, salutare i propri fratelli…), un vero e proprio «virus» che deve essere estraneo al comportamento dei suoi discepoli.
Infine, Gesù conclude questa parte del suo discorso con una parola che non deve spaventarci: «Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». Questa affermazione di Gesù non è un’esortazione a un ideale astratto di perfezione morale, ma al pieno compimento della Legge di Dio secondo l’interpretazione che egli stesso ha appena dato, la quale si traduce concretamente in un amore «completo», senza limiti né distinzioni, a imitazione di quello di Dio.
Sia Mosè (I lettura) che Paolo (II lettura) esortano a una nuova sapienza, a una vita speciale, a essere santi. E Gesù non chiede qualcosa di diverso. L’amore per il nemico, quindi, impossibile alle sole forze umane, diventa possibile solo se noi ci affidiamo a Dio e mettiamo in pratica le beatitudini. È solo così che l’amore verso i nemici, o meglio ancora il «non considerare nessuno come nemico», può diventare possibile.
Don Lucio D’Abbraccio