XI domenica

Tempo ordinario, Anno A

Letture: Esodo 19,2-6a; Salmo 99; Romani 5,6-11; Matteo 9,36-10,8

Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione. Tutto ciò che segue è generato dalla compassione, termine di una carica e intensità infinite: il Maestro prova dolore per il dolore del mondo, il molto dolore dell’uomo. Gesù è la compassione, il pianto di Dio fatto carne. Piangere è amare con gli occhi. «La messe è molta…». Ciò che il suo occhio guarda non è lo sterminato accampamento umano dove ha piantato la sua tenda, vede invece molti raccolti di dolore, tante messi di paure, e greggi di pecore sfinite perché non hanno pastore. La sua risposta è un dolore che lo prende alle viscere. E chiama i dodici e lo affida loro: dovranno preservare, custodire, salvare la compassione, il con-patire, il meno zuccheroso dei sentimenti. Salvarlo e seminarlo nel mondo, attraverso sei azioni: predicate, guarite, risuscitate, sanate, liberate e donate.

La missione è duplice: predicare e guarire la vita, o almeno prendersene cura. E il rapporto è sbilanciato, uno a cinque. Cinque opere per guarire, una per narrare. Per proclamare che «Dio è così, si prende cura e guarisce. Dio è vicino a te, con amore» Forse ci saremmo aspettati una risposta più risolutiva al dolore delle folle, un soccorso più efficiente: perché il Signore soccorre la fragilità dell’uomo con la fragilità di altri uomini, anziché con la sua onnipotenza? Perché Lui interviene per i suoi figli, attraverso gli altri suoi figli. La risposta di Gesù alla sofferenza del mondo sono io. “Dio salva attraverso persone” (R. Guardini).

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P. Ermes Ronchi

 

Fra quotidianità e spiritualità oggi sentiamo spesso una certa distanza, come fossero due modalità, due atteggiamenti che di volta in volta si adottano nelle giuste circostanze, ma che fra loro non comunicano. Nel traffico delle faccende cittadine e domestiche si vive ordinariamente, mentre quando, premendo un ideale interruttore, passiamo al monologo interiore della coscienza, entrano in gioco le idee di quello che chiamiamo spirito, le concezioni di Dio, le convinzioni di fede, che anche quando comunichiamo all’esterno spesso sono semplici riflessi di quel monologo fra me e me. Il rischio di questa divisione così netta non è così banalmente la prevalenza della prima dimensione sulla seconda, o viceversa, ma prima e più in profondità la perdita di spessore e significato di entrambe, la perdita delle rispettive sfumature e prospettive.

Il dramma dell’uomo vive nella tensione fra interno ed esterno; se invece operiamo un’autopsia di singoli elementi finiamo per produrre cadaveri, fossili di umanità, cristallizzazioni astratte. E ciò che si perde è la vita, specialmente nella sua dimensione operativa, sempre in movimento e in azione. Gesù vede lo smarrimento, vede una quotidianità vuota, senza spirito, vede folle anonime che procedono casualmente con il pilota automatico, vede l’algoritmo. Eppure a questa tragedia, a questa caduta di ogni libera umanità, non oppone un’idea, qualche principio fondamentale, una carta dei valori e di leggi universali, niente di così astratto e lontano.

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Riccardo Sabato