In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania (…)».
Il bene e il male, buon seme ed erbe cattive si sono radicati nella mia zolla di terra: il mite padrone della vita e il nemico dell’uomo si disputano, in una contesa infinita, il mio cuore. E allora il Signore Gesù inventa una delle sue parabole più belle per guidarmi nel cammino interiore, con lo stile di Dio. La mia prima reazione di fronte alle male erbe è sempre: vuoi che andiamo a raccogliere la zizzania? L’istinto mi suggerisce di agire così: strappa via, sradica subito ciò che in te è puerile, sbagliato, immaturo. Strappa e starai bene e produrrai frutto. Ma in me c’è anche uno sguardo consapevole e adulto, più sereno, seminato dal Dio dalla pazienza contadina: non strappare le erbacce, rischi di sradicare anche il buon grano. La tua maturità non dipende da grandi reazioni immediate, ma da grandi pensieri positivi, da grandi valori buoni.
Che cosa cerca in me il Signore? La presenza di quella profezia di pane che sono le spighe, e non l’assenza, irraggiungibile, di difetti o di problemi. Ancora una volta il mite Signore delle coltivazioni abbraccia l’imperfezione del suo campo. Nel suo sguardo traspare la prospettiva serena di un Dio seminatore, che guarda non alla fragilità presente ma al buon grano futuro, anche solo possibile. Lo sguardo liberante di un Dio che ci fa coincidere non con i peccati, ma con bontà e grazia, pur se in frammenti, con generosità e bellezza, almeno in germogli. Io non sono i miei difetti, ma le mie maturazioni; non sono creato ad immagine del Nemico e della sua notte, ma a somiglianza del Padre e del suo pane buono.
Tutto il Vangelo propone, come nostra atmosfera vitale, il respiro della fecondità, della fruttificazione generosa e paziente, di grappoli che maturano lentamente nel sole, di spighe che dolcemente si gonfiano di vita, e non un illusorio sistema di vita perfetta. Non siamo al mondo per essere immacolati, ma incamminati; non per essere perfetti, ma fecondi. Il bene è più importante del male, la luce conta più del buio, una spiga di buon grano vale più di tutta la zizzania del campo.
Questa la positività del Vangelo. Che ci invita a liberarci dai falsi esami di coscienza negativi, dal quantificare ombre e fragilità. La nostra coscienza chiara, illuminata, sincera deve scoprire prima di tutto ciò che di vitale, bello, buono, promettente, la mano viva di Dio continua a seminare in noi, e poi curarlo e custodirlo come nostro Eden. Veneriamo le forze di bontà, di generosità, di tenerezza di accoglienza che Dio ci consegna. Facciamo che queste erompano in tutta la loro forza, in tutta la loro potenza e bellezza, e vedremo la zizzania scomparire, perché non troverà più terreno.
Letture: Sapienza 12,13.16-19; Salmo 85; Romani 8,26-27; Matteo 13, 24-30
Ermes Ronchi
Avvenire
Gesù propone ai suoi discepoli tre parabole che riguardano le tre grandi tentazioni della comunità: la tentazione di essere una comunità di eletti; la tentazione della grandezza; la tentazione dello scoraggiamento. Per queste parabole Gesù prende tre elementi della natura, il grano, la senape e il lievito, che richiedono un processo di crescita paziente; ogni accelerazione può essere nefasta. Queste parabole servono per far comprendere cosa sia il regno dei cieli. Questa espressione, tipica di Matteo, non indica il regno nei cieli, ma il regno di Dio, cioè l’alternativa di società che Gesù è venuto a proporre.
La prima parabola parla di un uomo che ha seminato del buon seme, ma di notte il nemico gli semina la zizzania, pianta i cui grani sono tossici e hanno un effetto narcotico. Ebbene i servi si meravigliano che nel campo del signore ci sia la zizzania e mettono in dubbio la bontà della sua semina e gli chiedono: «Non hai seminato del buon seme?». E il padrone risponde: «Un nemico ha fatto questo!». Ed ecco pronto lo zelo dei servi: «Vuoi che andiamo a raccoglierla?» La loro azione rischia di essere più pericolosa della zizzania. Lo zelo dei servi è più pericoloso del danno che può fare la zizzania. E l’uomo risponde: «No, perché non succeda che raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano». Poi verrà il momento della maturazione e là sarà palese quello che è grano, che offre la vita, e quello che è zizzania, che invece è tossica e produce la morte.
Nella seconda parabola Gesù prende le distanze dall’immagine grandiosa del regno che era stata descritta dal profeta Ezechiele nel capitolo 17 del suo libro (vv. 22-24). Il profeta immaginava un altissimo monte e sopra a questo altissimo monte un cedro. Il cedro è la pianta più bella, l’albero più bello, chiamato “il re degli alberi”, quindi qualcosa che anche da lontano attira l’attenzione. Ebbene Gesù prende le distanze da tutto questo, «il regno è come un chicco di senape» – che è l’elemento più piccolo, quasi microscopico – «che viene gettato nel campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi, ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto».
Attenzione a questo particolare: non è una pianta che cresce nell’alto di un monte, ma nell’orto di casa. L’arbusto della senape – perché nemmeno si può parlare di albero – anche nel momento del suo massimo sviluppo raggiunge due metri e mezzo, tre al massimo. È una pianta comune che non attira l’attenzione. Il regno di Dio, anche nel momento del suo massimo sviluppo, non attirerà l’attenzione degli uomini per la sua grandiosità, per la sua magnificenza. Ma, essendo questi semi piccolissimi, il vento li porta ovunque ed è una pianta infestante.
Infine la terza parabola che riguarda il regno, dice: «Il regno è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina finché non fu tutta lievitata». Perché l’evangelista adopera questa unità di misura? Tre misure di farina sono circa quaranta chili e questa unità si ritrova in tre episodi dell’Antico Testamento che riguardano la realizzazione di quello che veniva ritenuto impossibile. È quello che offrono Abramo e Sara quando viene loro annunziato che avranno un figlio nonostante la loro tarda età (Gn 18,6). È la stessa di Gedeone che si sente abbandonato da Dio e crede che le promesse di liberazione del Signore ormai non si possano realizzare (Gd 6,19), ed è quella di Anna, la madre del profeta Samuele che era sterile e invece avrà un figlio (1Sam 1,24).
Quindi si tratta di situazioni in cui quello che sembrava impossibile diventa realtà. Allora Gesù assicura che la forza del suo messaggio è tale che sarà capace di fermentare il mondo intero. Tre parabole, l’unica per la quale i discepoli chiedono spiegazioni è quella della zizzania, ma non perché non l’abbiano capita; è proprio perché l’hanno capita che non sono d’accordo. Loro sono animati da sentimenti di superiorità, di ambizione, di rivalità tra di loro, e quindi non sono d’accordo su questo fatto di non essere una comunità di giusti, una comunità di eletti. Si avvicinano a Gesù e, in maniera imperativa, gli dicono: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Quindi il tono è di chi non è d’accordo.
E Gesù la spiega. «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo» – Figlio dell’uomo indica Gesù nella sua condizione divina – «Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno». Figli del Regno sono coloro che hanno accolto le condizioni perché il regno diventi realtà. E la condizione perché il regno diventi realtà è la conversione, la sostituzione di falsi valori che reggono la società, per accogliere i nuovi proposti da Gesù, cioè la condivisione, il servizio, e l’amore universale. «La zizzania sono i figli del Maligno», con il termine “figlio” si indica colui che assomiglia al padre, e questo nemico Gesù lo individua nel diavolo, che è il potere, il dominio, l’apparenza. «La mietitura è la fine di quest’epoca» – non la fine del mondo – «e i mietitori sono gli angeli», cioè gli inviati del Signore.
E Gesù aggiunge, spiegando: «Come dunque si raccoglie la zizzania» – quello che è tossico – «e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine di questo tempo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali». L’espressione “scandalo” ricorre nello scontro tra Gesù e Pietro, quando Gesù gli dirà: «Allontanati da me che sei causa di scandalo» (cf Mt 16,23). Lo scandalo è dovuto all’idea di un messia trionfante, di un messia di successo, che non sarà quello che si manifesterà in Gesù. Quindi qui si riferisce a tutti quelli che vogliono il trionfo, «E tutti quelli che commettono iniquità». L’espressione è apparsa per quei discepoli che sono costruttori del nulla, aveva detto Gesù, perché annunziano il messaggio, ma non come espressione della loro vita, bensì come uso del nome del Signore. Convertono gli altri, ma non hanno convertito se stessi. Questi Gesù li considera come coloro che commettono iniquità, cioè coloro che costruiscono il nulla.
E qui Gesù prende in prestito l’immagine del profeta Daniele e dice: «Li getteranno nella fornace ardente» – che significa la distruzione completa, simbolo di morte – «dove sarà pianto e stridore di denti». Questa è un’immagine che indica la disperazione per il fallimento. Nella nostra lingua italiana possiamo usare l’espressione “strapparsi i capelli”, ha lo stesso significato, segno di disperazione e di fallimento. Allora, sempre usando espressioni del libro di Daniele, «I giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro». Chi sceglie la vita ha la vita. È questo il significato di questa parabola: chi produce la vita entra nella pienezza di vita; chi è morto e ha prodotto morte sprofonda nella pienezza della morte.
p. Alberto Maggi
Il dialogo
XVI domenica
Tempo ordinario, Anno A
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania (…)».
Il bene e il male, buon seme ed erbe cattive si sono radicati nella mia zolla di terra: il mite padrone della vita e il nemico dell’uomo si disputano, in una contesa infinita, il mio cuore. E allora il Signore Gesù inventa una delle sue parabole più belle per guidarmi nel cammino interiore, con lo stile di Dio. La mia prima reazione di fronte alle male erbe è sempre: vuoi che andiamo a raccogliere la zizzania? L’istinto mi suggerisce di agire così: strappa via, sradica subito ciò che in te è puerile, sbagliato, immaturo. Strappa e starai bene e produrrai frutto. Ma in me c’è anche uno sguardo consapevole e adulto, più sereno, seminato dal Dio dalla pazienza contadina: non strappare le erbacce, rischi di sradicare anche il buon grano. La tua maturità non dipende da grandi reazioni immediate, ma da grandi pensieri positivi, da grandi valori buoni.
Che cosa cerca in me il Signore? La presenza di quella profezia di pane che sono le spighe, e non l’assenza, irraggiungibile, di difetti o di problemi. Ancora una volta il mite Signore delle coltivazioni abbraccia l’imperfezione del suo campo. Nel suo sguardo traspare la prospettiva serena di un Dio seminatore, che guarda non alla fragilità presente ma al buon grano futuro, anche solo possibile. Lo sguardo liberante di un Dio che ci fa coincidere non con i peccati, ma con bontà e grazia, pur se in frammenti, con generosità e bellezza, almeno in germogli. Io non sono i miei difetti, ma le mie maturazioni; non sono creato ad immagine del Nemico e della sua notte, ma a somiglianza del Padre e del suo pane buono.
Tutto il Vangelo propone, come nostra atmosfera vitale, il respiro della fecondità, della fruttificazione generosa e paziente, di grappoli che maturano lentamente nel sole, di spighe che dolcemente si gonfiano di vita, e non un illusorio sistema di vita perfetta. Non siamo al mondo per essere immacolati, ma incamminati; non per essere perfetti, ma fecondi. Il bene è più importante del male, la luce conta più del buio, una spiga di buon grano vale più di tutta la zizzania del campo.
Questa la positività del Vangelo. Che ci invita a liberarci dai falsi esami di coscienza negativi, dal quantificare ombre e fragilità. La nostra coscienza chiara, illuminata, sincera deve scoprire prima di tutto ciò che di vitale, bello, buono, promettente, la mano viva di Dio continua a seminare in noi, e poi curarlo e custodirlo come nostro Eden. Veneriamo le forze di bontà, di generosità, di tenerezza di accoglienza che Dio ci consegna. Facciamo che queste erompano in tutta la loro forza, in tutta la loro potenza e bellezza, e vedremo la zizzania scomparire, perché non troverà più terreno.
Letture: Sapienza 12,13.16-19; Salmo 85; Romani 8,26-27; Matteo 13, 24-30
Ermes Ronchi
Avvenire
Gesù propone ai suoi discepoli tre parabole che riguardano le tre grandi tentazioni della comunità: la tentazione di essere una comunità di eletti; la tentazione della grandezza; la tentazione dello scoraggiamento. Per queste parabole Gesù prende tre elementi della natura, il grano, la senape e il lievito, che richiedono un processo di crescita paziente; ogni accelerazione può essere nefasta. Queste parabole servono per far comprendere cosa sia il regno dei cieli. Questa espressione, tipica di Matteo, non indica il regno nei cieli, ma il regno di Dio, cioè l’alternativa di società che Gesù è venuto a proporre.
La prima parabola parla di un uomo che ha seminato del buon seme, ma di notte il nemico gli semina la zizzania, pianta i cui grani sono tossici e hanno un effetto narcotico. Ebbene i servi si meravigliano che nel campo del signore ci sia la zizzania e mettono in dubbio la bontà della sua semina e gli chiedono: «Non hai seminato del buon seme?». E il padrone risponde: «Un nemico ha fatto questo!». Ed ecco pronto lo zelo dei servi: «Vuoi che andiamo a raccoglierla?» La loro azione rischia di essere più pericolosa della zizzania. Lo zelo dei servi è più pericoloso del danno che può fare la zizzania. E l’uomo risponde: «No, perché non succeda che raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano». Poi verrà il momento della maturazione e là sarà palese quello che è grano, che offre la vita, e quello che è zizzania, che invece è tossica e produce la morte.
Nella seconda parabola Gesù prende le distanze dall’immagine grandiosa del regno che era stata descritta dal profeta Ezechiele nel capitolo 17 del suo libro (vv. 22-24). Il profeta immaginava un altissimo monte e sopra a questo altissimo monte un cedro. Il cedro è la pianta più bella, l’albero più bello, chiamato “il re degli alberi”, quindi qualcosa che anche da lontano attira l’attenzione. Ebbene Gesù prende le distanze da tutto questo, «il regno è come un chicco di senape» – che è l’elemento più piccolo, quasi microscopico – «che viene gettato nel campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi, ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto».
Attenzione a questo particolare: non è una pianta che cresce nell’alto di un monte, ma nell’orto di casa. L’arbusto della senape – perché nemmeno si può parlare di albero – anche nel momento del suo massimo sviluppo raggiunge due metri e mezzo, tre al massimo. È una pianta comune che non attira l’attenzione. Il regno di Dio, anche nel momento del suo massimo sviluppo, non attirerà l’attenzione degli uomini per la sua grandiosità, per la sua magnificenza. Ma, essendo questi semi piccolissimi, il vento li porta ovunque ed è una pianta infestante.
Infine la terza parabola che riguarda il regno, dice: «Il regno è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina finché non fu tutta lievitata». Perché l’evangelista adopera questa unità di misura? Tre misure di farina sono circa quaranta chili e questa unità si ritrova in tre episodi dell’Antico Testamento che riguardano la realizzazione di quello che veniva ritenuto impossibile. È quello che offrono Abramo e Sara quando viene loro annunziato che avranno un figlio nonostante la loro tarda età (Gn 18,6). È la stessa di Gedeone che si sente abbandonato da Dio e crede che le promesse di liberazione del Signore ormai non si possano realizzare (Gd 6,19), ed è quella di Anna, la madre del profeta Samuele che era sterile e invece avrà un figlio (1Sam 1,24).
Quindi si tratta di situazioni in cui quello che sembrava impossibile diventa realtà. Allora Gesù assicura che la forza del suo messaggio è tale che sarà capace di fermentare il mondo intero. Tre parabole, l’unica per la quale i discepoli chiedono spiegazioni è quella della zizzania, ma non perché non l’abbiano capita; è proprio perché l’hanno capita che non sono d’accordo. Loro sono animati da sentimenti di superiorità, di ambizione, di rivalità tra di loro, e quindi non sono d’accordo su questo fatto di non essere una comunità di giusti, una comunità di eletti. Si avvicinano a Gesù e, in maniera imperativa, gli dicono: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Quindi il tono è di chi non è d’accordo.
E Gesù la spiega. «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo» – Figlio dell’uomo indica Gesù nella sua condizione divina – «Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno». Figli del Regno sono coloro che hanno accolto le condizioni perché il regno diventi realtà. E la condizione perché il regno diventi realtà è la conversione, la sostituzione di falsi valori che reggono la società, per accogliere i nuovi proposti da Gesù, cioè la condivisione, il servizio, e l’amore universale. «La zizzania sono i figli del Maligno», con il termine “figlio” si indica colui che assomiglia al padre, e questo nemico Gesù lo individua nel diavolo, che è il potere, il dominio, l’apparenza. «La mietitura è la fine di quest’epoca» – non la fine del mondo – «e i mietitori sono gli angeli», cioè gli inviati del Signore.
E Gesù aggiunge, spiegando: «Come dunque si raccoglie la zizzania» – quello che è tossico – «e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine di questo tempo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali». L’espressione “scandalo” ricorre nello scontro tra Gesù e Pietro, quando Gesù gli dirà: «Allontanati da me che sei causa di scandalo» (cf Mt 16,23). Lo scandalo è dovuto all’idea di un messia trionfante, di un messia di successo, che non sarà quello che si manifesterà in Gesù. Quindi qui si riferisce a tutti quelli che vogliono il trionfo, «E tutti quelli che commettono iniquità». L’espressione è apparsa per quei discepoli che sono costruttori del nulla, aveva detto Gesù, perché annunziano il messaggio, ma non come espressione della loro vita, bensì come uso del nome del Signore. Convertono gli altri, ma non hanno convertito se stessi. Questi Gesù li considera come coloro che commettono iniquità, cioè coloro che costruiscono il nulla.
E qui Gesù prende in prestito l’immagine del profeta Daniele e dice: «Li getteranno nella fornace ardente» – che significa la distruzione completa, simbolo di morte – «dove sarà pianto e stridore di denti». Questa è un’immagine che indica la disperazione per il fallimento. Nella nostra lingua italiana possiamo usare l’espressione “strapparsi i capelli”, ha lo stesso significato, segno di disperazione e di fallimento. Allora, sempre usando espressioni del libro di Daniele, «I giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro». Chi sceglie la vita ha la vita. È questo il significato di questa parabola: chi produce la vita entra nella pienezza di vita; chi è morto e ha prodotto morte sprofonda nella pienezza della morte.
p. Alberto Maggi
Il dialogo