XXII domenica

Tempo ordinario, Anno A

In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». […]

Se qualcuno vuole venire dietro a me… Vivere una storia con lui, ha un avvio così leggero e liberante: se qualcuno vuole. Se vuoi. Tu andrai o non andrai con Lui, scegli, nessuna imposizione; con lui «maestro degli uomini liberi», «fonte di libere vite» (D.M. Turoldo), se vuoi. Ma le condizioni sono da vertigine. La prima: rinnegare se stessi. Un verbo pericoloso se capito male. Rinnegarsi non significa annullarsi, appiattirsi, mortificare quelle cose che ti fanno unico. Vuol dire: smettila di pensare sempre solo a te stesso, di girarti attorno. Il nostro segreto non è in noi, è oltre noi. Martin Buber riassume così il cammino dell’uomo: «a partire da te, ma non per te». Perché chi guarda solo a se stesso non si illumina mai.

La seconda condizione: prendere la propria croce, e accompagnarlo fino alla fine. Una delle frasi più celebri, più citate e più fraintese del Vangelo. La croce, questo segno semplicissimo, due sole linee, lo vedi in un uccello in volo, in un uomo a braccia aperte, nell’aratro che incide il grembo di madre terra. Immagine che abita gli occhi di tutti, che pende al collo di molti, che segna vette di monti, incroci, campanili, ambulanze, che abita i discorsi come sinonimo di disgrazie e di morte. Ma il suo senso profondo è altrove. La croce è una follia. Un «suicidio per amore», sosteneva Alain Resnais.

Gesù parla di una croce che ormai si profila all’orizzonte e lui sa che a quell’esito lo conduce la sua passione per Dio e per l’uomo, passioni che non può tradire: sarebbe per lui più mortale della morte stessa.Prendi la tua croce, scegli per te qualcosa della mia vita. Di lui, il coraggioso che osa toccare i lebbrosi e sfidare i boia pronti a uccidere l’adultera; il forte che caccia dal tempio buoi e mercanti; il molto tenero che si commuove per due passeri; il rabbi che ama i banchetti e le albe nel deserto; il povero che mai è entrato nei palazzi dei potenti se non da prigioniero; il libero che non si è fatto comprare da nessuno; senza nessun servo, eppure chiamato Signore; il mite che non ha vinto nessuna battaglia e ha conquistato il mondo.

Con la croce, con la passione, che è appassionarsi e patire insieme. Perché «dove metti il tuo cuore là troverai anche le tue ferite» (F. Fiorillo). Se vuoi venire dietro a me… Ma perché seguirlo? Perché andargli dietro? È il dramma di Geremia: basta con Dio, ho chiuso con lui, è troppo. Chi non l’ha patito? Beato però chi continua, come il profeta: nel mio cuore c’era come un fuoco, mi sforzavo di contenerlo ma non potevo. Senza questo fuoco (roveto ardente, lampada, o semplice cerino nella notte), posso anche guadagnare il mondo ma perderei me stesso.

Letture: Geremia 20,7-9; Salmo 62; Romani 12,1-2; Matteo 16,21-27

Ermes Ronchi
Avvenire

 

Siamo sempre a Cesarea, dove Pietro ha confessato Gesù quale Cristo, Messia (cf Mt 16,16). Gesù, annota l’evangelista, udite le parole di Pietro, comanda ai discepoli di non dire a nessuno che egli è il Messia (cf Mt 16,20), perché questo titolo potrebbe essere frainteso. E, prosegue l’evangelista, «Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Ma cosa significa che Gesù «deve» vivere tutto questo?

Ciò non indica affatto un destino crudele impostogli da Dio, bensì innanzitutto una necessità umana, perché in un mondo ingiusto il giusto può essere solo osteggiato, fino a essere ucciso (cf Sap 2). Ebbene, se Gesù, il Giusto, affronta questa situazione senza rispondere ai suoi aguzzini con la violenza, ma restando fedele a Dio, allora la necessità umana può anche essere letta come necessità divina: nel senso che la libera obbedienza alla volontà di Dio, che chiede di vivere l’amore fino all’estremo, esige una vita di amore, anche a costo della morte violenta. Così Gesù ha vissuto, avendo compreso la propria vocazione messianica alla luce delle Scritture, con particolare riferimento al misterioso Servo sofferente descritto da Isaia (cf Is 52, 13; 53-12).

Pietro però non può accettare che questa sia la sorte del Messia, del Re di Israele: teme che la via della Croce possa essere una sconfitta e non una vittoria di Dio. Perciò, con una reazione impulsiva e umanissima, trae in disparte Gesù e si mette a rimproverarlo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Il discepolo, senza sapere quello che dice, pretende di rimproverare il maestro. Non condanniamo e non disprezziamo l’uomo di Galilea – Pietro -, perché anche noi ci comportiamo come lui, anche noi, spesso, chiediamo a Dio di mettersi contro la sua sapienza e di seguire la nostra; chiediamo a Dio di rifare la nostra volontà e di accantonare la sua. Spesso, infatti, la nostra fede è così debole da non essere un cammino verso il Signore e con il Signore, bensì un’ostinata resistenza con l’assurda pretesa che sia Dio a fare il nostro insipiente cammino e il nostro stolto volere.

Gesù però, continua l’evangelista, gli risponde con parole durissime: «Va’ dietro a me, Satana!», cioè torna al posto che ti spetta; «Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!», in modo mondano. Pietro, contestando le parole di Gesù, aveva preteso di farsi maestro del Maestro: un atteggiamento assurdo! Gesù, allora, raccomanda a Pietro di stare nel ruolo del discepolo: con umiltà, con docilità, con fiducia, con obbedienza serena. Ebbene, l’espressione «Va’ dietro a me, Satana!» sta a significare che nessuno deve pretendere di mettersi al di sopra di Dio, perché si diventa «satana», cioè usciamo dalla sequela di Gesù e ci mettiamo davanti a lui ostacolando il cammino da lui stabilito.

Pietro cadrà nello stesso errore di presunzione quando, durante l’Ultima Cena, tenterà di respingere la via umile di Dio esclamando: «Tu non mi laverai i piedi» (cf Gv 13,8). Anche in questa occasione Pietro vuol fare il maestro del Maestro e Gesù, con la pazienza dell’Amore, demolisce ancora una volta l’atteggiamento di Pietro ricordandogli: «Se non ti laverò, non avrai parte con me» (cf Gv 13,8). Pietro, alla fine, capirà e cederà: e saranno le lacrime del pentimento dopo il rinnegamento ad aprirgli definitivamente gli occhi e il cuore (cf Lc 22,62).

Dopo questa affermazione Gesù, a scanso di equivoci, chiarisce quale sia il comportamento richiesto a quanti vivono alla sua sequela. Innanzitutto afferma: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Ciò significa smettere di considerare la propria persona come misura di ogni cosa e rinnegare l’idolatrica appartenenza a se stessi; chi rinuncia a questo comportamento cessa di autogiustificarsi e, per amore di Cristo, accetta anche di caricarsi del peso della croce, lo strumento della propria condanna a morte. Questo modo di vivere è pienamente illuminato dalla successiva parola di Gesù, un detto paradossale che nei vangeli risuona più volte sulle sue labbra: «chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà». Ecco il vero guadagno, la vera salvezza che possiamo conoscere giorno dopo giorno: perdere la nostra vita per Cristo, donarla come egli ha fatto e ci ha insegnato a fare.

Infine Gesù, tornando a parlare di sé alla terza persona, dice: «il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni». Il legame con quanto precede indica che il giudizio comincia per noi qui e ora, e il suo metro è la concreta sequela di Gesù Cristo, segno di una fede confessata con la vita: la vita di chi, per amore suo, desidera seguirlo «dovunque vada» (cf Ap 14,4). Che il Signore Dio apra i nostri occhi e il nostro cuore affinché, come diceva san Francesco D’Assisi, possiamo «conoscere Cristo, povero e crocifisso» e fare sempre la sua santa volontà.

Don Lucio D’Abbraccio