XXIII domenica

Tempo ordinario, Anno A

Letture: Ezechiele 33, 1.7-9; Salmo 94; Romani 13, 8-10; Matteo 18, 15-20

Tutto comincia quando ci sentiamo debitori, dice Paolo; quando ci sentiamo custodi dell’altro, dice il Profeta; debitori senza pretese e custodi attenti: sono i due nomi belli di ogni persona in relazione. E il terzo è offerto dal Vangelo: restauratori di legami, coloro che incessantemente rammendano il tessuto continuamente lacerato delle relazioni. Se tuo fratello commetterà una colpa contro di te, vai e ammoniscilo. Tu fa il primo passo, ricomincia il dialogo, sospinto dal vento di comunione che è Dio, “cemento del cosmo, forza di coesione della materia, collante delle vite” (Turoldo). Quando un io e un tu ricompongono un noi, quando riparano l’alleanza, il legame che si ri-crea è il mattone elementare della casa comune, il sentiero del Regno, la porta di Dio.

Ma che cosa mi autorizza a intervenire nella vita di una persona? Nient’altro che la parola fratello, percepire l’altro come fratello o sorella, non l’impalcarsi a difesa della verità, non il credersi i raddrizzatori dei torti del mondo, ciò che ci autorizza è la custodia direbbe Ezechiele, è l’I care di don Milani: mi stai a cuore e mi prendo cura. Solo chi ci ama sa prendersi cura e ammonirci nel modo giusto, gli altri sanno solo ferire o adulare. Dopo aver così interrogato il tuo cuore, tu va’ e parla, tu fa il primo passo, prova tu a riallacciare la relazione.

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P. Ermes Ronchi

 

La pressione mediatica ci porta sovente ad assumere atteggiamenti feroci e giustizialisti davanti agli errori, ai crimini, ai comportamenti scorretti. Siamo ormai immersi in una bolla di perbenismo farisaico che non ci permette più di vedere la persona, la sua storia, e soprattutto la sua dignità, la possibilità di cambiare e di riabilitarsi. L’atteggiamento che professa la tolleranza zero può essere comprensibile come strategia politica di ricerca del consenso, ma certamente non si concilia con il Vangelo della misericordia: Dio cerca sempre una possibilità di vita per il peccatore, mai la sua distruzione! Persino nei contesti ecclesiali, proprio per il timore della pressione mediatica e del giudizio sociale, l’atteggiamento giustizialista è diventato molto diffuso. È ormai la bandiera che si utilizza per cogliere in fallo il nemico e distruggerlo. Per altri è un modo per mettersi a posto la coscienza: «ho fatto tutto quello che dovevo fare!». Talvolta diventa l’occasione per appuntarsi sul petto la medaglia del paladino dell’integralismo morale.

Il Vangelo di questa domenica ci ricorda che a Dio queste medaglie non interessano. Davanti a lui quello che ha valore è il tentativo di ricostruzione della comunione e la salvezza della persona, per quanto peccatore possa essere. La comunione è un cammino lungo che richiede tempo. È un cammino che passa attraverso fasi diverse, che non sono le fasi delle procedure processuali, ma gli strenui tentativi del cuore di chi cerca onestamente la riconciliazione. Se l’altro ha sbagliato, il mio compito è aiutarlo a rendersene conto, sono chiamato a verificare che cosa è accaduto veramente, il mio obiettivo è ristabilire l’armonia non eliminare il problema per evitare che resti una macchia sull’immagine patinata della comunità.

Il percorso della riconciliazione arriva solo alla fine davanti alla comunità. Gesù chiede di non esporre nessuno al pubblico ludibrio. Tutto comincia dalla relazione personale, nella speranza che possa essere il luogo risolutivo della vicenda. Solo progressivamente, davanti all’ostinazione eventuale del peccatore, possiamo coinvolgere altre persone che ci aiutino a costruire un percorso di riconciliazione, non per stringere le maglie delle norme processuali. Questo percorso ha lo scopo di aiutare chi eventualmente ha sbagliato a prendere consapevolezza del suo comportamento. Forse non sempre abbiamo compreso la responsabilità che Dio mette nelle nostre mani, soprattutto nelle mani di coloro cui è affidato il compito di governare e di giudicare: Dio ha unito terra e cielo, quello che noi facciamo sulla terra, Dio lo prende sul serio, vale anche per lui. Noi cioè siamo sua immagine. Per questo, sarebbe opportuno chiederci quale immagine di Dio stiamo dando. Dovremmo chiederci se effettivamente gli stiamo rendendo un buon servizio.

Alla base di una comunità capace di costruire percorsi di riconciliazione c’è la forza della comunione, quella comunione che il Nemico cerca continuamente di distruggere, perché attraverso la comunione noi permettiamo a Dio di essere presente. Per questo dobbiamo chiederci se i nostri atteggiamenti giustizialisti sono davvero inclini e adatti per costruire la comunione o se accentuano le lacerazioni nella Chiesa e nella società, quelle lacerazioni di cui poi il Nemico approfitta ulteriormente per creare un clima divisivo, un clima di rivendicazione e di rancore. La comunità che Gesù ci chiede di costruire è una comunità nella quale ciascuno si prende cura dell’altro, non dove ciascuno si permette di giudicare, escludere e punire l’altro, per quanto peccatore possa essere. La comunità è il luogo nel quale l’altro mi sta a cuore. Solo così la comunità, la Chiesa, diventa il luogo dell’amore, dove Dio è presente, dove possiamo esprimere la nostra preghiera, certi di essere ascoltati perché Dio è con noi. Forse se sperimentiamo che la nostra preghiera non è ascoltata, il motivo è che non siamo una comunità di amore e di misericordia, ma una comunità di giudici e di inquisitori.

P. Gaetano Piccolo
Rigantur mentes