In quel tempo, i farisei (…) mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità (…). Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
Vengono da Gesù e gli pongono una domanda cattiva, di quelle che scatenano odi, che creano nemici: è lecito o no pagare le tasse a Roma? Sono partigiani di Erode, il mezzosangue idumeo re fantoccio di Roma; insieme ci sono i farisei, i puri che sognano una teocrazia sotto la legge di Mosè. Non si sopportano tra loro, ma oggi si alleano contro un nemico comune: il giovane rabbi di cui temono le idee e di cui vogliono stroncare la carriera di predicatore. La trappola è ben congegnata: scegli: o con noi o contro di noi! Pagare o no le tasse all’impero? Gesù risponde con un doppio cambio di prospettiva.
Il primo: sostituisce il verbo pagare con il verbo restituire: restituite, rendete a Cesare ciò che è di Cesare. Restituite, un imperativo forte, che coinvolge ben più di qualche moneta, che deve dare forma all’intera vita: ridate indietro, a Cesare e a Dio, alla società e alla famiglia, agli altri e alla casa comune, qualcosa in cambio di ciò che avete ricevuto. Noi tutti siamo impigliati in un tessuto di doni. Viviamo del dono di una ospitalità cosmica. Il debito di esistere, il debito grande di vivere si paga solo restituendo molto alla vita. Rendete a Cesare. Ma chi è Cesare? Lo Stato, il potere politico, con il suo pantheon di facce molto note e poco amate? No, Cesare indica molto più di questo. Oso pensare che il vero nome di Cesare oggi, che la mia controparte sia non solo la società, ma il bene comune: terra e poveri, aria e acqua, clima e creature, l’unica arca di Noè su cui tutti siamo imbarcati, e non ce n’è un’altra di riserva. Il più serio problema del pianeta. Hai ricevuto molto, ora non depredare, non avvelenare, non mutilare madre terra, ma prenditene cura a tua volta.
Il secondo cambio di paradigma: Cesare non è Dio. Gesù toglie a Cesare la pretesa divina. Restituite a Dio quello che è di Dio: di Dio è l’uomo, fatto di poco inferiore agli angeli (Salmo 8) e al tempo stesso poco più che un alito di vento (Salmo 44), uno stoppino fumante, ma che tu non spegnerai. Sulla mia mano porto inciso: io appartengo al mio Signore (Isaia 44,5). Sono parole che giungono come un decreto di libertà: tu non appartieni a nessun potere, resta libero da tutti, ribelle ad ogni tentazione di lasciarti asservire, sei il custode della libertà (Eb 3,6). Su ogni potere umano si stende il comando: non mettere le mani sull’uomo. L’uomo è il limite invalicabile: non ti appartiene, non violarlo, non umiliarlo, non abusarlo, ha il Creatore nel sangue e nel respiro. Cosa restituirò a Dio? Il respirare con lui, la triplice cura: di me, del mondo e degli altri, e lo stupore che tutto è «un dono di luce, avvolto in bende di luce» (Rab’ia).
Letture: Isaia 45, 1.4-6; Salmo 95; 1 Tessalonicesi 1,1-5; Matteo 22, 15-21
Ermes Ronchi
Avvenire
Il brano odierno si trova all’interno di una sezione in cui Matteo ci presenta una sequenza di aspre e aperte polemiche con i capi del popolo d’Israele. Questa sezione si apre con l’ingresso di Gesù a Gerusalemme e la cacciata dei venditori dal tempio (21,12), prosegue con una lunga serie di controversie (21,23-22,46) che culminano con la condanna degli scribi e farisei (cap. 23) e si chiude con l’ammonimento ai discepoli nel giudizio finale (25, 31-46). La disputa avviene nel tempio, i farisei tendono una trappola a Gesù nel tentativo di screditarlo e fargli perdere il favore popolare. Perciò “tengono consiglio” (v. 15) alleandosi anche con gli erodiani (seguaci di Erode), un gruppo politico-religioso con posizioni molto distanti da loro.
L’intento è quello di suscitare contro Gesù la reazione del popolo, che riconosceva quale unico Signore Dio e mal sopportava l’oppressione romana, vedendo in Gesù il Messia liberatore. O, altrimenti, di suscitare la reazione dei detentori del potere politico (gli erodiani appunto), che avrebbero accusato Gesù di ribellione e sovversione. Per questo Gesù non può rispondere né sì né no. La controversia verte sul potere e le derive cui può condurre in tutti gli ambiti e a tutti i livelli: non solo, pertanto, quello politico-economico, ma anche quello religioso. Il senso non sta tanto nel dire se il tributo è lecito o no, ma nel porre la questione in relazione a Dio, al Dio d’amore di Gesù.
Per questo Gesù chiede di vedere l’immagine e l’iscrizione della moneta. Essa, infatti, oltre a recare l’effigie di Cesare, riportava un’iscrizione che affermava l’origine divina del potere regale. Ecco allora che la famosa risposta di Gesù ai farisei suona come un’interpellanza a non riconoscere autorità ad un Cesare che pretenda di essere un dio e, contemporaneamente, a negare il culto ad un Dio con le sembianze di un Cesare (E. Cuvillier). Non si tratta, semplicisticamente, di separare gli ambiti ponendo la questione nei termini del dualismo tra vita materiale e vita spirituale, ma di riconoscere che esiste un primato rispetto alla moneta col sigillo di Cesare, che è il primato della persona e di riconoscere che in ogni persona è impressa un’altra immagine, che è l’immagine di Dio (Gn 1, 26-27).
L’uomo e la donna, e dunque l’amore generativo, sono immagine del Dio-Creatore. Per questo tutte le volte che ci relazioniamo con l’altro con amore generoso e gratuito, diveniamo strumenti del processo creativo della vita. L’invito è ad entrare nella logica del dono. A partire dal fondamentale dono della vita, del creato, dell’altro, fino alle necessarie strutture, agli apparati e alle organizzazioni che consentono la vita in comune non si tratta, come dicono i farisei, di “dare” (v. 17) qualcosa che ci appartiene, ma di “rendere” (v. 21) ciò che invece abbiamo già ricevuto. Posto in questi termini, non solo le questioni legate alla moneta, all’economia e alla politica, ma il potere in generale, perfino quello religioso, è messo al riparo da ogni forma di eccesso e abuso e diviene ciò che deve essere: servizio nei confronti dell’altro.
Monica
Comunità Kairòs
XXIX domenica
Tempo ordinario, Anno A
In quel tempo, i farisei (…) mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità (…). Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
Vengono da Gesù e gli pongono una domanda cattiva, di quelle che scatenano odi, che creano nemici: è lecito o no pagare le tasse a Roma? Sono partigiani di Erode, il mezzosangue idumeo re fantoccio di Roma; insieme ci sono i farisei, i puri che sognano una teocrazia sotto la legge di Mosè. Non si sopportano tra loro, ma oggi si alleano contro un nemico comune: il giovane rabbi di cui temono le idee e di cui vogliono stroncare la carriera di predicatore. La trappola è ben congegnata: scegli: o con noi o contro di noi! Pagare o no le tasse all’impero? Gesù risponde con un doppio cambio di prospettiva.
Il primo: sostituisce il verbo pagare con il verbo restituire: restituite, rendete a Cesare ciò che è di Cesare. Restituite, un imperativo forte, che coinvolge ben più di qualche moneta, che deve dare forma all’intera vita: ridate indietro, a Cesare e a Dio, alla società e alla famiglia, agli altri e alla casa comune, qualcosa in cambio di ciò che avete ricevuto. Noi tutti siamo impigliati in un tessuto di doni. Viviamo del dono di una ospitalità cosmica. Il debito di esistere, il debito grande di vivere si paga solo restituendo molto alla vita. Rendete a Cesare. Ma chi è Cesare? Lo Stato, il potere politico, con il suo pantheon di facce molto note e poco amate? No, Cesare indica molto più di questo. Oso pensare che il vero nome di Cesare oggi, che la mia controparte sia non solo la società, ma il bene comune: terra e poveri, aria e acqua, clima e creature, l’unica arca di Noè su cui tutti siamo imbarcati, e non ce n’è un’altra di riserva. Il più serio problema del pianeta. Hai ricevuto molto, ora non depredare, non avvelenare, non mutilare madre terra, ma prenditene cura a tua volta.
Il secondo cambio di paradigma: Cesare non è Dio. Gesù toglie a Cesare la pretesa divina. Restituite a Dio quello che è di Dio: di Dio è l’uomo, fatto di poco inferiore agli angeli (Salmo 8) e al tempo stesso poco più che un alito di vento (Salmo 44), uno stoppino fumante, ma che tu non spegnerai. Sulla mia mano porto inciso: io appartengo al mio Signore (Isaia 44,5). Sono parole che giungono come un decreto di libertà: tu non appartieni a nessun potere, resta libero da tutti, ribelle ad ogni tentazione di lasciarti asservire, sei il custode della libertà (Eb 3,6). Su ogni potere umano si stende il comando: non mettere le mani sull’uomo. L’uomo è il limite invalicabile: non ti appartiene, non violarlo, non umiliarlo, non abusarlo, ha il Creatore nel sangue e nel respiro. Cosa restituirò a Dio? Il respirare con lui, la triplice cura: di me, del mondo e degli altri, e lo stupore che tutto è «un dono di luce, avvolto in bende di luce» (Rab’ia).
Letture: Isaia 45, 1.4-6; Salmo 95; 1 Tessalonicesi 1,1-5; Matteo 22, 15-21
Ermes Ronchi
Avvenire
Il brano odierno si trova all’interno di una sezione in cui Matteo ci presenta una sequenza di aspre e aperte polemiche con i capi del popolo d’Israele. Questa sezione si apre con l’ingresso di Gesù a Gerusalemme e la cacciata dei venditori dal tempio (21,12), prosegue con una lunga serie di controversie (21,23-22,46) che culminano con la condanna degli scribi e farisei (cap. 23) e si chiude con l’ammonimento ai discepoli nel giudizio finale (25, 31-46). La disputa avviene nel tempio, i farisei tendono una trappola a Gesù nel tentativo di screditarlo e fargli perdere il favore popolare. Perciò “tengono consiglio” (v. 15) alleandosi anche con gli erodiani (seguaci di Erode), un gruppo politico-religioso con posizioni molto distanti da loro.
L’intento è quello di suscitare contro Gesù la reazione del popolo, che riconosceva quale unico Signore Dio e mal sopportava l’oppressione romana, vedendo in Gesù il Messia liberatore. O, altrimenti, di suscitare la reazione dei detentori del potere politico (gli erodiani appunto), che avrebbero accusato Gesù di ribellione e sovversione. Per questo Gesù non può rispondere né sì né no. La controversia verte sul potere e le derive cui può condurre in tutti gli ambiti e a tutti i livelli: non solo, pertanto, quello politico-economico, ma anche quello religioso. Il senso non sta tanto nel dire se il tributo è lecito o no, ma nel porre la questione in relazione a Dio, al Dio d’amore di Gesù.
Per questo Gesù chiede di vedere l’immagine e l’iscrizione della moneta. Essa, infatti, oltre a recare l’effigie di Cesare, riportava un’iscrizione che affermava l’origine divina del potere regale. Ecco allora che la famosa risposta di Gesù ai farisei suona come un’interpellanza a non riconoscere autorità ad un Cesare che pretenda di essere un dio e, contemporaneamente, a negare il culto ad un Dio con le sembianze di un Cesare (E. Cuvillier). Non si tratta, semplicisticamente, di separare gli ambiti ponendo la questione nei termini del dualismo tra vita materiale e vita spirituale, ma di riconoscere che esiste un primato rispetto alla moneta col sigillo di Cesare, che è il primato della persona e di riconoscere che in ogni persona è impressa un’altra immagine, che è l’immagine di Dio (Gn 1, 26-27).
L’uomo e la donna, e dunque l’amore generativo, sono immagine del Dio-Creatore. Per questo tutte le volte che ci relazioniamo con l’altro con amore generoso e gratuito, diveniamo strumenti del processo creativo della vita. L’invito è ad entrare nella logica del dono. A partire dal fondamentale dono della vita, del creato, dell’altro, fino alle necessarie strutture, agli apparati e alle organizzazioni che consentono la vita in comune non si tratta, come dicono i farisei, di “dare” (v. 17) qualcosa che ci appartiene, ma di “rendere” (v. 21) ciò che invece abbiamo già ricevuto. Posto in questi termini, non solo le questioni legate alla moneta, all’economia e alla politica, ma il potere in generale, perfino quello religioso, è messo al riparo da ogni forma di eccesso e abuso e diviene ciò che deve essere: servizio nei confronti dell’altro.
Monica
Comunità Kairòs