XXVI domenica

Tempo ordinario, Anno A

Letture: Ezechiele 18,25-28; Salmo 24; Filippesi 2,1-11; Matteo 21,28-32

«Un uomo aveva due figli». E dal seguito della parabola capiamo che «ogni figlio aveva due cuori». Esperienza di tutti: abbiamo in noi un cuore che dice sì e uno che dice no. Non esiste un terzo figlio dal cuore unificato, il figlio ideale che incarna la perfetta coerenza tra il dire e il fare. Siamo persone incompiute, contradditorie: non capisco me stesso, faccio il male che non vorrei, e il bene che vorrei non riesco a farlo (Rm 7,15.19). Ma tutti in cammino verso il cuore unificato. Antonio del deserto diceva che anche nel monaco nascosto nella più sperduta grotta del monte, c’è una guerra che rimane fino alla fine: «la guerra del cuore».

Il conflitto di scelte contradditorie, il misurarsi con la forza selvatica del desiderio. La parabola prende avvio da un triangolo di relazioni, padre-figli, non esemplari. La prima azione riportata è un ordine: «Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna». Il racconto che segue è la reazione a un comando percepito da entrambi i figli come una imposizione, un peso da scrollarsi di dosso, o a parole o coi fatti. Se portiamo la parabola sul piano della nostra vita personale, anche noi ci sentiamo spesso esecutori di ordini di un Dio sovrano che si impone come un padre-padrone; viviamo la religione come un insieme di regole e divieti, dove quasi tutto è proibito e il resto obbligatorio.

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P. Ermes Ronchi

 

Un padre chiede ai suoi due figli di andare a lavorare nella vigna. Immaginiamo che siano una famiglia di vignaioli con tanti operai, ma che oggi il padre abbia bisogno di una mano in più. Se non trova qualcuno, non raccoglieranno l’uva prima che vada a male. Da chi andrebbe prima un padre nel suo bisogno, se non dai figli? Il primo figlio risponde che non ne ha voglia, ma poi si pente e va a lavorare. Il secondo figlio dice che aiuterà suo padre, ma poi non lo fa. Entrambi non volevano andare nella vigna, ma uno ha compiuto la volontà del padre (e non era il figlio che ha dato la risposta apparentemente buona).

Ci sono tante cose che noi non vorremmo fare per la nostra famiglia, al lavoro, o nelle nostre comunità, ma Dio ci chiede di credere che la Sua volontà ci darà la sua gioia. Sant’Agostino dice: «La volontà del Verbo eterno è immutabile per sempre poiché possiede simultaneamente tutte le cose. La nostra volontà al contrario è instabile perché non possiede tutto contemporaneamente, sicché noi ora vogliamo questo ora quello».

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Briana Santiago