XXVIII domenica

Tempo ordinario, Anno A

Letture: Isaia 25,6-10a; Salmo 22; Filippesi 4,12-14.19-20; Matteo 22,1-14

Molti credenti, prigionieri di una religiosità pre-evangelica, mettono la chiave di volta del rapporto tra uomo e Dio nel peccato da espiare e, alla base di tutto, il peccato originale. Invece il Vangelo a dire e ridire che l’asse portante della fede è il dono e, alla base, il dono originale: “Se tu conoscessi il dono di Dio!”. La parabola di oggi lo racconta bene: c’è una festa in città, la più importante delle feste, si sposa il figlio del re. La religione respira aria di festa, si fonda sul dono. Il racconto si muove attorno a tre immagini: una stanza vuota; la ricerca per le strade; un abito sbagliato. Comincia bene, ma presto sbanda verso la tristezza.

La sala vuota certifica un fallimento, come in certe nostre chiese tristi e semivuote, con il pane e vino che nessuno vuole, nessuno cerca, nessuno gusta; con la nostra afasia circa la Parola. E allora la sorpresa: il rifiuto non revoca il dono. Se i cuori e le case degli invitati si chiudono, l’inatteso Signore apre incontri altrove. Come ha dato la vigna ad altri contadini, nella parabola di domenica scorsa, così darà il banchetto ad altri affamati. I servi sono mandati con un ordine illogico e favoloso: tutti quelli che troverete chiamateli alle nozze. Tutti, senza badare a meriti o a formalità. “Non chiedete niente, voi invitate”.

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P. Ermes Ronchi

 

Il brano di questa settimana continua il percorso già iniziato da due domeniche e, a partire dal cap. 21,28 con le parabole dei due figli e dei vignaioli omicidi, sottolinea il costante rifiuto dell’offerta di salvezza da parte dei capi di Israele. Gesù, continua a parlare in parabole e passa dall’immagine della vigna a quella del banchetto. Tuttavia, l’immagine viene subito svelata e si dice che è proprio il regno dei cieli ad essere simile “ad un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio” (v. 2), fornendoci da subito la pista interpretativa. Ancora una volta, così come nella parabola della vigna con cui questa ha diversi paralleli (anche per le figure che vengono riproposte: i servi, il figlio), il primo movimento è del re che manda i servi a chiamare gli invitati ottenendo da questi una risposta negativa.

Ciononostante, il re non si arrende, anzi manda altri servi, sceglie come è successo per Israele altre forme di mediazione, ed esplicita, così come aveva fatto il padrone della vigna, che il suo non è un invito estemporaneo ma è frutto di una lunga cura per il suo popolo e di una attenzione che ha radici profonde: prepara il pranzo, uccide buoi e animali ingrassati, tutto è pronto (v. 4), manifestando chiaramente la sua gioia nella condivisione del banchetto. A questo punto la reazione degli invitati è duplice: alcuni semplicemente non si curano dell’invito e delle parole del re perché troppo presi dalle loro attività quotidiane, non riuscendo a fare spazio all’invito del re nelle loro vite. Altri hanno una reazione spropositata e immotivata. Come i vignaioli omicidi della parabola di domenica scorsa, si abbandonano al male e alla violenza quasi che l’attenzione e l’amore del re nei loro confronti siano essi stessi causa del loro odio.

È la storia fra Israele e il suo Dio. Tra le righe della parabola si intravede a grandi linee la storia del rapporto fra Dio e il suo popolo: dal rifiuto di fronte all’invito dei profeti fino all’ostilità nei confronti dell’insegnamento del vangelo da parte di Gesù e dei suoi apostoli. È un rifiuto quello di Israele inspiegabile e sconcertante, così come lo è il rifiuto degli invitati alle nozze. Chi mai rinuncerebbe a partecipare a un banchetto di nozze? Differentemente da quanto avviene per il padrone della vigna, qui il re risponde in un primo momento adirandosi. Se ci fermassimo a questo punto della parabola la reazione del re sarebbe facilmente interpretabile alla luce di una visione di Dio veterotestamentario, eppure il male e la risposta al male con il castigo non sono l’ultima parola “poiché Dio non ci ha destinati alla sua collera ma all’acquisto della salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” (1 Tess. 5, 9). Ecco, dunque, che il rifiuto degli invitati diventa occasione di salvezza per tutti ed ancora una volta emerge la ferma volontà di Dio di condividere il regno con gli uomini, allargando i destinatari della sua chiamata.

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Luisa