In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. […]»
Nessuno dei protagonisti della parabola fa una bella figura: lo sposo con il suo ritardo esagerato mette in crisi tutte le ragazze; le cinque stolte non hanno pensato a un po’ d’olio di riserva; le sagge si rifiutano di aiutare le compagne; il padrone chiude la porta di casa, cosa che non si faceva, perché tutto il paese partecipava alle nozze, entrava e usciva dalla casa in festa. Eppure è bello questo racconto, mi piace l’affermazione che il Regno di Dio è simile a dieci ragazze che sfidano la notte, armate solo di un po’ di luce. Di quasi niente. Per andare incontro a qualcuno. Il Regno dei cieli, il mondo come Dio lo sogna, è simile a chi va incontro, è simile a dieci piccole luci nella notte, a gente coraggiosa che si mette per strada e osa sfidare il buio e il ritardo del sogno; e che ha l’attesa nel cuore, perché aspetta qualcuno, «uno sposo», un po’ d’amore dalla vita, lo splendore di un abbraccio in fondo alla notte. Ci crede. Ma qui cominciano i problemi.
Tutte si addormentarono, le stolte e le sagge. Perché la fatica del vivere, la fatica di bucare le notti, ci ha portato tutti a momenti di abbandono, a sonnolenza, forse a mollare. La parabola allora ci conforta: verrà sempre una voce a risvegliarci, Dio è un risvegliatore di vite. Non importa se ti addormenti, se sei stanco, se l’attesa è lunga e la fede sembra appassire. Verrà una voce, verrà nel colmo della notte, proprio quando ti parrà di non farcela più, e allora «non temere, perché sarà Lui a varcare l’abisso» (D.M. Turoldo). Il punto di svolta del racconto non è la veglia mancata (si addormentano tutte, tutte ugualmente stanche) ma l’olio delle lampade che finisce. Alla fine la parabola è tutta in questa alternativa: una vita spenta, una vita accesa.
Tuttavia lo scatto in alto, l’inatteso del racconto è quella voce nel buio della mezzanotte, capace di risvegliare alla vita. Io non sono la forza della mia volontà, non sono la mia capacità di resistere al sonno, io ho tanta forza quanta ne ha quella Voce, che, anche se tarda, di certo verrà, a ridestare la vita da tutti gli sconforti, a consolarmi dicendo che di me non è stanca, a disegnare un mondo colmo di incontri e di luci. A me serve un piccolo vaso d’olio. Il Vangelo non dice in che cosa consista quell’olio misterioso. Forse è quell’ansia, quel coraggio che mi porta fuori, incontro agli altri, anche se è notte. La voglia di varcare distanze, rompere solitudini, inventare comunioni. E di credere alla festa: perché dal momento che mi mette in vita Dio mi invita alle nozze con lui. Il Regno è un olio di festa: credere che in fondo ad ogni notte ti attende un abbraccio.
Letture: Sapienza 6,12-16; Salmo 62; Prima Lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi 4,13-18; Matteo 25,1-13
Ermes Ronchi
Avvenire
Nel vangelo di Matteo Gesù, per l’ultima volta, affronta la tematica del Regno dei Cieli, la società alternativa che lui è venuto a inaugurare. Lo fa nel capitolo 25 di Matteo, in quello che per me è uno dei più difficili, più complicati di tutto il vangelo; perché, dal punto di vista narrativo contiene delle incongruenze, delle illogicità, e quindi vedremo di comprenderlo. Scrive l’evangelista: “Allora …”. L’inizio si rifà alla venuta del Signore, alle sue manifestazioni nella storia umana. “Il Regno dei Cieli” – questa società alternativa che inizia qui in questa esistenza terrena – “sarà simile a dieci vergini”, cioè dieci ragazze. Il termine indica donne che ancora non sono sposate, “che presero le loro lampade”; ecco qui la traduzione “lampade” non deve essere fraintesa. Non sono le piccole lampade di creta o di coccio che si tengono nelle case, queste sono le torce che si usavano per uscire all’aperto.
“E uscirono incontro allo sposo”. La tematica dello sposo, nell’Antico e nel Nuovo Testamento, indica l’incontro con il Signore. Quindi l’ambiente è festivo, è quello nuziale. “Cinque di esse erano stolte”. L’aggettivo adoperato dall’evangelista è, in realtà, molto più forte, è “pazze”. È lo stesso termine che Gesù proibisce di usare all’interno della sua comunità – “chi avrà detto pazzo a suo fratello è meritevole della Geenna” (Mt 5,22b) – e soprattutto – e questo ci aiuta a comprendere il significato di questa parabola – è il termine che Gesù ha indicato per quelle persone che vanno a costruire la casa sulla sabbia, senza fondamenta (Mt 7,26-27). Gesù ha detto al capitolo 7 che ci sono due tipi di persone: quelle che accolgono il suo messaggio e lo mettono in pratica, sono simili a quelli che costruiscono la propria casa, cioè la propria esistenza, sulla roccia; invece ci sono i pazzi, quelli che ascoltano ma poi non pensano a praticare, allora come un pazzo che va a costruire la casa sulla sabbia, alla prima fiumana la casa crolla. Quindi l’evangelista ci sta dando già un’indicazione: questa follia di queste ragazze è una rappresentazione di quelli che accolgono il messaggio di Gesù ma non pensano a praticarlo.
“Le altre invece erano sagge”. L’aggettivo “saggio” è stato adoperato dall’evangelista sia per quelli che costruiscono la casa sulla roccia (Mt 7,24-25), ma anche per il servo fedele che procura il cibo per gli altri (Mt 24,45-47), mettendo in relazione questo ascolto della parola di Gesù con la pratica del procurare vita agli altri. “Le stolte presero con se le loro lampade ma non presero con sé l’olio. Le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi”. È olio che serviva per alimentare appunto questa torcia. “Poiché lo sposo tardava si assopirono tutte e si addormentarono”. Il tema non è la vigilanza, perché tutte quante si addormentano, il tema è quello di avere la capacità poi, quando arriva il momento opportuno, di poter essere accolti a questo incontro nuziale. Ed ecco infatti: “A mezzanotte si alzò un grido: «È lo sposo! Andategli incontro!» Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade” – cioè inzupparono di olio le loro torce.
“Le stolte dissero alle sagge: «Dateci un po’ del vostro olio perché le nostre lampade si spengono»”. L’olio è qualcosa che tutti quanti possono avere, però è qualcosa – lo vedremo da questa risposta – che non si può prestare. Dal punto di vista narrativo il brano è illogico e incongruente, sia perché non esiste questa tradizione nuziale delle ragazze che vanno incontro allo sposo, sia perché in questo brano fanno tutti una brutta figura, lo sposo che ritarda e rimprovera le ragazze che non avevano le torce accese, e sono arrivate in ritardo; queste ragazze sono senza olio e le sagge che sembrano anche un poco acide, prive di senso di solidarietà. Quindi non cerchiamo una congruenza dal punto di vista narrativo e logico. Gesù usa proprio queste espressioni per colpire il suo uditorio e far passare il suo messaggio. Quindi la risposta delle sagge: «No, perché non venga a mancare a noi e a voi» significa che questo olio si può avere ma non si può prestare e che comunque è meglio essere in poche ad andare incontro allo sposo con le lampade, piuttosto che tutti quanti al buio.
Quindi questo olio è un’indicazione di vita che viene donata e quindi viene ricevuta. E questo non si può prestare; si tratta delle azioni positive che hanno costruito l’individuo e questo non si può trasmettere dall’uno all’altro. Ed ecco che “Mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo” – ecco l’immagine di nuovo festosa di gioia, delle nozze – “e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze e la porta fu chiusa”. Anche questa dal punto di vista narrativo è un’incongruenza. Alle nozze, nell’area della Palestina, tutto il paese era invitato, non si chiudevano le porte, quindi se Gesù usa queste incongruenze è perché vuole trasmettere un messaggio particolare. “Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: «Signore, Signore, aprici»”. Anche qui Matteo ci sta dando un’indicazione preziosa: quest’invocazione “Signore, Signore” è la stessa che Gesù rimprovererà a quelli a cui dirà: “Non chi dice: Signore Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi compie la volontà del Padre” (Mt 7,21). Non basta un’adesione formale a Gesù, non basta essere entusiasti del suo messaggio, bisogna che questa adesione si traduca in sequela e bisogna che questo entusiasmo alle sue parole si traduca in azioni pratiche che comunicano vita.
Ed ecco per questo la risposta di Gesù è molto severa ed è identica a quella riservata a coloro che dicevano “Signore, Signore”, ma poi non compivano la volontà di Dio. “Ma egli rispose: «In verità io vi dico: non vi conosco»”, esattamente come agli operatori di iniquità, o meglio ai costruttori del nulla, quelli che non hanno utilizzato la parola che per costruire se stessi (Mt 7,23). E l’invito di Gesù a tutti quanti: «Vigilate dunque perché non sapete né il giorno né l’ora». Quale può essere il significato di tutta questa parabola, di questo olio? Il richiamo ancora una volta ci dall’interno del vangelo. Gesù nel capitolo 5, versetto 16 di Matteo aveva detto ai suoi discepoli: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli”. Quindi questa è un’indicazione che questo olio che mantiene la torcia accesa sono le opere buone. Quali sono le opere buone? Azioni con le quali si comunica vita agli altri. Gesù non riconosce chi ha atteggiamenti di fedele ortodossia (Signore, Signore), chi ha atteggiamenti di riverenza e di ortodossia, ma riconosce soltanto chi, come lui, ha fatto della propria vita un dono d’amore affinché gli altri abbiano vita.
P. Alberto Maggi
Il dialogo
XXXII domenica
Tempo ordinario – Anno A
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. […]»
Nessuno dei protagonisti della parabola fa una bella figura: lo sposo con il suo ritardo esagerato mette in crisi tutte le ragazze; le cinque stolte non hanno pensato a un po’ d’olio di riserva; le sagge si rifiutano di aiutare le compagne; il padrone chiude la porta di casa, cosa che non si faceva, perché tutto il paese partecipava alle nozze, entrava e usciva dalla casa in festa. Eppure è bello questo racconto, mi piace l’affermazione che il Regno di Dio è simile a dieci ragazze che sfidano la notte, armate solo di un po’ di luce. Di quasi niente. Per andare incontro a qualcuno. Il Regno dei cieli, il mondo come Dio lo sogna, è simile a chi va incontro, è simile a dieci piccole luci nella notte, a gente coraggiosa che si mette per strada e osa sfidare il buio e il ritardo del sogno; e che ha l’attesa nel cuore, perché aspetta qualcuno, «uno sposo», un po’ d’amore dalla vita, lo splendore di un abbraccio in fondo alla notte. Ci crede. Ma qui cominciano i problemi.
Tutte si addormentarono, le stolte e le sagge. Perché la fatica del vivere, la fatica di bucare le notti, ci ha portato tutti a momenti di abbandono, a sonnolenza, forse a mollare. La parabola allora ci conforta: verrà sempre una voce a risvegliarci, Dio è un risvegliatore di vite. Non importa se ti addormenti, se sei stanco, se l’attesa è lunga e la fede sembra appassire. Verrà una voce, verrà nel colmo della notte, proprio quando ti parrà di non farcela più, e allora «non temere, perché sarà Lui a varcare l’abisso» (D.M. Turoldo). Il punto di svolta del racconto non è la veglia mancata (si addormentano tutte, tutte ugualmente stanche) ma l’olio delle lampade che finisce. Alla fine la parabola è tutta in questa alternativa: una vita spenta, una vita accesa.
Tuttavia lo scatto in alto, l’inatteso del racconto è quella voce nel buio della mezzanotte, capace di risvegliare alla vita. Io non sono la forza della mia volontà, non sono la mia capacità di resistere al sonno, io ho tanta forza quanta ne ha quella Voce, che, anche se tarda, di certo verrà, a ridestare la vita da tutti gli sconforti, a consolarmi dicendo che di me non è stanca, a disegnare un mondo colmo di incontri e di luci. A me serve un piccolo vaso d’olio. Il Vangelo non dice in che cosa consista quell’olio misterioso. Forse è quell’ansia, quel coraggio che mi porta fuori, incontro agli altri, anche se è notte. La voglia di varcare distanze, rompere solitudini, inventare comunioni. E di credere alla festa: perché dal momento che mi mette in vita Dio mi invita alle nozze con lui. Il Regno è un olio di festa: credere che in fondo ad ogni notte ti attende un abbraccio.
Letture: Sapienza 6,12-16; Salmo 62; Prima Lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi 4,13-18; Matteo 25,1-13
Ermes Ronchi
Avvenire
Nel vangelo di Matteo Gesù, per l’ultima volta, affronta la tematica del Regno dei Cieli, la società alternativa che lui è venuto a inaugurare. Lo fa nel capitolo 25 di Matteo, in quello che per me è uno dei più difficili, più complicati di tutto il vangelo; perché, dal punto di vista narrativo contiene delle incongruenze, delle illogicità, e quindi vedremo di comprenderlo. Scrive l’evangelista: “Allora …”. L’inizio si rifà alla venuta del Signore, alle sue manifestazioni nella storia umana. “Il Regno dei Cieli” – questa società alternativa che inizia qui in questa esistenza terrena – “sarà simile a dieci vergini”, cioè dieci ragazze. Il termine indica donne che ancora non sono sposate, “che presero le loro lampade”; ecco qui la traduzione “lampade” non deve essere fraintesa. Non sono le piccole lampade di creta o di coccio che si tengono nelle case, queste sono le torce che si usavano per uscire all’aperto.
“E uscirono incontro allo sposo”. La tematica dello sposo, nell’Antico e nel Nuovo Testamento, indica l’incontro con il Signore. Quindi l’ambiente è festivo, è quello nuziale. “Cinque di esse erano stolte”. L’aggettivo adoperato dall’evangelista è, in realtà, molto più forte, è “pazze”. È lo stesso termine che Gesù proibisce di usare all’interno della sua comunità – “chi avrà detto pazzo a suo fratello è meritevole della Geenna” (Mt 5,22b) – e soprattutto – e questo ci aiuta a comprendere il significato di questa parabola – è il termine che Gesù ha indicato per quelle persone che vanno a costruire la casa sulla sabbia, senza fondamenta (Mt 7,26-27). Gesù ha detto al capitolo 7 che ci sono due tipi di persone: quelle che accolgono il suo messaggio e lo mettono in pratica, sono simili a quelli che costruiscono la propria casa, cioè la propria esistenza, sulla roccia; invece ci sono i pazzi, quelli che ascoltano ma poi non pensano a praticare, allora come un pazzo che va a costruire la casa sulla sabbia, alla prima fiumana la casa crolla. Quindi l’evangelista ci sta dando già un’indicazione: questa follia di queste ragazze è una rappresentazione di quelli che accolgono il messaggio di Gesù ma non pensano a praticarlo.
“Le altre invece erano sagge”. L’aggettivo “saggio” è stato adoperato dall’evangelista sia per quelli che costruiscono la casa sulla roccia (Mt 7,24-25), ma anche per il servo fedele che procura il cibo per gli altri (Mt 24,45-47), mettendo in relazione questo ascolto della parola di Gesù con la pratica del procurare vita agli altri. “Le stolte presero con se le loro lampade ma non presero con sé l’olio. Le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi”. È olio che serviva per alimentare appunto questa torcia. “Poiché lo sposo tardava si assopirono tutte e si addormentarono”. Il tema non è la vigilanza, perché tutte quante si addormentano, il tema è quello di avere la capacità poi, quando arriva il momento opportuno, di poter essere accolti a questo incontro nuziale. Ed ecco infatti: “A mezzanotte si alzò un grido: «È lo sposo! Andategli incontro!» Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade” – cioè inzupparono di olio le loro torce.
“Le stolte dissero alle sagge: «Dateci un po’ del vostro olio perché le nostre lampade si spengono»”. L’olio è qualcosa che tutti quanti possono avere, però è qualcosa – lo vedremo da questa risposta – che non si può prestare. Dal punto di vista narrativo il brano è illogico e incongruente, sia perché non esiste questa tradizione nuziale delle ragazze che vanno incontro allo sposo, sia perché in questo brano fanno tutti una brutta figura, lo sposo che ritarda e rimprovera le ragazze che non avevano le torce accese, e sono arrivate in ritardo; queste ragazze sono senza olio e le sagge che sembrano anche un poco acide, prive di senso di solidarietà. Quindi non cerchiamo una congruenza dal punto di vista narrativo e logico. Gesù usa proprio queste espressioni per colpire il suo uditorio e far passare il suo messaggio. Quindi la risposta delle sagge: «No, perché non venga a mancare a noi e a voi» significa che questo olio si può avere ma non si può prestare e che comunque è meglio essere in poche ad andare incontro allo sposo con le lampade, piuttosto che tutti quanti al buio.
Quindi questo olio è un’indicazione di vita che viene donata e quindi viene ricevuta. E questo non si può prestare; si tratta delle azioni positive che hanno costruito l’individuo e questo non si può trasmettere dall’uno all’altro. Ed ecco che “Mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo” – ecco l’immagine di nuovo festosa di gioia, delle nozze – “e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze e la porta fu chiusa”. Anche questa dal punto di vista narrativo è un’incongruenza. Alle nozze, nell’area della Palestina, tutto il paese era invitato, non si chiudevano le porte, quindi se Gesù usa queste incongruenze è perché vuole trasmettere un messaggio particolare. “Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: «Signore, Signore, aprici»”. Anche qui Matteo ci sta dando un’indicazione preziosa: quest’invocazione “Signore, Signore” è la stessa che Gesù rimprovererà a quelli a cui dirà: “Non chi dice: Signore Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi compie la volontà del Padre” (Mt 7,21). Non basta un’adesione formale a Gesù, non basta essere entusiasti del suo messaggio, bisogna che questa adesione si traduca in sequela e bisogna che questo entusiasmo alle sue parole si traduca in azioni pratiche che comunicano vita.
Ed ecco per questo la risposta di Gesù è molto severa ed è identica a quella riservata a coloro che dicevano “Signore, Signore”, ma poi non compivano la volontà di Dio. “Ma egli rispose: «In verità io vi dico: non vi conosco»”, esattamente come agli operatori di iniquità, o meglio ai costruttori del nulla, quelli che non hanno utilizzato la parola che per costruire se stessi (Mt 7,23). E l’invito di Gesù a tutti quanti: «Vigilate dunque perché non sapete né il giorno né l’ora». Quale può essere il significato di tutta questa parabola, di questo olio? Il richiamo ancora una volta ci dall’interno del vangelo. Gesù nel capitolo 5, versetto 16 di Matteo aveva detto ai suoi discepoli: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli”. Quindi questa è un’indicazione che questo olio che mantiene la torcia accesa sono le opere buone. Quali sono le opere buone? Azioni con le quali si comunica vita agli altri. Gesù non riconosce chi ha atteggiamenti di fedele ortodossia (Signore, Signore), chi ha atteggiamenti di riverenza e di ortodossia, ma riconosce soltanto chi, come lui, ha fatto della propria vita un dono d’amore affinché gli altri abbiano vita.
P. Alberto Maggi
Il dialogo