Letture: Proverbi 31,10-13.19-20.30-31; Salmo 127; 1Tessalonicesi 5,1-6; Matteo 25,14-30
La parabola dei talenti mette in scena la sfida tra il patrimonio economico e il patrimonio relazionale, il molto denaro di un ricco signore e il suo grande progetto sui servitori: affida loro il suo tesoro e parte. Al momento del ritorno e del rendiconto, la sorpresa raddoppia. Anziché tenere per sé, il padrone rilancia: «bene, servo buono, ti darò potere su molto». E senti l’eco del profeta: così per te gioirà il tuo Dio (Is 62,5). Felice di ciò che vede, non solo dona ai servi l’investimento e il guadagno, ma aggiunge un di più: «entra nella gioia del tuo signore». Signore e servi sono entrati in sintonia di vita, nell’esperienza che «il Regno viene con il fiorire della vita in tutte le sue forme» (Giovanni Vannucci).
I primi due hanno capito e osato, il terzo ha avuto paura e ha seppellito la sua vita: so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato, raccogli dove non hai sparso… ho avuto paura. Ecco qui ciò che è tuo. Non l’ha mai considerato suo, quel talento. «Ho avuto paura». La madre di tutte le paure è la paura di Dio. Il terzo servo ha una immagine di Dio triste, predatoria, che sa di morte. Lo sente duro, nemico e ingiusto. E chi non avrebbe paura di un Dio così? Tutta la parabola invece disegna una immagine opposta di Dio, che non è il mietitore severo di quanto ha seminato, ma lascia gioiosamente tutto il buon grano alla tua tavola, anzi lo raddoppia ancora (datelo a chi ha già dieci talenti).
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P. Ermes Ronchi
Mentre ci avviamo alla conclusione dell’anno liturgico, nel contesto del discorso escatologico che Gesù pronuncia fuori dal Tempio di Gerusalemme alla vigilia della sua Passione, ci è offerta la parabola dei talenti: il Signore paragona il Regno dei Cieli a «un uomo in procinto di partire», che affida ciò che è suo ai servi, «a ciascuno secondo la propria capacità»; la maggior parte di essi va e mette a frutto quanto ricevuto, guadagnando altrettanto, ma uno preferisce sotterrare il proprio talento e ignorarne l’esistenza fino al giorno del ritorno del padrone, quando tutti sono chiamati al rendiconto.
È evidente l’evocazione dei tempi della fine, che anche san Paolo richiama ai Tessalonicesi (II lettura): sono otto i talenti di proprietà del padrone, un numero che dice la perfezione e il compimento oltre la dimensione di ciò che è terreno, oltre il sette che è nell’orizzonte umano, nell’escaton dell’ottavo giorno; gli uomini, i servi, incrementano la proprietà del padrone di sette complessivi talenti, quanto si può fare sulla terra; qualcuno di essi non collabora e lascia improduttivo il bene che ha ricevuto, sicché questo resta nascosto sottoterra. Nessuno può realizzare al nostro posto il compito che è stato affidato a noi: la questione seria della nostra vita è individuare la nostra vocazione, comprendere, scoprire e assumere con consapevolezza e responsabilità i talenti ricevuti e lasciare che fioriscano in pienezza, siano essi pochi o tanti, apparentemente nobili o umili; tutti concorrono ugualmente a costruire il Regno dei Cieli.
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Laura Paladino
XXXIII domenica
Tempo ordinario, Anno A
Letture: Proverbi 31,10-13.19-20.30-31; Salmo 127; 1Tessalonicesi 5,1-6; Matteo 25,14-30
La parabola dei talenti mette in scena la sfida tra il patrimonio economico e il patrimonio relazionale, il molto denaro di un ricco signore e il suo grande progetto sui servitori: affida loro il suo tesoro e parte. Al momento del ritorno e del rendiconto, la sorpresa raddoppia. Anziché tenere per sé, il padrone rilancia: «bene, servo buono, ti darò potere su molto». E senti l’eco del profeta: così per te gioirà il tuo Dio (Is 62,5). Felice di ciò che vede, non solo dona ai servi l’investimento e il guadagno, ma aggiunge un di più: «entra nella gioia del tuo signore». Signore e servi sono entrati in sintonia di vita, nell’esperienza che «il Regno viene con il fiorire della vita in tutte le sue forme» (Giovanni Vannucci).
I primi due hanno capito e osato, il terzo ha avuto paura e ha seppellito la sua vita: so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato, raccogli dove non hai sparso… ho avuto paura. Ecco qui ciò che è tuo. Non l’ha mai considerato suo, quel talento. «Ho avuto paura». La madre di tutte le paure è la paura di Dio. Il terzo servo ha una immagine di Dio triste, predatoria, che sa di morte. Lo sente duro, nemico e ingiusto. E chi non avrebbe paura di un Dio così? Tutta la parabola invece disegna una immagine opposta di Dio, che non è il mietitore severo di quanto ha seminato, ma lascia gioiosamente tutto il buon grano alla tua tavola, anzi lo raddoppia ancora (datelo a chi ha già dieci talenti).
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P. Ermes Ronchi
Mentre ci avviamo alla conclusione dell’anno liturgico, nel contesto del discorso escatologico che Gesù pronuncia fuori dal Tempio di Gerusalemme alla vigilia della sua Passione, ci è offerta la parabola dei talenti: il Signore paragona il Regno dei Cieli a «un uomo in procinto di partire», che affida ciò che è suo ai servi, «a ciascuno secondo la propria capacità»; la maggior parte di essi va e mette a frutto quanto ricevuto, guadagnando altrettanto, ma uno preferisce sotterrare il proprio talento e ignorarne l’esistenza fino al giorno del ritorno del padrone, quando tutti sono chiamati al rendiconto.
È evidente l’evocazione dei tempi della fine, che anche san Paolo richiama ai Tessalonicesi (II lettura): sono otto i talenti di proprietà del padrone, un numero che dice la perfezione e il compimento oltre la dimensione di ciò che è terreno, oltre il sette che è nell’orizzonte umano, nell’escaton dell’ottavo giorno; gli uomini, i servi, incrementano la proprietà del padrone di sette complessivi talenti, quanto si può fare sulla terra; qualcuno di essi non collabora e lascia improduttivo il bene che ha ricevuto, sicché questo resta nascosto sottoterra. Nessuno può realizzare al nostro posto il compito che è stato affidato a noi: la questione seria della nostra vita è individuare la nostra vocazione, comprendere, scoprire e assumere con consapevolezza e responsabilità i talenti ricevuti e lasciare che fioriscano in pienezza, siano essi pochi o tanti, apparentemente nobili o umili; tutti concorrono ugualmente a costruire il Regno dei Cieli.
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Laura Paladino