Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Marco 14,1-15,47
Cosa pensa Gesù nel vedere questa folla osannante, cosa prova nel suo cuore, sapendo quel che lo attende una volta giunto a Gerusalemme? Come guarda quei volti che ora lo chiamano “Benedetto!” e cosa legge in quegli occhi? Sa che saranno gli stessi che di qui a qualche a giorno con odio grideranno “Crocifiggilo”? Una folla di sbandati, di gente come noi, pronta a vendersi per qualche sicurezza in più, a sventolare palme e ramoscelli di olivo come fossero portafortuna, a garanzia di una vita assicurata contro le disgrazie. E mi chiedo ancora quanto pesa nel cuore di Gesù la domanda se valga la pena di morire per questa gente.
Ma forse Lui non se la pone affatto questa domanda: quando si ama si è disposti anche a perdere e ad attraversare il buio. Il buio delle incomprensioni e dei tradimenti, il buio dei fallimenti. Un amore appassionato, un amore esagerato quello di Dio, un amore che ti strappa l’anima e ti fa dire “ti amo da morire”. Nonostante tutto. «Non ci si abitua mai ad un Dio umile» ha detto papa Francesco, il nostro è un Dio che si fa prestare un asinello e che non sgroppa su un nobile destriero, è un Dio che accetta insulti, sputi e morte e che perdona.
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Don Luigi Verdi
C’è una scuola dell’obbligo che tutti siamo chiamati a frequentare, si chiama “sofferenza”. È la scuola dove impariamo a vivere e dove veniamo fuori per quello che siamo. Il cuore del Vangelo rispecchia in modo particolare le dinamiche umane che emergono quando siamo chiamati a stare nel dolore, nella delusione e nel fallimento, nell’ingiustizia e nell’impotenza. Possiamo percorrere il racconto della Passione fermandoci sui personaggi che esprimono un certo modo di stare nella scuola della sofferenza per provare a comprendere qualcosa in più di noi. È da questa comprensione che può nascere il nostro cammino di conversione verso la Pasqua.
Colei che ha capito prima di tutti gli altri il significato della sofferenza è una donna che irrompe improvvisamente nella casa di Simone. È una donna audace che non si lascia bloccare dal giudizio e dalle consuetudini. È una donna silenziosa, non dice nulla, ma fa un gesto nel quale dimostra di aver compreso quello che sta per accadere: spacca un vasetto prezioso, di alabastro, e versa una quantità eccessiva di profumo, trecento denari, circa un anno di lavoro! È un gesto con il quale imita e anticipa quello che Gesù sta per fare sulla croce, ci spiega che amare vuol dire sprecare, come quel profumo che non è più recuperabile e che è versato in eccesso, senza farsi i conti, come quel vasetto che poteva essere conservato e che lei invece spacca, come il costato di Cristo sarà ferito in modo irreversibile. Nell’amore non si torna indietro, ciò che è dato non può essere ripreso.
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P. Gaetano Piccolo
Domenica delle Palme
Anno B
Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Marco 14,1-15,47
Cosa pensa Gesù nel vedere questa folla osannante, cosa prova nel suo cuore, sapendo quel che lo attende una volta giunto a Gerusalemme? Come guarda quei volti che ora lo chiamano “Benedetto!” e cosa legge in quegli occhi? Sa che saranno gli stessi che di qui a qualche a giorno con odio grideranno “Crocifiggilo”? Una folla di sbandati, di gente come noi, pronta a vendersi per qualche sicurezza in più, a sventolare palme e ramoscelli di olivo come fossero portafortuna, a garanzia di una vita assicurata contro le disgrazie. E mi chiedo ancora quanto pesa nel cuore di Gesù la domanda se valga la pena di morire per questa gente.
Ma forse Lui non se la pone affatto questa domanda: quando si ama si è disposti anche a perdere e ad attraversare il buio. Il buio delle incomprensioni e dei tradimenti, il buio dei fallimenti. Un amore appassionato, un amore esagerato quello di Dio, un amore che ti strappa l’anima e ti fa dire “ti amo da morire”. Nonostante tutto. «Non ci si abitua mai ad un Dio umile» ha detto papa Francesco, il nostro è un Dio che si fa prestare un asinello e che non sgroppa su un nobile destriero, è un Dio che accetta insulti, sputi e morte e che perdona.
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Don Luigi Verdi
C’è una scuola dell’obbligo che tutti siamo chiamati a frequentare, si chiama “sofferenza”. È la scuola dove impariamo a vivere e dove veniamo fuori per quello che siamo. Il cuore del Vangelo rispecchia in modo particolare le dinamiche umane che emergono quando siamo chiamati a stare nel dolore, nella delusione e nel fallimento, nell’ingiustizia e nell’impotenza. Possiamo percorrere il racconto della Passione fermandoci sui personaggi che esprimono un certo modo di stare nella scuola della sofferenza per provare a comprendere qualcosa in più di noi. È da questa comprensione che può nascere il nostro cammino di conversione verso la Pasqua.
Colei che ha capito prima di tutti gli altri il significato della sofferenza è una donna che irrompe improvvisamente nella casa di Simone. È una donna audace che non si lascia bloccare dal giudizio e dalle consuetudini. È una donna silenziosa, non dice nulla, ma fa un gesto nel quale dimostra di aver compreso quello che sta per accadere: spacca un vasetto prezioso, di alabastro, e versa una quantità eccessiva di profumo, trecento denari, circa un anno di lavoro! È un gesto con il quale imita e anticipa quello che Gesù sta per fare sulla croce, ci spiega che amare vuol dire sprecare, come quel profumo che non è più recuperabile e che è versato in eccesso, senza farsi i conti, come quel vasetto che poteva essere conservato e che lei invece spacca, come il costato di Cristo sarà ferito in modo irreversibile. Nell’amore non si torna indietro, ciò che è dato non può essere ripreso.
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P. Gaetano Piccolo