Letture: Isaia 40,1-5.9-11; Salmo 84; Seconda lettera di san Pietro 3,8-14; Marco 1,1-8
Due profeti, due voci narranti un Dio camminatore dei secoli, viaggiatore dell’anima, orma sulla sabbia, piede che si ferma alla tua porta (cf. Ap 3,20), fremito nel grembo di Maria (Lc 1,41), passione nella voce di Giovanni, miele nella voce di Isaia: «viene il tuo Dio». Due testimoni, che usano lo stesso verbo, al presente, semplice, diretto, sicuro: “viene”. Non probabilmente, non simbolicamente, non apparentemente, ma veramente Dio viene. Non parlano di un domani: “ecco, sta per venire, verrà tra poco”, e ci sarebbe bastato. Ma giorno per giorno, instancabilmente, continuamente Dio viene.
L’Infinito prende corpo perché la nostra vita prenda corpo. Come seme che diventa albero, come la linea mattinale della luce, che sembra minoritaria ma è vincente, piccola breccia che ingoia la notte. Anche se non lo vedi, anche se non ti accorgi, Dio viene, e ogni strada del mondo è Galilea. È bello immaginare il creato come un reticolo, un calpestio di orme di Dio. Alzate il capo, guardate in alto e lontano, perché la vostra liberazione è vicina. Uomini e donne in piedi, eretti, occhi alti e liberi: così vede i discepoli il profeta Isaia, come veggenti dalla vita verticale e dallo sguardo profondo.
Clicca qui per continuare a leggere questo commento su Avvenire
P. Ermes Ronchi
Iniziare non è ripetere lo scontato fingendo innaturali stupori, non è cercare la magia del Natale, nemmeno la purezza dell’infanzia. Iniziare non è ripetere l’ennesima trafila dei cammini d’avvento, iniziare non è nemmeno cedere alla follia degli eventi parrocchiali che non lasciamo respiro, dei ritiri spirituali che riempiono di parole, nemmeno assecondare certa retorica dei tempi forti senza stare mai debolmente in silenzio è iniziare. Iniziare non è costringere nella gabbia delle nostre fantasie minime l’inquieta forza dello Spirito, iniziare non è sapere già quale sia il bene della chiesa e poi fingerne di discuterne sinodalmente, iniziare non è rassicurarci con le nostre moralistiche visioni del mondo e poi fingere obbedienze divine, non è inchiodare alla propria vita un fratello in crisi purché nulla cambi. Iniziare non è vestire i panni dell’eremita e mimare antiche sapienze, non è ripetere il rito sperando di suscitare infantili nostalgie, non è addobbarsi a uomo nuovo per convincersi di essere più santo.
L’inizio, il principio di ogni cosa sei Tu, mio vivo vangelo, Tu mia notizia buona che mi assedi e mi impaurisci, che chiedi grembi pronti a lasciarsi decostruire. Tu sei lo Spirito che nulla lascia intatto, tu sei il bacio di un Vento che non lascia niente come trova. Iniziare, iniziare davvero, e questo mi fa paura, è non sapere, giorno dopo giorno, cosa resterà di me, della mia identità a cui tanto mi sono attaccato. Iniziare, iniziare davvero, è lasciarti esplodere in me, come bambino in grembo che dilata ventri e trasforma in madri ragazzine timide o ingravida sogni trasfigurando padri in salvatori del divino. Iniziare, iniziare davvero, è concederti e fidarmi e perdermi in Te. Per amore. Solo per amore.
Clicca qui per continuare a leggere questo commento sul sito di don Alessandro Dehò
II domenica di Avvento
Anno B
Letture: Isaia 40,1-5.9-11; Salmo 84; Seconda lettera di san Pietro 3,8-14; Marco 1,1-8
Due profeti, due voci narranti un Dio camminatore dei secoli, viaggiatore dell’anima, orma sulla sabbia, piede che si ferma alla tua porta (cf. Ap 3,20), fremito nel grembo di Maria (Lc 1,41), passione nella voce di Giovanni, miele nella voce di Isaia: «viene il tuo Dio». Due testimoni, che usano lo stesso verbo, al presente, semplice, diretto, sicuro: “viene”. Non probabilmente, non simbolicamente, non apparentemente, ma veramente Dio viene. Non parlano di un domani: “ecco, sta per venire, verrà tra poco”, e ci sarebbe bastato. Ma giorno per giorno, instancabilmente, continuamente Dio viene.
L’Infinito prende corpo perché la nostra vita prenda corpo. Come seme che diventa albero, come la linea mattinale della luce, che sembra minoritaria ma è vincente, piccola breccia che ingoia la notte. Anche se non lo vedi, anche se non ti accorgi, Dio viene, e ogni strada del mondo è Galilea. È bello immaginare il creato come un reticolo, un calpestio di orme di Dio. Alzate il capo, guardate in alto e lontano, perché la vostra liberazione è vicina. Uomini e donne in piedi, eretti, occhi alti e liberi: così vede i discepoli il profeta Isaia, come veggenti dalla vita verticale e dallo sguardo profondo.
Clicca qui per continuare a leggere questo commento su Avvenire
P. Ermes Ronchi
Iniziare non è ripetere lo scontato fingendo innaturali stupori, non è cercare la magia del Natale, nemmeno la purezza dell’infanzia. Iniziare non è ripetere l’ennesima trafila dei cammini d’avvento, iniziare non è nemmeno cedere alla follia degli eventi parrocchiali che non lasciamo respiro, dei ritiri spirituali che riempiono di parole, nemmeno assecondare certa retorica dei tempi forti senza stare mai debolmente in silenzio è iniziare. Iniziare non è costringere nella gabbia delle nostre fantasie minime l’inquieta forza dello Spirito, iniziare non è sapere già quale sia il bene della chiesa e poi fingerne di discuterne sinodalmente, iniziare non è rassicurarci con le nostre moralistiche visioni del mondo e poi fingere obbedienze divine, non è inchiodare alla propria vita un fratello in crisi purché nulla cambi. Iniziare non è vestire i panni dell’eremita e mimare antiche sapienze, non è ripetere il rito sperando di suscitare infantili nostalgie, non è addobbarsi a uomo nuovo per convincersi di essere più santo.
L’inizio, il principio di ogni cosa sei Tu, mio vivo vangelo, Tu mia notizia buona che mi assedi e mi impaurisci, che chiedi grembi pronti a lasciarsi decostruire. Tu sei lo Spirito che nulla lascia intatto, tu sei il bacio di un Vento che non lascia niente come trova. Iniziare, iniziare davvero, e questo mi fa paura, è non sapere, giorno dopo giorno, cosa resterà di me, della mia identità a cui tanto mi sono attaccato. Iniziare, iniziare davvero, è lasciarti esplodere in me, come bambino in grembo che dilata ventri e trasforma in madri ragazzine timide o ingravida sogni trasfigurando padri in salvatori del divino. Iniziare, iniziare davvero, è concederti e fidarmi e perdermi in Te. Per amore. Solo per amore.
Clicca qui per continuare a leggere questo commento sul sito di don Alessandro Dehò