Letture: Genesi 22,1-2.9.10-13.15-18; Salmo 115; Romani 8,31-34; Marco 9,2-10
Pietro, Giacomo e Giovanni, sempre loro tre: oggi testimoni di una bellezza inaspettata, tra qualche settimana testimoni di un altro volto del loro Maestro, quello dell’angoscia del Getsemani. Ma oggi guardano attoniti, là sul monte, perché le cose belle avvengono in disparte, come a dire nel mistero del cuore, guardano incantati quel che sta avvenendo sotto i loro occhi. Occhi increduli, sbigottiti, come quelli dei bambini. O come i nostri occhi, quando improvvisamente incontrano i colori di un tramonto, o la bellezza di un albero fiorito e, sempre, quando siamo innamorati. Roba da mettersi la mano sulla bocca, da sentire il fiato mozzato dallo stupore: un’apnea di felicità.
Così saranno rimasti quei tre sul monte nel vedere Gesù, ancora sporco e impolverato dal cammino, risplendere di luce, con il vestito così candido e radioso da attirare tutta la loro attenzione. Non si sa cosa dire quando qualcosa di tanto fulgidamente bello irrompe nella nostra vita, si resta a balbettare, a ripetere «che bello, ma che bello!» E capita anche a noi di voler prolungare quella luce, di cercare di estenderla nel tempo, di volerci accomodare nell’estasi di quel momento. Ma, lo sappiamo bene, dura poco, sul monte con Gesù come nella nostra vita: resta solo, nel petto, quello squarcio di luce. A incoraggiare nei momenti di buio, a ricordarci che la luce c’è.
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Don Luigi Verdi
Questa domenica, la seconda di Quaresima, si caratterizza come domenica della Trasfigurazione di Cristo. Infatti, nell’itinerario quaresimale, la liturgia, dopo averci invitato a seguire Gesù nel deserto, per affrontare e vincere con Lui le tentazioni, ci propone di salire insieme a Lui sul monte della preghiera, per contemplare sul suo volto umano la luce gloriosa di Dio. Nella prima lettura troviamo sul monte Mòria un padre e un figlio: Abramo e Isacco. Sul monte Tabor, invece, troviamo il Padre eterno e il Figlio divino, unigenito anch’egli. Il padre e il figlio sul primo monte si preparano al sacrificio rituale, sul secondo Gesù parla con Elia e Mosè della sua passione.
Le due scene si richiamano a vicenda. La fedeltà di Abramo gli procura la benedizione di Dio, la fedeltà di Cristo gli procura la benedizione del Padre che lo chiama «Figlio amato», cioè benedetto. Gesù porta a compimento ciò che era stato prefigurato in Abramo. La differenza è che Gesù il sacrificio di sé lo compie fino in fondo e il coltello degli uomini affonderà nella sua carne, provocando la sua morte di croce. Allora la redenzione sarà compiuta, a beneficio di tutti gli uomini che saranno liberati dall’antica colpa di Adamo. La fede del patriarca Abramo è immediata, assoluta, senza condizioni, e questo ci insegna che proprio questa docilità porta la storia sacra verso il suo compimento. Abramo è grande non perché è il padre di tutto Israele, ma perché è il primo figlio di Dio che compie le opere dell’Altissimo con una fiducia totale.
Ebbene, nell’episodio della Trasfigurazione di Cristo, che è attestato in maniera concorde dagli evangelisti Matteo, Marco e Luca, gli elementi essenziali sono due: anzitutto, «Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime […]. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù»; in secondo luogo, «venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”». Dunque, la luce e la voce: la luce divina che risplende sul volto di Gesù, e la voce del Padre celeste che testimonia per Lui e comanda di ascoltarlo.
Il mistero della Trasfigurazione non va staccato dal contesto del cammino che Gesù sta percorrendo. Egli si è ormai decisamente diretto verso il compimento della sua missione, ben sapendo che, per giungere alla risurrezione, dovrà passare attraverso la passione e la morte di croce. Di questo ha parlato apertamente ai discepoli, i quali però non hanno capito, anzi, hanno rifiutato questa prospettiva, perché non ragionano secondo Dio, ma secondo gli uomini (cf Mt 16,23). Per questo Gesù porta con sé tre di loro sulla montagna e rivela la sua gloria divina, splendore di Verità e d’Amore. Gesù vuole che questa luce possa illuminare i loro cuori quando attraverseranno il buio fitto della sua passione e morte, quando lo scandalo della croce sarà per loro insopportabile. Dio è luce, e Gesù vuole donare ai suoi amici più intimi l’esperienza di questa luce, che dimora in Lui. Così, dopo questo avvenimento, Egli sarà in loro luce interiore, capace di proteggerli dagli assalti delle tenebre. Anche nella notte più oscura, Gesù è la lampada che non si spegne mai.
Sant’Agostino riassume questo mistero con una espressione bellissima, dice: «Ciò che per gli occhi del corpo è il sole che vediamo, lo è [Cristo] per gli occhi del cuore» (Sermo 78, 2: PL 38, 490). Tutti noi abbiamo bisogno di luce interiore per superare le prove della vita. Questa luce viene da Dio, ed è Cristo a donarcela, Lui, in cui abita la pienezza della divinità (cf Col 2,9). Saliamo con Gesù sul monte della preghiera e, contemplando il suo volto pieno d’amore e di verità, lasciamoci colmare interiormente della sua luce. Chiediamo alla Vergine Maria, nostra guida nel cammino della fede, di aiutarci a vivere questa esperienza nel tempo della Quaresima, trovando ogni giorno qualche momento per la preghiera silenziosa e per l’ascolto della Parola di Dio.
Don Lucio D’Abbraccio
II domenica di Quaresima
Anno B
Letture: Genesi 22,1-2.9.10-13.15-18; Salmo 115; Romani 8,31-34; Marco 9,2-10
Pietro, Giacomo e Giovanni, sempre loro tre: oggi testimoni di una bellezza inaspettata, tra qualche settimana testimoni di un altro volto del loro Maestro, quello dell’angoscia del Getsemani. Ma oggi guardano attoniti, là sul monte, perché le cose belle avvengono in disparte, come a dire nel mistero del cuore, guardano incantati quel che sta avvenendo sotto i loro occhi. Occhi increduli, sbigottiti, come quelli dei bambini. O come i nostri occhi, quando improvvisamente incontrano i colori di un tramonto, o la bellezza di un albero fiorito e, sempre, quando siamo innamorati. Roba da mettersi la mano sulla bocca, da sentire il fiato mozzato dallo stupore: un’apnea di felicità.
Così saranno rimasti quei tre sul monte nel vedere Gesù, ancora sporco e impolverato dal cammino, risplendere di luce, con il vestito così candido e radioso da attirare tutta la loro attenzione. Non si sa cosa dire quando qualcosa di tanto fulgidamente bello irrompe nella nostra vita, si resta a balbettare, a ripetere «che bello, ma che bello!» E capita anche a noi di voler prolungare quella luce, di cercare di estenderla nel tempo, di volerci accomodare nell’estasi di quel momento. Ma, lo sappiamo bene, dura poco, sul monte con Gesù come nella nostra vita: resta solo, nel petto, quello squarcio di luce. A incoraggiare nei momenti di buio, a ricordarci che la luce c’è.
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Don Luigi Verdi
Questa domenica, la seconda di Quaresima, si caratterizza come domenica della Trasfigurazione di Cristo. Infatti, nell’itinerario quaresimale, la liturgia, dopo averci invitato a seguire Gesù nel deserto, per affrontare e vincere con Lui le tentazioni, ci propone di salire insieme a Lui sul monte della preghiera, per contemplare sul suo volto umano la luce gloriosa di Dio. Nella prima lettura troviamo sul monte Mòria un padre e un figlio: Abramo e Isacco. Sul monte Tabor, invece, troviamo il Padre eterno e il Figlio divino, unigenito anch’egli. Il padre e il figlio sul primo monte si preparano al sacrificio rituale, sul secondo Gesù parla con Elia e Mosè della sua passione.
Le due scene si richiamano a vicenda. La fedeltà di Abramo gli procura la benedizione di Dio, la fedeltà di Cristo gli procura la benedizione del Padre che lo chiama «Figlio amato», cioè benedetto. Gesù porta a compimento ciò che era stato prefigurato in Abramo. La differenza è che Gesù il sacrificio di sé lo compie fino in fondo e il coltello degli uomini affonderà nella sua carne, provocando la sua morte di croce. Allora la redenzione sarà compiuta, a beneficio di tutti gli uomini che saranno liberati dall’antica colpa di Adamo. La fede del patriarca Abramo è immediata, assoluta, senza condizioni, e questo ci insegna che proprio questa docilità porta la storia sacra verso il suo compimento. Abramo è grande non perché è il padre di tutto Israele, ma perché è il primo figlio di Dio che compie le opere dell’Altissimo con una fiducia totale.
Ebbene, nell’episodio della Trasfigurazione di Cristo, che è attestato in maniera concorde dagli evangelisti Matteo, Marco e Luca, gli elementi essenziali sono due: anzitutto, «Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime […]. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù»; in secondo luogo, «venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”». Dunque, la luce e la voce: la luce divina che risplende sul volto di Gesù, e la voce del Padre celeste che testimonia per Lui e comanda di ascoltarlo.
Il mistero della Trasfigurazione non va staccato dal contesto del cammino che Gesù sta percorrendo. Egli si è ormai decisamente diretto verso il compimento della sua missione, ben sapendo che, per giungere alla risurrezione, dovrà passare attraverso la passione e la morte di croce. Di questo ha parlato apertamente ai discepoli, i quali però non hanno capito, anzi, hanno rifiutato questa prospettiva, perché non ragionano secondo Dio, ma secondo gli uomini (cf Mt 16,23). Per questo Gesù porta con sé tre di loro sulla montagna e rivela la sua gloria divina, splendore di Verità e d’Amore. Gesù vuole che questa luce possa illuminare i loro cuori quando attraverseranno il buio fitto della sua passione e morte, quando lo scandalo della croce sarà per loro insopportabile. Dio è luce, e Gesù vuole donare ai suoi amici più intimi l’esperienza di questa luce, che dimora in Lui. Così, dopo questo avvenimento, Egli sarà in loro luce interiore, capace di proteggerli dagli assalti delle tenebre. Anche nella notte più oscura, Gesù è la lampada che non si spegne mai.
Sant’Agostino riassume questo mistero con una espressione bellissima, dice: «Ciò che per gli occhi del corpo è il sole che vediamo, lo è [Cristo] per gli occhi del cuore» (Sermo 78, 2: PL 38, 490). Tutti noi abbiamo bisogno di luce interiore per superare le prove della vita. Questa luce viene da Dio, ed è Cristo a donarcela, Lui, in cui abita la pienezza della divinità (cf Col 2,9). Saliamo con Gesù sul monte della preghiera e, contemplando il suo volto pieno d’amore e di verità, lasciamoci colmare interiormente della sua luce. Chiediamo alla Vergine Maria, nostra guida nel cammino della fede, di aiutarci a vivere questa esperienza nel tempo della Quaresima, trovando ogni giorno qualche momento per la preghiera silenziosa e per l’ascolto della Parola di Dio.
Don Lucio D’Abbraccio