Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio (…) Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.
«Passando lungo il mare di Galilea» (il paesaggio d’acque del lago è l’ambiente naturale preferito da Gesù) «vide Simone e Andrea che gettavano le reti in mare». Pescatori che svolgono la loro attività quotidiana, ed è lì che il Maestro li incontra. Dio si incarna nella vita, al tempio preferisce il tempo, allo straordinario il piccolo. Come in tutta la Bibbia: Mosè e Davide sono incontrati mentre seguono le loro greggi al pascolo; Saul sta cercando le asine del padre; Eliseo ara la terra con sei paia di buoi, Levi è seduto allo sportello delle imposte… Nulla vi è di profano nell’amorosa fatica. E Gesù, il figlio del falegname, che si è sporcato le mani con suo padre, che sa riconoscere ogni albero dalle venature e dal profumo del legno, che si è fatto maturo e forte nella fatica quotidiana, lì ha incontrato l’esodo di Dio in cerca delle sue creature: «Dio si trova in qualche modo sulla punta della mia penna, del mio piccone, del mio pennello, del mio ago, del mio cuore, del mio pensiero» (Teilhard de Chardin).
Venite dietro a me vi farò diventare pescatori di uomini. E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Neanche le recuperano, le mollano in acqua, e vanno, come Eliseo che brucia l’aratro nei solchi del campo… «in tutta la Bibbia le azioni dicono il cuore» (A. Guida). Gesù passa e mette in moto le vite. Dove sta la sua forza? Che cosa mancava ai quattro per convincerli a mollare tutto per un mestiere improbabile come pescare uomini? Partire dietro a quel giovane rabbi, senza neppure sapere dove li avrebbe condotti? Avevano il lavoro, una casa, una famiglia, la salute, la fede, tutto il necessario, eppure sentivano il morso di un’assenza: cos’è la vita? pescare, mangiare, dormire? E poi di nuovo pescare, mangiare, dormire. Tutto qua? Sapevano a memoria le rotte del lago. Gesù offre loro la rotta del mondo.
Invece del piccolo cabotaggio dietro ai pesci, offre un’avventura dentro il cuore di Dio e dei figli. Mancava un sogno, e Gesù, guaritore dei sogni, regala il sogno di cieli nuovi e terra nuova. Gesù non spiega, loro non chiedono: e lasciati padre, barca, reti, compagni di lavoro andarono dietro a lui. Chi ha seguito il Nazareno, ha sperimentato che Dio riempie le reti, riempie la vita, moltiplica coraggio e fecondità. Che non ruba niente e dona tutto. Che «rinunciare per lui è uguale a fiorire» (M. Marcolini). Due coppie di fratelli silenziosi sono il primo nucleo della fraternità universale, il progetto di Gesù, che parlerà di Dio con il linguaggio di casa (abbà), che vorrà estendere a livello di umanità intera le relazioni familiari, che ha sperimentato così belle e generatrici: tutti figli, “fratelli tutti”.
Letture: Giona 3, 1-5.10; Salmo 24; 1 Corinzi 7, 29-31; Marco 1,14-20
Ermes Ronchi
Avvenire
L’episodio della chiamata dei discepoli inizia con due versetti che gli esegeti definiscono sommario, ma che in realtà sono versetti programmatici perché mettono in scena Gesù come soggetto agente e non più agito (come abbiamo visto nel battesimo e nelle tentazioni nel deserto). Tutto ciò che il lettore da questo momento leggerà, non sarà altro che la conferma, la spiegazione, l’esortazione di questi due versetti, che si riagganciano alle prime parole del Prologo “Inizio dell’evangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio” (Mc 1, 1). Ormai su Giovanni Battista cala il sipario. Marco non ne parlerà più se non per riferire della sua morte e interpretarne il suo ruolo. La voce che gridava nel deserto è stata messa a tacere, adesso è il tempo della Parola fatta carne, Gesù, che ormai vive in comunione col Padre e lo Spirito. La sua missione comincia in Galilea, luogo simbolico, perché terra confinante con i pagani.
E subito siamo interpellati da due istanze, conversione e fede, mutamento dell’esistenza e adesione posta all’evangelo, quell’evangelo di Dio che per Marco si sintetizza nella persona di Gesù Cristo. I due imperativi, “convertitevi e credete” sono due imperativi presenti, non si tratta di due condizioni preliminari, sono due verbi da coniugarsi di nuovo ogni giorno. Prima di Gesù, convertirsi significava sempre tornare indietro, accorgersi di essere sulla strada sbagliata, invertire la rotta e tornare sui propri passi. Fermandosi e ripensando al proprio cammino, ognuno poteva decidere di tornare all’osservanza della legge e di rientrare nell’alleanza con Dio (Gv 3,1-5.10).
Nell’annuncio di Gesù: “il tempo è compiuto e il Regno di Dio è venuto”, convertirsi non significa più tornare indietro, all’antica alleanza e all’osservanza della legge, ma significa piuttosto fare un balzo avanti ed entrare nel regno, afferrare la salvezza che è venuta agli uomini gratuitamente, per libera e sovrana iniziativa di Dio: il regno di Dio si è fatto vicino nella persona di Gesù, nelle sue parole e gesti di salvezza. Ed è proprio a Lui che occorre convertirsi. Ecco il compimento, c’è davvero un tempo di natura escatologico che si adempie, c’è una novità nel tempo che viene portata e proclamata da Gesù stesso che ne mostra il contenuto e le esigenze.
Il primo frutto di questa novità è la chiamata dei primi quattro discepoli. Lo scenario non è più genericamente la Galilea, ma non aspettiamoci lo spazio sacro del tempio (dove a esempio era stato chiamato il profeta Isaia: cf 6,1-13). Il kairos (compimento del tempo favorevole) avviene in un luogo ordinario: il lago di Genezaret detto anche Lago di Tiberiade o mare di Galilea. Il tempo in cui si ambienta la vicenda è quello di un momento di una giornata lavorativa qualunque, sul genere della chiamata di Eliseo (1Re 19, 19-21). La cornice è quella della ordinarietà in cui irrompe la presenza di Gesù con il suo passare e l’ordinario assume i tratti di una novità sconvolgente per i destinatari della sua chiamata. La narrazione è concisa e asciutta, ma il ritmo improvvisamente accelera nell’uso di verbi di movimento che rivelano l’accelerazione che l’irruzione del Regno conferisce alla storia degli uomini, il subito della risposta dell’uomo.
Qui è impressionante notare come Marco non si preoccupi della veridicità storica della chiamata dei discepoli, una modalità che ha fatto discutere tanto anche i Padri della Chiesa. Marco si diletta a mostrare l’urto, questo choc dei fatti. Quello che gli interessa sottolineare è la parola autorevole di Gesù. Occorre fidarsi e affidarsi a una promessa: “seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini”. Ai quattro chiamati Gesù non prospetta un nuovo lavoro, uno stravolgimento delle loro vite. Resteranno pescatori, ma cambierà il fine della pesca se solo si metteranno alla sua sequela. La questione non è quella di imporre al mondo una scena alternativa, contrapposta, ma togliere i veli che limitano la visuale umana alla superficie delle cose. È un rifiuto dell’ipocrisia, uno schiaffo ad ogni idolatria, uno stimolo a riconoscere sempre la superiore dignità dell’uomo rispetto alle cose di cui fa uso.
I quattro non sono chiamati da Gesù a inventarsi chissà quali cose da fare, ma solo ad ascoltare le parole di Gesù e a metterle in pratica per consentire a quelle parole di fare in loro ciò che Gesù ha promesso: farli diventare pescatori di uomini. Chi opera è il Signore, come dice Paolo: “Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo” [Ef 2,10]. Per questo occorre lasciare la via vecchia per vedere aprirsi davanti a noi la strada della sequela che, lontano dall’impoverire l’uomo, lo costituisce sempre più ricco perché gli consente, su questa terra, di entrare in possesso di un bene maggiore rispetto a quello lasciato e, in futuro, di godere il bene massimo della vita eterna, come Gesù annuncia dicendo: “non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna” [Mc10,29-30].
Ci accorgiamo così che lasciare è la decisione di rigettare le logiche che fanno del lavoro e degli affetti l’idolo a cui prostrarsi per essere liberi di seguire Gesù e imparare da lui come rapportarci col lavoro e con la famiglia. Una volta colto lo schema del racconto, siamo in grado di scoprire la vera intenzione dell’evangelista, che non è semplicemente quella di narrarci un episodio di cronaca, ma mostrare che la chiamata-risposta dei primi discepoli (fatto incontestabile) è, però, emblematica per tutti i cristiani. Dove c’è questa adesione all’azione di Dio, ecco che si può cogliere anche l’azione di Gesù nel suo passare in mezzo a noi. Gesù vede e con il suo sguardo discerne, chiama, attira a sé.
In questo racconto di vocazione possiamo rileggere e verificare la storia della nostra vocazione sia battesimale sia specifica di ciascuno. In ogni vocazione umana c’è alla radice una grazia, un amore. Paolo nella lettera ai Romani cita un ardito testo di Isaia: Is 65,1 cit. in Rm 10,20: “Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano.” La decisione importante è allora quella di lasciarsi conquistare, di non fuggire come Giona, di non chiudere sempre gli occhi davanti a tutti i segni, spesso strani e inattesi, che Dio ci fa balenare dinnanzi. Seguire Gesù significa rinunciare al proprio progetto e rimettersi nelle sue mani, significa ascoltare e accogliere la buona notizia, aderirvi con tutta la propria vita, per essere capaci di annunciare agli altri il Vangelo del Regno che viene e che, in Gesù risorto, si fa vicino a tutti gli uomini.
Annalisa
Comunità Kairòs
III domenica
Tempo ordinario, Anno B
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio (…) Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.
«Passando lungo il mare di Galilea» (il paesaggio d’acque del lago è l’ambiente naturale preferito da Gesù) «vide Simone e Andrea che gettavano le reti in mare». Pescatori che svolgono la loro attività quotidiana, ed è lì che il Maestro li incontra. Dio si incarna nella vita, al tempio preferisce il tempo, allo straordinario il piccolo. Come in tutta la Bibbia: Mosè e Davide sono incontrati mentre seguono le loro greggi al pascolo; Saul sta cercando le asine del padre; Eliseo ara la terra con sei paia di buoi, Levi è seduto allo sportello delle imposte… Nulla vi è di profano nell’amorosa fatica. E Gesù, il figlio del falegname, che si è sporcato le mani con suo padre, che sa riconoscere ogni albero dalle venature e dal profumo del legno, che si è fatto maturo e forte nella fatica quotidiana, lì ha incontrato l’esodo di Dio in cerca delle sue creature: «Dio si trova in qualche modo sulla punta della mia penna, del mio piccone, del mio pennello, del mio ago, del mio cuore, del mio pensiero» (Teilhard de Chardin).
Venite dietro a me vi farò diventare pescatori di uomini. E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Neanche le recuperano, le mollano in acqua, e vanno, come Eliseo che brucia l’aratro nei solchi del campo… «in tutta la Bibbia le azioni dicono il cuore» (A. Guida). Gesù passa e mette in moto le vite. Dove sta la sua forza? Che cosa mancava ai quattro per convincerli a mollare tutto per un mestiere improbabile come pescare uomini? Partire dietro a quel giovane rabbi, senza neppure sapere dove li avrebbe condotti? Avevano il lavoro, una casa, una famiglia, la salute, la fede, tutto il necessario, eppure sentivano il morso di un’assenza: cos’è la vita? pescare, mangiare, dormire? E poi di nuovo pescare, mangiare, dormire. Tutto qua? Sapevano a memoria le rotte del lago. Gesù offre loro la rotta del mondo.
Invece del piccolo cabotaggio dietro ai pesci, offre un’avventura dentro il cuore di Dio e dei figli. Mancava un sogno, e Gesù, guaritore dei sogni, regala il sogno di cieli nuovi e terra nuova. Gesù non spiega, loro non chiedono: e lasciati padre, barca, reti, compagni di lavoro andarono dietro a lui. Chi ha seguito il Nazareno, ha sperimentato che Dio riempie le reti, riempie la vita, moltiplica coraggio e fecondità. Che non ruba niente e dona tutto. Che «rinunciare per lui è uguale a fiorire» (M. Marcolini). Due coppie di fratelli silenziosi sono il primo nucleo della fraternità universale, il progetto di Gesù, che parlerà di Dio con il linguaggio di casa (abbà), che vorrà estendere a livello di umanità intera le relazioni familiari, che ha sperimentato così belle e generatrici: tutti figli, “fratelli tutti”.
Letture: Giona 3, 1-5.10; Salmo 24; 1 Corinzi 7, 29-31; Marco 1,14-20
Ermes Ronchi
Avvenire
L’episodio della chiamata dei discepoli inizia con due versetti che gli esegeti definiscono sommario, ma che in realtà sono versetti programmatici perché mettono in scena Gesù come soggetto agente e non più agito (come abbiamo visto nel battesimo e nelle tentazioni nel deserto). Tutto ciò che il lettore da questo momento leggerà, non sarà altro che la conferma, la spiegazione, l’esortazione di questi due versetti, che si riagganciano alle prime parole del Prologo “Inizio dell’evangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio” (Mc 1, 1). Ormai su Giovanni Battista cala il sipario. Marco non ne parlerà più se non per riferire della sua morte e interpretarne il suo ruolo. La voce che gridava nel deserto è stata messa a tacere, adesso è il tempo della Parola fatta carne, Gesù, che ormai vive in comunione col Padre e lo Spirito. La sua missione comincia in Galilea, luogo simbolico, perché terra confinante con i pagani.
E subito siamo interpellati da due istanze, conversione e fede, mutamento dell’esistenza e adesione posta all’evangelo, quell’evangelo di Dio che per Marco si sintetizza nella persona di Gesù Cristo. I due imperativi, “convertitevi e credete” sono due imperativi presenti, non si tratta di due condizioni preliminari, sono due verbi da coniugarsi di nuovo ogni giorno. Prima di Gesù, convertirsi significava sempre tornare indietro, accorgersi di essere sulla strada sbagliata, invertire la rotta e tornare sui propri passi. Fermandosi e ripensando al proprio cammino, ognuno poteva decidere di tornare all’osservanza della legge e di rientrare nell’alleanza con Dio (Gv 3,1-5.10).
Nell’annuncio di Gesù: “il tempo è compiuto e il Regno di Dio è venuto”, convertirsi non significa più tornare indietro, all’antica alleanza e all’osservanza della legge, ma significa piuttosto fare un balzo avanti ed entrare nel regno, afferrare la salvezza che è venuta agli uomini gratuitamente, per libera e sovrana iniziativa di Dio: il regno di Dio si è fatto vicino nella persona di Gesù, nelle sue parole e gesti di salvezza. Ed è proprio a Lui che occorre convertirsi. Ecco il compimento, c’è davvero un tempo di natura escatologico che si adempie, c’è una novità nel tempo che viene portata e proclamata da Gesù stesso che ne mostra il contenuto e le esigenze.
Il primo frutto di questa novità è la chiamata dei primi quattro discepoli. Lo scenario non è più genericamente la Galilea, ma non aspettiamoci lo spazio sacro del tempio (dove a esempio era stato chiamato il profeta Isaia: cf 6,1-13). Il kairos (compimento del tempo favorevole) avviene in un luogo ordinario: il lago di Genezaret detto anche Lago di Tiberiade o mare di Galilea. Il tempo in cui si ambienta la vicenda è quello di un momento di una giornata lavorativa qualunque, sul genere della chiamata di Eliseo (1Re 19, 19-21). La cornice è quella della ordinarietà in cui irrompe la presenza di Gesù con il suo passare e l’ordinario assume i tratti di una novità sconvolgente per i destinatari della sua chiamata. La narrazione è concisa e asciutta, ma il ritmo improvvisamente accelera nell’uso di verbi di movimento che rivelano l’accelerazione che l’irruzione del Regno conferisce alla storia degli uomini, il subito della risposta dell’uomo.
Qui è impressionante notare come Marco non si preoccupi della veridicità storica della chiamata dei discepoli, una modalità che ha fatto discutere tanto anche i Padri della Chiesa. Marco si diletta a mostrare l’urto, questo choc dei fatti. Quello che gli interessa sottolineare è la parola autorevole di Gesù. Occorre fidarsi e affidarsi a una promessa: “seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini”. Ai quattro chiamati Gesù non prospetta un nuovo lavoro, uno stravolgimento delle loro vite. Resteranno pescatori, ma cambierà il fine della pesca se solo si metteranno alla sua sequela. La questione non è quella di imporre al mondo una scena alternativa, contrapposta, ma togliere i veli che limitano la visuale umana alla superficie delle cose. È un rifiuto dell’ipocrisia, uno schiaffo ad ogni idolatria, uno stimolo a riconoscere sempre la superiore dignità dell’uomo rispetto alle cose di cui fa uso.
I quattro non sono chiamati da Gesù a inventarsi chissà quali cose da fare, ma solo ad ascoltare le parole di Gesù e a metterle in pratica per consentire a quelle parole di fare in loro ciò che Gesù ha promesso: farli diventare pescatori di uomini. Chi opera è il Signore, come dice Paolo: “Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo” [Ef 2,10]. Per questo occorre lasciare la via vecchia per vedere aprirsi davanti a noi la strada della sequela che, lontano dall’impoverire l’uomo, lo costituisce sempre più ricco perché gli consente, su questa terra, di entrare in possesso di un bene maggiore rispetto a quello lasciato e, in futuro, di godere il bene massimo della vita eterna, come Gesù annuncia dicendo: “non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna” [Mc10,29-30].
Ci accorgiamo così che lasciare è la decisione di rigettare le logiche che fanno del lavoro e degli affetti l’idolo a cui prostrarsi per essere liberi di seguire Gesù e imparare da lui come rapportarci col lavoro e con la famiglia. Una volta colto lo schema del racconto, siamo in grado di scoprire la vera intenzione dell’evangelista, che non è semplicemente quella di narrarci un episodio di cronaca, ma mostrare che la chiamata-risposta dei primi discepoli (fatto incontestabile) è, però, emblematica per tutti i cristiani. Dove c’è questa adesione all’azione di Dio, ecco che si può cogliere anche l’azione di Gesù nel suo passare in mezzo a noi. Gesù vede e con il suo sguardo discerne, chiama, attira a sé.
In questo racconto di vocazione possiamo rileggere e verificare la storia della nostra vocazione sia battesimale sia specifica di ciascuno. In ogni vocazione umana c’è alla radice una grazia, un amore. Paolo nella lettera ai Romani cita un ardito testo di Isaia: Is 65,1 cit. in Rm 10,20: “Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano.” La decisione importante è allora quella di lasciarsi conquistare, di non fuggire come Giona, di non chiudere sempre gli occhi davanti a tutti i segni, spesso strani e inattesi, che Dio ci fa balenare dinnanzi. Seguire Gesù significa rinunciare al proprio progetto e rimettersi nelle sue mani, significa ascoltare e accogliere la buona notizia, aderirvi con tutta la propria vita, per essere capaci di annunciare agli altri il Vangelo del Regno che viene e che, in Gesù risorto, si fa vicino a tutti gli uomini.
Annalisa
Comunità Kairòs