Letture: 2 Samuele 7,1-5.8-12.14.16; Salmo 88; Romani 16,25-27; Luca 1,26-38
L’angelo Gabriele vola via dal tempio, dall’anziano sacerdote senza parola, verso una giovane laica, dalla Città Santa a un villaggio senza storia, da un maschio a una donna, dall’unico tempio a una casa come tante, dove «arde in appartata fiamma la vita» (L. Borges) che diventa finestra di cielo. Così inizia il Vangelo: Dio esce dai recinti del sacro e si immerge nella normalità della vita; non fra incensi e candelabri, ma pentole e telai. L’angelo migratore parla in modo chiaro e nuovo. Gioia è la prima parola, xaire, rallegrati, gioisci, sii felice Maria, apriti alla gioia come una porta al sole.
Non le ordina: inginocchiati, obbedisci, prega, vai al tempio. Gabriele brucia le distanze tra Dio e l’umano: tra i due poli scocca la prima scintilla, quella di ogni “in principio”, quella della felicità. Che sarà anche il primo tema del Maestro nella sua prima lezione sul monte (Mt 5). Dio è legittimato a proporsi all’uomo perché sa parlare il linguaggio della gioia. Nella seconda parola, il perché della gioia: sei piena di grazia, riempita, intrisa di Dio. La grazia di Dio è la vita stessa di Dio, il suo amore. Dio è innamorato di te, Maria, il tuo nome è “amata per sempre”, senza rimpianti, teneramente amata. Dio ha detto sì a Maria prima ancora che Maria dicesse sì a Dio, prima di ogni sua risposta. E questo è anche il nostro nome: come lei, tutti amati per sempre, di amore asimmetrico, unilaterale, incondizionato. Per come siamo, per quello che siamo. Il Signore è con te.
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P. Ermes Ronchi
Il cammino dell’Avvento giunge con questa quarta domenica alla sua ultima tappa e chiede al nostro sguardo di riorientarsi: dal futuro dal quale attendiamo il ritorno del Signore alla fine dei tempi, al passato nel quale contempliamo la venuta del Signore nella carne. Due momenti della storia della salvezza che nel tempo di Avvento s’intrecciano e si sostengono reciprocamente: il Signore che attendiamo nella gloria è lo stesso che riconosciamo venuto nella carne. Alla figura di Giovanni il Battista, che ci ha accompagnati nelle due scorse domeniche come voce di colui che annuncia e prepara la venuta del Messia, succede quella di Maria, in cui l’attesa messianica inizia a prendere carne, a entrare nella storia e nel tempo. Il brano evangelico dell’annunciazione, che ascoltiamo in questa domenica, ci narra proprio questo momento sorgivo di una Vita che si fa spazio ed entra nelle nostre vite.
Tutto avviene nella discrezione. Il Battista aveva predicato nel deserto attirando a sé le folle. Ora la scena si apre in uno sperduto villaggio di Nazareth. Al grande profeta e messaggero di Dio, il più grande tra “i nati di donna” (Lc 7,28), succede una giovane donna, una ragazza che il messaggero del Signore raggiunge nella sua vita ordinaria, nei suoi progetti in cui vi è il normalissimo desiderio di un matrimonio. Il compimento s’invera nella ferialità di un’esistenza, a ricordare che la salvezza opera nella ferialità di ogni vicenda umana. Dio entra nella storia senza far rumore. Non ha bisogno di grandi proclami né di parole urlate. Agisce come il lievito che si mescola alla pasta e la fermenta (cf. Lc 13,21). Inizia con una parola che umilmente entra e smuove, mette in cammino. Un cominciamento, questo, che ci rimanda alla dinamica della fede, di cui Maria è icona. Il racconto dell’annunciazione ci narra come Maria, divenendo madre del Figlio di Dio, diventa anche donna credente.
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Sabino Chialà
IV domenica di Avvento
Anno B
Letture: 2 Samuele 7,1-5.8-12.14.16; Salmo 88; Romani 16,25-27; Luca 1,26-38
L’angelo Gabriele vola via dal tempio, dall’anziano sacerdote senza parola, verso una giovane laica, dalla Città Santa a un villaggio senza storia, da un maschio a una donna, dall’unico tempio a una casa come tante, dove «arde in appartata fiamma la vita» (L. Borges) che diventa finestra di cielo. Così inizia il Vangelo: Dio esce dai recinti del sacro e si immerge nella normalità della vita; non fra incensi e candelabri, ma pentole e telai. L’angelo migratore parla in modo chiaro e nuovo. Gioia è la prima parola, xaire, rallegrati, gioisci, sii felice Maria, apriti alla gioia come una porta al sole.
Non le ordina: inginocchiati, obbedisci, prega, vai al tempio. Gabriele brucia le distanze tra Dio e l’umano: tra i due poli scocca la prima scintilla, quella di ogni “in principio”, quella della felicità. Che sarà anche il primo tema del Maestro nella sua prima lezione sul monte (Mt 5). Dio è legittimato a proporsi all’uomo perché sa parlare il linguaggio della gioia. Nella seconda parola, il perché della gioia: sei piena di grazia, riempita, intrisa di Dio. La grazia di Dio è la vita stessa di Dio, il suo amore. Dio è innamorato di te, Maria, il tuo nome è “amata per sempre”, senza rimpianti, teneramente amata. Dio ha detto sì a Maria prima ancora che Maria dicesse sì a Dio, prima di ogni sua risposta. E questo è anche il nostro nome: come lei, tutti amati per sempre, di amore asimmetrico, unilaterale, incondizionato. Per come siamo, per quello che siamo. Il Signore è con te.
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P. Ermes Ronchi
Il cammino dell’Avvento giunge con questa quarta domenica alla sua ultima tappa e chiede al nostro sguardo di riorientarsi: dal futuro dal quale attendiamo il ritorno del Signore alla fine dei tempi, al passato nel quale contempliamo la venuta del Signore nella carne. Due momenti della storia della salvezza che nel tempo di Avvento s’intrecciano e si sostengono reciprocamente: il Signore che attendiamo nella gloria è lo stesso che riconosciamo venuto nella carne. Alla figura di Giovanni il Battista, che ci ha accompagnati nelle due scorse domeniche come voce di colui che annuncia e prepara la venuta del Messia, succede quella di Maria, in cui l’attesa messianica inizia a prendere carne, a entrare nella storia e nel tempo. Il brano evangelico dell’annunciazione, che ascoltiamo in questa domenica, ci narra proprio questo momento sorgivo di una Vita che si fa spazio ed entra nelle nostre vite.
Tutto avviene nella discrezione. Il Battista aveva predicato nel deserto attirando a sé le folle. Ora la scena si apre in uno sperduto villaggio di Nazareth. Al grande profeta e messaggero di Dio, il più grande tra “i nati di donna” (Lc 7,28), succede una giovane donna, una ragazza che il messaggero del Signore raggiunge nella sua vita ordinaria, nei suoi progetti in cui vi è il normalissimo desiderio di un matrimonio. Il compimento s’invera nella ferialità di un’esistenza, a ricordare che la salvezza opera nella ferialità di ogni vicenda umana. Dio entra nella storia senza far rumore. Non ha bisogno di grandi proclami né di parole urlate. Agisce come il lievito che si mescola alla pasta e la fermenta (cf. Lc 13,21). Inizia con una parola che umilmente entra e smuove, mette in cammino. Un cominciamento, questo, che ci rimanda alla dinamica della fede, di cui Maria è icona. Il racconto dell’annunciazione ci narra come Maria, divenendo madre del Figlio di Dio, diventa anche donna credente.
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Sabino Chialà