IV domenica di Pasqua

Anno B

Letture: Atti degli Apostoli 4,8-12; Salmo 117; Prima Lettera di San Giovanni Apostolo 3,1-2; Giovanni 10,11-18

Stabilisce confini oggi Gesù, delimita spazi di senso, posture esistenziali: di qua le pecore di là i lupi, di qua i pastori di là i mercenari, come dire i guardiani a pagamento. O sei l’uno o sei l’altro, senza compromessi, senza mezzi termini. Dall’appartenenza a uno di questi campi scaturiscono le scelte, quelle autentiche, quelle che possono costare la vita. Sei tra quelli che scappa a gambe levate lasciando le pecore tra le mascelle del lupo, facendole sbranare perché tanto “che me ne importa?”. O sei il pastore che le difende, che si mette come scudo tra le sue pecore e il pericolo, rischiando lui stesso e per primo il morso dei lupi?

Mi domando quanti tra tutti coloro che hanno compiti di guida siano disposti a tanto. Papa Francesco direbbe: “Ci stai a tal punto con loro che ti porti addosso l’odore delle pecore?” Che è come dire “sei indifferente o ti prendi davvero cura di coloro che ti sono stati affidati?”, E nel mondo di Dio, nel suo regno, ogni fratello e sorella mi è affidato. La differenza è tutta là, se me ne importa o non me importa: e così scopriamo che, nel mondo di Dio, ognuno di noi è importante, unico e insostituibile, proprio singolarmente, proprio io in quanto io, Luigi; perché Lui, il pastore, sa anche il mio nome. E il tuo.

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Don Luigi Verdi

 

Il contesto del capitolo dieci, in cui si inserisce il nostro brano, è tutto incentrato sul discorso autorivelativo di Gesù che comincia con la proclamazione di essere l’unico mediatore possibile: “io sono la porta delle pecore” (vs. 7), per continuare con l’affermazione di essere colui che ci guida verso il Padre attraverso l’ascolto della sua Parola e il mistero pasquale della sua morte e risurrezione: “io sono il buon pastore” (vs. 11). L’immagine di Dio-pastore del suo popolo era già ampiamente presente nelle Scritture veterotestamentarie e dunque la rivelazione di Gesù all’inizio di questo brano si presenta subito come una rivendicazione messianica. Tuttavia, ancora una volta, profondamente diverse sono le caratteristiche di Gesù-Messia rispetto alle attese del popolo eletto.

La bontà del pastore del nostro brano consiste, infatti, nel deporre (tìthemi) la vita con libertà, in uno svuotamento che è rivelativo della misericordia e della cura del Padre nei nostri riguardi. Il potere più grande del pastore è proprio questo: deporre la vita; non un abbandonarsi alla morte ma un rischiare consapevolmente per la salvezza delle pecore. Gesù che si spossessa della sua vita manifesta la volontà del Padre di farsi prossimo alle sue creature, in una scelta di essere senza potere, in cui si dovrebbe estrinsecare anche la pastoralità della chiesa. La centralità del deporre la vita è resa evidente non solo dall’insistenza con cui viene ripetuto nel testo (cinque volte in pochi versetti) ma anche, e soprattutto, in quanto condizione che rende possibile che anche le altre pecore che non sono dello stesso ovile possano essere condotte e possano affidarsi al Pastore e quindi appartenergli.

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Luisa