In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità (…)».
Quando verrà lo Spirito, vi guiderà a tutta la verità. È l’umiltà di Gesù, che non pretende di aver detto tutto, di avere l’ultima parola su tutto, ma parla della nostra storia con Dio con solo verbi al futuro: lo Spirito verrà, annuncerà, guiderà, parlerà. Un senso di vitalità, di energia, di spazi aperti! Lo Spirito come una corrente che trascina la storia verso il futuro, apre sentieri, fa avanzare. Pregarlo è come affacciarsi al balcone del futuro. Che è la terra fertile e incolta della speranza. Lo Spirito provoca come un cortocircuito nella storia e nel tempo: ci riporta al cuore, accende in noi, come una pietra focaia che alleva scintille, la bellezza di allora, di gesti e parole di quei tre anni di Galilea. E innamorati della bellezza spirituale diventiamo «cercatori veraci di Dio, che inciampano in una stella e, tentando strade nuove, si smarriscono nel pulviscolo magico del deserto» (D.M. Montagna).
Siamo come pellegrini senza strada, ma tenacemente in cammino (Giovanni della Croce), o anche in mezzo a un mare piatto, su un guscio di noce, dove tutto è più grande di noi. In quel momento: bisogna sapere a ogni costo/ far sorgere una vela / sul vuoto del mare (Julian Gracq). Una vela, e il mare cambia, non è più un vuoto in cui perdersi o affondare; basta che sorga una vela e che si lasci investire dal soffio vigoroso dello Spirito (io la vela, Dio il vento) per iniziare una avventura appassionante, dimenticando il vuoto, seguendo una rotta. Che cos’è lo Spirito Santo? È Dio in libertà. Che inventa, apre, scuote, fa cose che non t’aspetti. Che dà a Maria un figlio fuorilegge, a Elisabetta un figlio profeta, e che in noi compie instancabilmente la medesima opera di allora: ci rende grembi del Verbo, che danno carne e sangue e storia alla Parola. Dio in libertà, un vento nomade, che porta pollini là dove vuole, porta primavere e disperde le nebbie, e ci fa tutti vento nel suo Vento. Dio in libertà, che non sopporta statistiche.
Gli studiosi cercano ricorrenze e schemi costanti; dicono: nella Bibbia Dio agisce così. Non credeteci. Nella vita e nella Bibbia, Dio non segue mai degli schemi. Abbiamo bisogno dello Spirito, ne ha bisogno questo nostro mondo stagnante, senza slanci. Per questa Chiesa che fatica a sognare. Lo Spirito con i suoi doni dà a ogni cristiano una genialità che gli è propria. E l’umanità ha bisogno estremo di discepoli geniali. Abbiamo bisogno cioè che ciascuno creda al proprio dono, alla propria unicità, e così possa tenere alta la vita con l’inventiva, il coraggio, la creatività, che sono doni della Spirito. Allora non mancherà mai il vento al mio veliero, o a quella piccola vela che freme alta sul vuoto del mare.
Letture: Atti degli Apostoli 2,1-11; Salmo 103; Lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati 5,16-25; Giovanni 15,26-27; 16,12-15
Ermes Ronchi
Avvenire
Attraverso una lunga e simbolica attesa di cinquanta giorni, la liturgia prepara i credenti a vivere quel giorno di dono e di pienezza che è la Pentecoste, il giorno in cui il Signore Gesù porta a compimento la missione che il Padre gli ha affidato, facendo dono all’umanità del suo Spirito affinché tutto il mondo possa entrare nella novità della vita divina (cfr. il racconto di At 2,1-11). Gesù stesso, con la sua parola, prepara il discepolo in questo tempo di attesa: gli fa comprendere che, nella vita di chi si pone alla sequela di Cristo, ciò che dà forza, freschezza, passione, vivacità a ogni parola, a ogni gesto, è proprio quello Spirito che abita in lui, quello Spirito che è stato il segreto stesso della vita di Gesù (cfr. Gal 5,16-25 e Gv 15,26-27). E la dimensione del dono emerge con forza nelle letture che la liturgia di questo giorno ci propone.
Nel racconto redatto da Luca e riportato in At 2,1-11, l’esperienza della Pentecoste viene descritta attraverso allusioni bibliche che richiamano l’evento del Sinai (cfr. in particolare gli elementi descrittivi che caratterizzano la teofania del Sinai, come il fragore che viene dal cielo, il vento che si abbatte impetuoso, il fuoco) e la stessa comunità dei discepoli radunata «tutta insieme nello stesso luogo» (2,1) ricorda il popolo di Israele accampato davanti al monte (cfr. Es 19,2, una delle letture proposte per la messa vigilare). Di qui deriva un primo aspetto del dono che la comunità dei credenti riceve a Pentecoste: «l’invio dello Spirito – annota J. Dupont – si sostituisce alla promulgazione della Legge; l’alleanza che era fondata sulla legge mosaica viene rimpiazzata da una nuova alleanza, basata sulla presenza e sull’azione dello Spirito nei cuori. Tale alleanza non è più legata all’obbedienza a comandamenti imposti dal di fuori, ma ad una trasformazione intima operata dallo Spirito che ispira, a coloro che l’hanno ricevuto, un atteggiamento filiale nei riguardi di Dio».
Ma questa intima comunione tra Dio e l’uomo che si realizza mediante lo Spirito del Risorto investe anche le relazioni: crea una comunità che è la Chiesa. Il dono dello Spirito è un dono che suscita unità e comunione tra gli uomini. E Luca sottolinea il carattere universale della koinonia inaugurata dallo Spirito. Viene capovolta la pretesa di Babele (Gen 11,1-9, prima lettura della messa vespertina della vigilia): ciò che l’uomo non può realizzare nella logica di una conquista autonoma, cioè l’unità delle lingue, viene compiuta come dono da Dio, mediante lo Spirito che apre alla comprensione dell’altro nella diversità dei linguaggi. Nella Pentecoste, dunque, ci viene rivelato ciò che unisce gli uomini: non è il ‘nome’ che essi si danno annullando ogni alterità nella pretesa di una unità puramente umana, ma lo Spirito (il volto della relazione intradivina) che viene donato. L’unità che scaturisce da questo dono, allora, non è nella riduzione a una sola lingua, ma nella comprensione della parola dello Spirito nella diversità e nella unicità di ciascuna lingua.
E inoltre, a Pentecoste, sotto il simbolo del vento gagliardo che all’improvviso investe il luogo ove erano riuniti i discepoli di Gesù e si trasforma in fuoco che si posa su ciascuno di loro, la comunità dei credenti riceve in dono quella forza che gli permetterà, lungo la storia e in ogni luogo, di essere testimone dell’evangelo e portatrice della Pasqua di Cristo. È come se in quel giorno a quel primo seme di Chiesa, attraverso lo Spirito, venisse donato un vento e un fuoco inestinguibili, tali da percorrere senza sosta ogni epoca e ogni luogo e tali da rendere possibile annunciare, comprendere e vivere l’evangelo. Si può capire allora, proprio attraverso questa immagine, ciò che lo Spirito Santo compie nella Chiesa e in noi credenti: ci abilita ad essere testimoni dell’evangelo, ci dà la forza di annunciare la parola di Gesù, ci rende capaci di comunione e di unità.
Ed è l’aspetto che emerge nella pericope del vangelo di Giovanni. In un contesto di persecuzione, il discepolo fa esperienza certamente di una conformazione al destino del suo Signore: «se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Tuttavia sente il peso di portare una testimonianza che a volte sembra al di là delle sue forze. Gesù allora promette la presenza dello Spirito il quale si rivela come «il Paraclito … lo Spirito di verità che procede dal Padre» (15,26). Egli diventa il testimone interiore del discepolo, colui che ha la forza di convincere il cuore del discepolo della verità della parola di Gesù, quasi ‘difendere’ Gesù nel cuore del discepolo e di rendere trasparente la testimonianza del discepolo di fronte al mondo, facendo comprendere la bellezza della testimonianza data al nome di Gesù. Solo lo Spirito può fare del discepolo un testimone.
Ma in Gv 16,12-13 ci viene anche ricordato che solo lo Spirito può fare da esegeta della parola di Gesù, da guida nel cammino di comprensione di questa parola a volte così difficile da portare. È lo Spirito di verità, poiché «non parla da se stesso, ma dice tutto ciò che ha udito e annuncia le cose future» (cfr. 16,13). Mediante lo Spirito, la comunità dei discepoli viene condotta nel cuore stesso del mistero di Gesù; lo Spirito guida «verso e dentro la pienezza della verità» (tale è il senso della espressione odegesei eis del v.13). E questo cammino guidato dallo Spirito è, nello stesso tempo, un cammino di fedeltà e di novità, di memoria e di rinnovamento. Senza lo Spirito, la parola stessa di Gesù resta estranea al nostro cuore, come qualcosa di duro, di impossibile da capire e da accogliere nella propria vita. Solo lo Spirito ha la forza di inciderla nel nostro cuore e di nasconderla come seme che feconda la nostra esistenza, ricreandola, aprendo vie nuove, rendendoci veramente liberi. Solo lo Spirito, ci ricorda Gesù, può introdurci alla verità tutta intera: alla verità della parola di Dio, ma anche alla verità della nostra vita, del nostro cuore, alla verità dell’altro.
E infine, mediante lo Spirito, questa parola di verità si trasforma in vita. E come ci ricorda l’apostolo Paolo, il dono dello Spirito fa maturare nella nostra esistenza, nel nostro agire, il frutto dello Spirito (cfr. Gal 5,22). «Camminate secondo lo Spirito… lasciatevi guidare dallo Spirito» (Gal 5,16.18): questo è l’invito di Paolo. Ed è un modo di vivere nella logica del dono e della novità: significa affidare il nostro cuore con i suoi desideri alla guida dello Spirito, camminare con il ritmo che lui ci indica; significa vivere nell’ascolto dello Spirito, il quale, conoscendo le profondità del nostro cuore, sa trarre fuori da esso ogni desiderio di bene e, irrobustendolo con la sua potenza, mettendolo in sintonia con il cuore stesso di Dio (con ciò che lui desidera per noi), lo fa diventare un frutto di vita. Vivere secondo lo Spirito, secondo i suoi desideri, è trasformare la propria vita in un terreno fecondo in cui germogliano i semi che sono già nascosti nel nostro cuore (i nostri desideri) diventando frutto dello Spirito. Paolo ci dice, tra l’altro, che c’è un solo frutto da portare e, in qualche modo, tutti i nostri desideri devono convogliare in quel frutto. Questo frutto è l’amore, l’agape, il riflesso della carità di Dio in Gesù che si rivela nella nostra vita. Il dono dello Spirito è la carità.
Monastero di Dumenza
Pentecoste
Anno B
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità (…)».
Quando verrà lo Spirito, vi guiderà a tutta la verità. È l’umiltà di Gesù, che non pretende di aver detto tutto, di avere l’ultima parola su tutto, ma parla della nostra storia con Dio con solo verbi al futuro: lo Spirito verrà, annuncerà, guiderà, parlerà. Un senso di vitalità, di energia, di spazi aperti! Lo Spirito come una corrente che trascina la storia verso il futuro, apre sentieri, fa avanzare. Pregarlo è come affacciarsi al balcone del futuro. Che è la terra fertile e incolta della speranza. Lo Spirito provoca come un cortocircuito nella storia e nel tempo: ci riporta al cuore, accende in noi, come una pietra focaia che alleva scintille, la bellezza di allora, di gesti e parole di quei tre anni di Galilea. E innamorati della bellezza spirituale diventiamo «cercatori veraci di Dio, che inciampano in una stella e, tentando strade nuove, si smarriscono nel pulviscolo magico del deserto» (D.M. Montagna).
Siamo come pellegrini senza strada, ma tenacemente in cammino (Giovanni della Croce), o anche in mezzo a un mare piatto, su un guscio di noce, dove tutto è più grande di noi. In quel momento: bisogna sapere a ogni costo/ far sorgere una vela / sul vuoto del mare (Julian Gracq). Una vela, e il mare cambia, non è più un vuoto in cui perdersi o affondare; basta che sorga una vela e che si lasci investire dal soffio vigoroso dello Spirito (io la vela, Dio il vento) per iniziare una avventura appassionante, dimenticando il vuoto, seguendo una rotta. Che cos’è lo Spirito Santo? È Dio in libertà. Che inventa, apre, scuote, fa cose che non t’aspetti. Che dà a Maria un figlio fuorilegge, a Elisabetta un figlio profeta, e che in noi compie instancabilmente la medesima opera di allora: ci rende grembi del Verbo, che danno carne e sangue e storia alla Parola. Dio in libertà, un vento nomade, che porta pollini là dove vuole, porta primavere e disperde le nebbie, e ci fa tutti vento nel suo Vento. Dio in libertà, che non sopporta statistiche.
Gli studiosi cercano ricorrenze e schemi costanti; dicono: nella Bibbia Dio agisce così. Non credeteci. Nella vita e nella Bibbia, Dio non segue mai degli schemi. Abbiamo bisogno dello Spirito, ne ha bisogno questo nostro mondo stagnante, senza slanci. Per questa Chiesa che fatica a sognare. Lo Spirito con i suoi doni dà a ogni cristiano una genialità che gli è propria. E l’umanità ha bisogno estremo di discepoli geniali. Abbiamo bisogno cioè che ciascuno creda al proprio dono, alla propria unicità, e così possa tenere alta la vita con l’inventiva, il coraggio, la creatività, che sono doni della Spirito. Allora non mancherà mai il vento al mio veliero, o a quella piccola vela che freme alta sul vuoto del mare.
Letture: Atti degli Apostoli 2,1-11; Salmo 103; Lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati 5,16-25; Giovanni 15,26-27; 16,12-15
Ermes Ronchi
Avvenire
Attraverso una lunga e simbolica attesa di cinquanta giorni, la liturgia prepara i credenti a vivere quel giorno di dono e di pienezza che è la Pentecoste, il giorno in cui il Signore Gesù porta a compimento la missione che il Padre gli ha affidato, facendo dono all’umanità del suo Spirito affinché tutto il mondo possa entrare nella novità della vita divina (cfr. il racconto di At 2,1-11). Gesù stesso, con la sua parola, prepara il discepolo in questo tempo di attesa: gli fa comprendere che, nella vita di chi si pone alla sequela di Cristo, ciò che dà forza, freschezza, passione, vivacità a ogni parola, a ogni gesto, è proprio quello Spirito che abita in lui, quello Spirito che è stato il segreto stesso della vita di Gesù (cfr. Gal 5,16-25 e Gv 15,26-27). E la dimensione del dono emerge con forza nelle letture che la liturgia di questo giorno ci propone.
Nel racconto redatto da Luca e riportato in At 2,1-11, l’esperienza della Pentecoste viene descritta attraverso allusioni bibliche che richiamano l’evento del Sinai (cfr. in particolare gli elementi descrittivi che caratterizzano la teofania del Sinai, come il fragore che viene dal cielo, il vento che si abbatte impetuoso, il fuoco) e la stessa comunità dei discepoli radunata «tutta insieme nello stesso luogo» (2,1) ricorda il popolo di Israele accampato davanti al monte (cfr. Es 19,2, una delle letture proposte per la messa vigilare). Di qui deriva un primo aspetto del dono che la comunità dei credenti riceve a Pentecoste: «l’invio dello Spirito – annota J. Dupont – si sostituisce alla promulgazione della Legge; l’alleanza che era fondata sulla legge mosaica viene rimpiazzata da una nuova alleanza, basata sulla presenza e sull’azione dello Spirito nei cuori. Tale alleanza non è più legata all’obbedienza a comandamenti imposti dal di fuori, ma ad una trasformazione intima operata dallo Spirito che ispira, a coloro che l’hanno ricevuto, un atteggiamento filiale nei riguardi di Dio».
Ma questa intima comunione tra Dio e l’uomo che si realizza mediante lo Spirito del Risorto investe anche le relazioni: crea una comunità che è la Chiesa. Il dono dello Spirito è un dono che suscita unità e comunione tra gli uomini. E Luca sottolinea il carattere universale della koinonia inaugurata dallo Spirito. Viene capovolta la pretesa di Babele (Gen 11,1-9, prima lettura della messa vespertina della vigilia): ciò che l’uomo non può realizzare nella logica di una conquista autonoma, cioè l’unità delle lingue, viene compiuta come dono da Dio, mediante lo Spirito che apre alla comprensione dell’altro nella diversità dei linguaggi. Nella Pentecoste, dunque, ci viene rivelato ciò che unisce gli uomini: non è il ‘nome’ che essi si danno annullando ogni alterità nella pretesa di una unità puramente umana, ma lo Spirito (il volto della relazione intradivina) che viene donato. L’unità che scaturisce da questo dono, allora, non è nella riduzione a una sola lingua, ma nella comprensione della parola dello Spirito nella diversità e nella unicità di ciascuna lingua.
E inoltre, a Pentecoste, sotto il simbolo del vento gagliardo che all’improvviso investe il luogo ove erano riuniti i discepoli di Gesù e si trasforma in fuoco che si posa su ciascuno di loro, la comunità dei credenti riceve in dono quella forza che gli permetterà, lungo la storia e in ogni luogo, di essere testimone dell’evangelo e portatrice della Pasqua di Cristo. È come se in quel giorno a quel primo seme di Chiesa, attraverso lo Spirito, venisse donato un vento e un fuoco inestinguibili, tali da percorrere senza sosta ogni epoca e ogni luogo e tali da rendere possibile annunciare, comprendere e vivere l’evangelo. Si può capire allora, proprio attraverso questa immagine, ciò che lo Spirito Santo compie nella Chiesa e in noi credenti: ci abilita ad essere testimoni dell’evangelo, ci dà la forza di annunciare la parola di Gesù, ci rende capaci di comunione e di unità.
Ed è l’aspetto che emerge nella pericope del vangelo di Giovanni. In un contesto di persecuzione, il discepolo fa esperienza certamente di una conformazione al destino del suo Signore: «se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Tuttavia sente il peso di portare una testimonianza che a volte sembra al di là delle sue forze. Gesù allora promette la presenza dello Spirito il quale si rivela come «il Paraclito … lo Spirito di verità che procede dal Padre» (15,26). Egli diventa il testimone interiore del discepolo, colui che ha la forza di convincere il cuore del discepolo della verità della parola di Gesù, quasi ‘difendere’ Gesù nel cuore del discepolo e di rendere trasparente la testimonianza del discepolo di fronte al mondo, facendo comprendere la bellezza della testimonianza data al nome di Gesù. Solo lo Spirito può fare del discepolo un testimone.
Ma in Gv 16,12-13 ci viene anche ricordato che solo lo Spirito può fare da esegeta della parola di Gesù, da guida nel cammino di comprensione di questa parola a volte così difficile da portare. È lo Spirito di verità, poiché «non parla da se stesso, ma dice tutto ciò che ha udito e annuncia le cose future» (cfr. 16,13). Mediante lo Spirito, la comunità dei discepoli viene condotta nel cuore stesso del mistero di Gesù; lo Spirito guida «verso e dentro la pienezza della verità» (tale è il senso della espressione odegesei eis del v.13). E questo cammino guidato dallo Spirito è, nello stesso tempo, un cammino di fedeltà e di novità, di memoria e di rinnovamento. Senza lo Spirito, la parola stessa di Gesù resta estranea al nostro cuore, come qualcosa di duro, di impossibile da capire e da accogliere nella propria vita. Solo lo Spirito ha la forza di inciderla nel nostro cuore e di nasconderla come seme che feconda la nostra esistenza, ricreandola, aprendo vie nuove, rendendoci veramente liberi. Solo lo Spirito, ci ricorda Gesù, può introdurci alla verità tutta intera: alla verità della parola di Dio, ma anche alla verità della nostra vita, del nostro cuore, alla verità dell’altro.
E infine, mediante lo Spirito, questa parola di verità si trasforma in vita. E come ci ricorda l’apostolo Paolo, il dono dello Spirito fa maturare nella nostra esistenza, nel nostro agire, il frutto dello Spirito (cfr. Gal 5,22). «Camminate secondo lo Spirito… lasciatevi guidare dallo Spirito» (Gal 5,16.18): questo è l’invito di Paolo. Ed è un modo di vivere nella logica del dono e della novità: significa affidare il nostro cuore con i suoi desideri alla guida dello Spirito, camminare con il ritmo che lui ci indica; significa vivere nell’ascolto dello Spirito, il quale, conoscendo le profondità del nostro cuore, sa trarre fuori da esso ogni desiderio di bene e, irrobustendolo con la sua potenza, mettendolo in sintonia con il cuore stesso di Dio (con ciò che lui desidera per noi), lo fa diventare un frutto di vita. Vivere secondo lo Spirito, secondo i suoi desideri, è trasformare la propria vita in un terreno fecondo in cui germogliano i semi che sono già nascosti nel nostro cuore (i nostri desideri) diventando frutto dello Spirito. Paolo ci dice, tra l’altro, che c’è un solo frutto da portare e, in qualche modo, tutti i nostri desideri devono convogliare in quel frutto. Questo frutto è l’amore, l’agape, il riflesso della carità di Dio in Gesù che si rivela nella nostra vita. Il dono dello Spirito è la carità.
Monastero di Dumenza