Santa Famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria

Anno B

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – com’è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi […]. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo […] gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore […]. Portarono il Bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore.

Una giovanissima coppia e un neonato che portano la povera offerta dei poveri: due tortore, e la più preziosa offerta del mondo: un bambino. Vengono nella casa del Signore e sulla soglia è il Signore che viene loro incontro attraverso due creature intrise di vita e di Spirito, due anziani, Simeone e Anna, occhi stanchi per la vecchiaia e giovani per il desiderio: la vecchiaia del mondo accoglie fra le sue braccia l’eterna giovinezza di Dio. E la liturgia che si compie, in quel cortile aperto a tutti, è naturale e semplice, naturale e perciò divina: Simeone prende in braccio Gesù e benedice Dio. Compie un gesto sacerdotale, una autentica liturgia, possibile a tutti. Un anziano, diventato onda di speranza, una laica sotto l’ala dello Spirito benedicono Dio e il figlio di Dio: la benedizione non è un ufficio d’élites, ma esubero di gioia che ciascuno può offrire a Dio (R. Virgili).

Anche Maria e Giuseppe sono benedetti, tutta la famiglia viene avvolta da un velo di luce per la benedizione e la profezia di quella coppia di anziani laici, profeti e sacerdoti a un tempo: la benedizione e la profezia non sono riservate ad una categoria sacra, abitano nel cortile aperto a tutti. Lo Spirito aveva rivelato a Simeone che non avrebbe visto la morte senza aver prima veduto il Messia. Parole che sono per me e per te: io non morirò senza aver visto l’offensiva di Dio, l’offensiva della luce già in atto dovunque, l’offensiva mite e possente del lievito e del granello di senape. Poi Simeone dice tre parole immense su Gesù: egli è qui come caduta, risurrezione, come segno di contraddizione. Gesù come caduta. Caduta dei nostri piccoli o grandi idoli, rovina del nostro mondo di maschere e bugie, della vita insufficiente e malata. Venuto a rovinare tutto ciò che rovina l’uomo, a portare spada e fuoco per tagliare e bruciare ciò che è contro l’umano.

Egli è qui per la risurrezione: è la forza che ti fa rialzare quando credi che per te è finita, che ti fa partire anche se hai il vuoto dentro e il nero davanti agli occhi. È qui e assicura che vivere è l’infinita pazienza di ricominciare. Cristo contraddizione del nostro illusorio equilibrio tra il dare e l’avere; che contraddice tutta la mia mediocrità, tutte le mie idee sbagliate su Dio. Caduta, risurrezione contraddizione. Tre parole che danno respiro e movimento alla vita, con dentro il luminoso potere di far vedere che tutte le cose sono ormai abitate da un oltre. La figura di Anna chiude il grande affresco. Una donna profeta! Un’altra, oltre ad Elisabetta e Maria, capaci di incantarsi davanti a un neonato perché sentono Dio come futuro.

Letture: Genesi 15, 1-6; 21,1-3; Salmo 104; Ebrei 11,8.11-12.17-19; Luca 2, 22-40

Ermes Ronchi
Avvenire

 

Ricorre oggi la domenica della Santa Famiglia. Possiamo ancora immedesimarci nei pastori di Betlemme che, appena ricevuto l’annuncio dall’angelo, accorsero in fretta alla grotta e trovarono «Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia» (cf Lc 2,16). Fermiamoci anche noi a contemplare questa scena. I primi testimoni della nascita del Cristo, i pastori, si trovarono di fronte non solo il Bambino Gesù, ma una piccola famiglia: mamma, papà e figlio appena nato.

Gesù ha voluto nascere e crescere in una famiglia umana; ha avuto la Vergine Maria come mamma e Giuseppe che gli ha fatto da padre; essi l’hanno allevato ed educato con immenso amore. La famiglia di Gesù merita davvero il titolo di «santa», perché è tutta presa dal desiderio di adempiere la volontà di Dio. Essa è una famiglia come tutte e, come tutte le famiglie, ha attraversato molte prove. Ricordiamo la «strage degli innocenti», che costrinse Giuseppe e Maria ad emigrare in Egitto (cf Mt 2,13-23). Ma, confidando nella divina Provvidenza, essi trovarono la loro stabilità e assicurarono a Gesù un’infanzia serena e una solida educazione.

Infatti, i brani biblici offertici dalla liturgia mostrano la fede obbediente di Maria e di Giuseppe. Per loro, come per Abramo e Sara, personaggi che abbiamo incontrato nella prima e seconda lettura, il figlio è un dono straordinario di Dio. Maria lo concepisce nel suo grembo verginale per opera dello Spirito Santo e Giuseppe dà il nome, la tutela giuridica, a questo bambino predetto dai profeti e annunciato dagli angeli. Essi ben presto si accorgono che egli non è per loro, non è loro proprietà: essi sono i custodi di un dono fatto all’umanità intera.

Quando Gesù viene presentato al tempio per il riscatto prescritto dalla legge di Mosè, il vegliardo Simeone così profetizza di lui: «egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori» e a Maria preannuncia: «anche a te una spada trafiggerà l’anima». Nel racconto evangelico emerge non tanto il fatto della presentazione di Gesù a Dio da parte dei genitori, quanto la presentazione di Gesù a tutti gli uomini, fatta da Simeone che lo proclama «luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».

Ripensando alla festa di oggi e ai brani biblici ascoltati, vengono spontanee alcune considerazioni. Oggi per tante persone la famiglia è diventata un bene di consumo: come il televisore, il cellulare, la moto, la macchina…: il bene di consumo si usa finché fa comodo e poi si butta via. E infatti molti oggi si sposano con la decisione che finché va, va, quando non piace più ci si lascia. Con questo atteggiamento la famiglia è tradita fin dal suo nascere; con questo atteggiamento possono nascere accoppiamenti, ma non famiglie. Che senso può avere sposarsi in chiesa se poi non c’è fedeltà e il matrimonio non viene più considerato indissolubile? Che senso può avere l’accoglienza dei bambini, che richiedono dedizione, sacrificio e fedeltà se poi in molte famiglie questi valori non esistono? Chi non crede nella famiglia cristiana non deve sposarsi religiosamente e nessuno deve costringere al matrimonio religioso coloro che in esso non credono!

La famiglia deve essere il luogo di educazione all’onestà, alla lealtà, al sacrificio, all’impegno, al rispetto. I genitori sono i primi maestri della vita. Un padre e una madre che non sentano e non vivano la passione educativa nei confronti dei loro figli non sono veri genitori! Pensiamo a tutti quei genitori che non danno esempi buoni ai loro figli! Ci lamentiamo del comportamento dei giovani; ma la colpa di chi è? Non dimentichiamoci che sono i genitori il punto di riferimento per gli orientamenti dei figli! Se il punto di riferimento viene a mancare è come se mancasse il pane e, se manca questo pane, i figli muoiono di fame anche se mangiano brioches!

Santa Madre Teresa di Calcutta, intervistata molti anni fa in occasione del Natale, esclamò: «Se le famiglie tornassero a pregare insieme, avrebbero più pace. Niente mette tanta pace, quanto la preghiera fatta insieme». Mentre san Giovanni Paolo II in diverse occasioni ha detto: «Se la fede e la preghiera non si esprimono anche dentro la casa, i figli diventati adulti abbandoneranno la fede poiché per loro essa ha pochissimo valore». Ed infine papa Leone XIII così si esprimeva in merito alla famiglia: «La famiglia è la cellula della società: se essa è sana, tutto l’organismo prospera; se essa è malata, l’intera comunità deperisce e muore». Ebbene, affidiamo alla Madonna e a san Giuseppe tutte le famiglie, affinché non si scoraggino di fronte alle prove e alle difficoltà, ma coltivino sempre l’amore coniugale e si dedichino con fiducia al servizio della vita e dell’educazione.

Don Lucio D’Abbraccio