Santissimo Corpo e Sangue di Cristo

Tempo ordinario, Anno B

Il primo giorno degli azzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”» […]

Prendete, questo è il mio corpo. Nei Vangeli Gesù parla sempre con verbi poveri, semplici, diretti: prendete, ascoltate, venite, andate, partite; corpo e sangue. Ignote quelle mezze parole la cui ambiguità permette ai potenti o ai furbi di consolidare il loro predominio. Gesù è così radicalmente uomo, anche nel linguaggio, da raggiungere Dio e da comunicarlo attraverso le radici, attraverso gesti comuni a tutti. Seguiamo la successione esatta delle parole così come riportata dal Vangelo di Marco: prendete, questo è il mio corpo… Al primo posto quel verbo, nitido e preciso come un gesto concreto, come mani che si aprono e si tendono. Gesù non chiede agli apostoli di adorare, contemplare, venerare quel pane spezzato, chiede molto di più: “io voglio essere preso dalle tue mani come dono, stare nella tua bocca come pane, nell’intimo tuo come sangue, farmi cellula, respiro, pensiero di te. Tua vita”. Qui è il miracolo, il batticuore, lo scopo: prendete. Per diventare ciò che ricevete.

Quello che sconvolge sta in ciò che accade nel discepolo più ancora che in ciò che accade nel pane e nel vino: lui vuole che nelle nostre vene scorra il flusso caldo della sua vita, che nel cuore metta radici il suo coraggio, che ci incamminiamo a vivere l’esistenza umana come l’ha vissuta lui. Dio in me, il mio cuore lo assorbe, lui assorbe il mio cuore, e diventiamo una cosa sola, una stessa vocazione: non andarcene da questo mondo senza essere diventati pezzo di pane buono per la fame e la gioia e la forza di qualcuno. Dio si è fatto uomo per questo, perché l’uomo si faccia come Dio. Gesù ha dato ai suoi due comandi semplici, li ha raddoppiati, e in ogni Eucaristia noi li riascoltiamo: prendete e mangiate, prendete e bevete.

A che serve un Pane, un Dio, chiuso nel tabernacolo, da esporre di tanto in tanto alla venerazione e all’incenso? Gesù non è venuto nel mondo per creare nuove liturgie. Ma figli liberi e amanti. Vivi della sua vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Corpo e sangue indicano l’intera sua esistenza, la sua vicenda umana, le sue mani di carpentiere con il profumo del legno e il foro dei chiodi, le sue lacrime, le sue passioni, la polvere delle strade, i piedi intrisi di nardo e poi di sangue, e la casa che si riempie di profumo e parole che sanno di cielo. Lui dimora in me e io in lui, le persone, quando amano, dicono le stesse cose: vieni a vivere nella mia casa, la mia casa è la tua casa. Dio lo dice a noi. Prima che io dica: “ho fame”, lui ha detto: “voglio essere con te”. Mi ha cercato, mi attende e si dona. Un Dio così non si merita: lo si deve solo accogliere e lasciarsi amare.

Letture: Esodo 24,3-8; Salmo 115; Lettera agli Ebrei 9,11-15; Marco 14,12-16.22-26

Ermes Ronchi
Avvenire

 

La festa del Corpus Domini è nata in Belgio, all’inizio del XIII secolo; i monasteri benedettini furono i primi ad adottarla; il papa Urbano IV la estese a tutta la Chiesa nel 1264, anche per influsso del miracolo eucaristico di Bolsena, oggi venerato a Orvieto. Ma che bisogno c’era di istituire una nuova festa? La Chiesa non ricorda l’istituzione dell’Eucaristia il Giovedì Santo? Non la celebra ogni Domenica e ogni giorno dell’anno? Il Corpus Domini è la prima festa che non ha per oggetto un evento della vita di Cristo, ma una verità di fede: la reale presenza di Gesù nell’Eucaristia.

Per molto tempo quella del Corpus Domini fu l’unica processione in uso in tutta la cristianità e anche la più solenne. Oggi le processioni hanno ceduto il passo ai cortei (in genere, di protesta); ma se è caduta la coreografia esterna (addobbare i balconi delle proprie case esponendo le coperte più belle, ricoprire il manto stradale con fiori, fare altarini solenni, etc.), rimane intatto il senso profondo della festa e il motivo che l’ha ispirata: tenere desto lo stupore di fronte al più grande e più bello dei misteri della fede. La liturgia odierna riflette fedelmente questa caratteristica. Infatti tutti i suoi testi (letture, antifone, canti, preghiere) sono pervasi da un senso di meraviglia!

Però, se c’è un pericolo che i credenti oggi corrono nei confronti dell’Eucaristia, è quello di banalizzarla. Una volta non la si riceveva così spesso e prima di riceverla si dovevano premettere digiuno e confessione. Oggi praticamente tutti si accostano per riceverla… Ciò è molto bello perché la partecipazione alla Messa comporta anche la comunione. Tutto ciò, però, comporta un rischio mortale. San Paolo a tal proposito scrive: «chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (cf 1Cor 11,27-29). Io credo che sia una grazia salutare per un cristiano passare attraverso un periodo di tempo in cui ha paura di accostarsi alla comunione, trema al pensiero di ciò che sta per accadere e non finisce di ripetere, come Giovanni Battista: «Tu vieni da me?» (cf Mt 3,14).

La predicazione della Chiesa non dovrebbe aver paura – ora che la comunione è diventata una cosa così abituale e così «facile» – di usare qualche volta il linguaggio dell’Epistola agli Ebrei e dire ai fedeli: «Voi non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola. Voi invece vi siete accostati al Dio giudice di tutti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele» (cf Eb 12,18-19.22-24). Nei primi tempi della Chiesa, al momento della comunione, risuonava un grido nell’assemblea: «Chi è santo si accosti, chi non lo è si penta!».

Ma non deve essere tanto la grandezza e la maestà di Dio la causa del nostro stupore di fronte al mistero eucaristico, quanto piuttosto la sua condiscendenza e il suo amore. L’Eucaristia è soprattutto questo, memoriale dell’amore di cui non esiste uno maggiore: dare la vita per i propri amici. Un giorno un bambino assisteva alla Messa con i suoi genitori. Come tutti i bimbi non faceva che muoversi e far rumore e il papà continuamente lo riprendeva per farlo stare buono. Giunti alla consacrazione il padre gli fa capire che adesso deve proprio stare buono. Lui si ferma e ascolta. Quando il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione il bambino scoppia a piangere e piange forte, tant’è che i genitori sono costretti a uscire dalla Chiesa. Una volta usciti i genitori gli chiedono perché piangeva in quel modo e lui, con la semplicità dei bambini, risponde: «Ma non avete sentito anche voi? Gesù stava per morire e parlava del suo sangue!». Quel bambino aveva capito più di tutti. Alle sue orecchie quelle parole: «Prendete, mangiate; prendete, bevete; questo è il mio corpo; questo è il mio sangue», non erano parole comuni. Anche noi ascoltiamo queste parole ogni volta che partecipiamo alla celebrazione Eucaristica; ma che effetto ci fanno? Riusciamo ad essere consapevoli che Cristo ha donato a noi il suo Corpo e il suo Sangue?

Cirillo di Gerusalemme dice che «noi partecipiamo, in qualche modo, al Corpo e al Sangue di Cristo. Perché sotto il segno del pane ci è donato il corpo e sotto il segno del vino ci è donato il sangue di Cristo, perché diventi un solo corpo e un solo sangue con il Cristo. Così diventiamo portatori di Cristo, perché il suo Corpo e il suo Sangue si diffondono nelle nostre membra». Infatti al sacerdote, al diacono o al ministro straordinario dell’eucaristia che ci offre il pane dicendo: «Il Corpo di Cristo», noi rispondiamo: «Amen!». E questo «Amen!» può riassumere tutta la nostra fede, tutto il nostro condividere i piani di Dio su di noi e sull’umanità. Lasciamoci anche noi stupire dalla presenza del Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, che è presente in mezzo a noi in quel piccolo pezzo di pane! Ebbene, al termine di questa solenne celebrazione Eucaristica, ci metteremo in cammino attraversando le strade della nostra città, del nostro paese: con noi c’è Gesù Eucaristia, il Risorto, che ha detto: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (cf Mt 28,20). E a Gesù Eucaristia oggi diciamo: «Buon Pastore, vero Pane, o Gesù, pietà di noi; nutrici, difendici, portaci ai beni eterni, nella terra dei viventi!».

Don Lucio D’Abbraccio