Letture: Atti 9, 26-31; Salmo 21; Prima Lettera di Giovanni 3,18-24; Giovanni 15,1-8
Un Dio agricoltore è il nostro, un Dio contadino dalle mani grosse e callose e dal volto segnato dal sole e dal freddo. Che non solo odora di pecore, le sue, quelle che strappa ai morsi dei lupi, ma che infaticabile lavora nei campi, i suoi, perché esplodano di vita. Le viti non sono piante alte e me lo immagino, questo Dio, inginocchiato e sudato a prendersi cura di me. E se il Padre è il vignaiolo, il Figlio è lui stesso vite, pianta dalle cui radici germogliamo tutti e tutte. Aria aperta, sole, vento: che bello pensare che la nostra vita è questa. Lo diceva anche papa Giovanni: “Non siamo sulla terra a custodire un museo, ma a coltivare un giardino fiorente, destinato ad un avvenire glorioso.” Cioè festoso, danzante.
Ma quel che nel brano di oggi colpisce il mio cuore è quel “rimanete in me”: mi fa tornare in mente il “resta con noi, perché si fa sera“ dei discepoli di Emmaus, quel “non te ne andare, stai ancora con me” che si dicono gli amanti. Come se anche Dio provasse nostalgia, nostalgia di me. Come se anche lui sentisse il dolore della separazione, lo strappo dello stare lontani. “Rimanete in me e io in voi, perché tra me e voi scorre la stessa linfa, siamo innestati l’uno nell’altro.” È un Dio che scorre nelle mie vene, non distante, non da cercare fuori o altrove, ma tanto intimo e vicino che posso succhiare da lui la vita.
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Don Luigi Verdi
Domenica scorsa il Vangelo ha messo in risalto il rapporto tra il credente e Gesù Buon Pastore. Oggi, invece, il Vangelo si apre con l’immagine della vigna. «Gesù disse ai suoi discepoli: “Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore”». La vite è una pianta che forma un tutt’uno con i tralci e i tralci sono fecondi unicamente in quanto uniti alla vite. Questa relazione è il segreto della vita cristiana e l’evangelista Giovanni la esprime col verbo “rimanere”, che nel brano odierno è ripetuto sette volte.
Spesso, nella Bibbia, Israele viene paragonato alla vigna feconda quando è fedele a Dio; ma, se si allontana da Lui, diventa sterile, incapace di produrre quel «vino che allieta il cuore dell’uomo», come recita il Salmo 104 (v. 15). La vera vigna di Dio, la vite vera, è Gesù, che con il suo sacrificio d’amore ci dona la salvezza, ci apre il cammino per essere parte di questa vigna. E come Cristo rimane nell’amore di Dio Padre, così i discepoli, sapientemente potati dalla parola del Maestro, se sono uniti in modo profondo a Lui, diventano tralci fecondi, che producono abbondante raccolto. Gesù, infatti, annota l’evangelista Giovanni, dice: «Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto … Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me». Scrive san Francesco di Sales: «Il ramo unito e congiunto al tronco porta frutto non per propria virtù, ma per virtù del ceppo: ora, noi siamo stati uniti dalla carità al nostro Redentore, come le membra al capo; ecco perché … le buone opere, traendo il loro valore da Lui, meritano la vita eterna» (Trattato dell’amore di Dio, XI, 6, Roma 2011, 601).
Nel giorno del nostro Battesimo la Chiesa ci innesta come tralci nel Mistero Pasquale di Gesù, nella sua Persona stessa. Da questa radice riceviamo la preziosa linfa per partecipare alla vita divina. Come discepoli, anche noi, con l’aiuto dei Pastori della Chiesa, cresciamo nella vigna del Signore vincolati dal suo amore. «Se il frutto che dobbiamo portare è l’amore, il suo presupposto è proprio questo rimanere che profondamente ha a che fare con quella fede che non lascia il Signore» (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 305). È indispensabile rimanere sempre uniti a Gesù, dipendere da Lui, perché senza di Lui non possiamo far nulla: «Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla». «Rimanere» in Cristo, dunque, garantisce l’efficacia della preghiera, come dice il beato cistercense Guerrico d’Igny: «O Signore Gesù … senza di te non possiamo fare nulla. Tu, infatti, sei il vero giardiniere, creatore, coltivatore e custode del tuo giardino, che pianti con la tua parola, irrighi con il tuo spirito, fai crescere con la tua potenza» (Sermo ad excitandam devotionem in psalmodia, SC 202, 1973, 522).
Ebbene, quando si è intimi con il Signore, come sono intimi e uniti tra loro la vite e i tralci, si è capaci di portare frutti di vita nuova, di misericordia, di giustizia e di pace, derivanti dalla Risurrezione del Signore. È quanto hanno fatto i Santi, coloro che hanno vissuto in pienezza la vita cristiana e la testimonianza della carità, perché sono stati veri tralci della vite del Signore. Ma per essere santi «non è necessario essere vescovi, sacerdoti o religiosi. […] Tutti noi, tutti, siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 14). Tutti noi siamo chiamati ad essere santi; dobbiamo essere santi con questa ricchezza che noi riceviamo dal Signore risorto. Ogni attività, sia piccola sia grande, se vissuta in unione con Gesù e con atteggiamento di amore e di servizio, è occasione per vivere in pienezza il Battesimo e la santità evangelica.
Ognuno di noi è come un tralcio, che vive solo se fa crescere ogni giorno nella preghiera, nella partecipazione ai Sacramenti, nella carità, la sua unione con il Signore. E chi ama Gesù, vera vite, produce frutti di fede per un abbondante raccolto spirituale. Ci sia di aiuto Maria, Madre di Dio, Regina dei Santi e modello di perfetta comunione con il suo Figlio divino. Ci insegni Lei a rimanere saldamente innestati in Gesù, come tralci alla vite, e a non separarci mai dal suo amore. Ogni nostra azione abbia in Lui il suo inizio e in Lui il suo compimento. Nulla, infatti, possiamo senza di Lui, perché la nostra vita è Cristo vivo, presente nella Chiesa e nel mondo.
Don Lucio D’Abbraccio
V domenica di Pasqua
Anno B
Letture: Atti 9, 26-31; Salmo 21; Prima Lettera di Giovanni 3,18-24; Giovanni 15,1-8
Un Dio agricoltore è il nostro, un Dio contadino dalle mani grosse e callose e dal volto segnato dal sole e dal freddo. Che non solo odora di pecore, le sue, quelle che strappa ai morsi dei lupi, ma che infaticabile lavora nei campi, i suoi, perché esplodano di vita. Le viti non sono piante alte e me lo immagino, questo Dio, inginocchiato e sudato a prendersi cura di me. E se il Padre è il vignaiolo, il Figlio è lui stesso vite, pianta dalle cui radici germogliamo tutti e tutte. Aria aperta, sole, vento: che bello pensare che la nostra vita è questa. Lo diceva anche papa Giovanni: “Non siamo sulla terra a custodire un museo, ma a coltivare un giardino fiorente, destinato ad un avvenire glorioso.” Cioè festoso, danzante.
Ma quel che nel brano di oggi colpisce il mio cuore è quel “rimanete in me”: mi fa tornare in mente il “resta con noi, perché si fa sera“ dei discepoli di Emmaus, quel “non te ne andare, stai ancora con me” che si dicono gli amanti. Come se anche Dio provasse nostalgia, nostalgia di me. Come se anche lui sentisse il dolore della separazione, lo strappo dello stare lontani. “Rimanete in me e io in voi, perché tra me e voi scorre la stessa linfa, siamo innestati l’uno nell’altro.” È un Dio che scorre nelle mie vene, non distante, non da cercare fuori o altrove, ma tanto intimo e vicino che posso succhiare da lui la vita.
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Don Luigi Verdi
Domenica scorsa il Vangelo ha messo in risalto il rapporto tra il credente e Gesù Buon Pastore. Oggi, invece, il Vangelo si apre con l’immagine della vigna. «Gesù disse ai suoi discepoli: “Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore”». La vite è una pianta che forma un tutt’uno con i tralci e i tralci sono fecondi unicamente in quanto uniti alla vite. Questa relazione è il segreto della vita cristiana e l’evangelista Giovanni la esprime col verbo “rimanere”, che nel brano odierno è ripetuto sette volte.
Spesso, nella Bibbia, Israele viene paragonato alla vigna feconda quando è fedele a Dio; ma, se si allontana da Lui, diventa sterile, incapace di produrre quel «vino che allieta il cuore dell’uomo», come recita il Salmo 104 (v. 15). La vera vigna di Dio, la vite vera, è Gesù, che con il suo sacrificio d’amore ci dona la salvezza, ci apre il cammino per essere parte di questa vigna. E come Cristo rimane nell’amore di Dio Padre, così i discepoli, sapientemente potati dalla parola del Maestro, se sono uniti in modo profondo a Lui, diventano tralci fecondi, che producono abbondante raccolto. Gesù, infatti, annota l’evangelista Giovanni, dice: «Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto … Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me». Scrive san Francesco di Sales: «Il ramo unito e congiunto al tronco porta frutto non per propria virtù, ma per virtù del ceppo: ora, noi siamo stati uniti dalla carità al nostro Redentore, come le membra al capo; ecco perché … le buone opere, traendo il loro valore da Lui, meritano la vita eterna» (Trattato dell’amore di Dio, XI, 6, Roma 2011, 601).
Nel giorno del nostro Battesimo la Chiesa ci innesta come tralci nel Mistero Pasquale di Gesù, nella sua Persona stessa. Da questa radice riceviamo la preziosa linfa per partecipare alla vita divina. Come discepoli, anche noi, con l’aiuto dei Pastori della Chiesa, cresciamo nella vigna del Signore vincolati dal suo amore. «Se il frutto che dobbiamo portare è l’amore, il suo presupposto è proprio questo rimanere che profondamente ha a che fare con quella fede che non lascia il Signore» (Gesù di Nazaret, Milano 2007, 305). È indispensabile rimanere sempre uniti a Gesù, dipendere da Lui, perché senza di Lui non possiamo far nulla: «Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla». «Rimanere» in Cristo, dunque, garantisce l’efficacia della preghiera, come dice il beato cistercense Guerrico d’Igny: «O Signore Gesù … senza di te non possiamo fare nulla. Tu, infatti, sei il vero giardiniere, creatore, coltivatore e custode del tuo giardino, che pianti con la tua parola, irrighi con il tuo spirito, fai crescere con la tua potenza» (Sermo ad excitandam devotionem in psalmodia, SC 202, 1973, 522).
Ebbene, quando si è intimi con il Signore, come sono intimi e uniti tra loro la vite e i tralci, si è capaci di portare frutti di vita nuova, di misericordia, di giustizia e di pace, derivanti dalla Risurrezione del Signore. È quanto hanno fatto i Santi, coloro che hanno vissuto in pienezza la vita cristiana e la testimonianza della carità, perché sono stati veri tralci della vite del Signore. Ma per essere santi «non è necessario essere vescovi, sacerdoti o religiosi. […] Tutti noi, tutti, siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 14). Tutti noi siamo chiamati ad essere santi; dobbiamo essere santi con questa ricchezza che noi riceviamo dal Signore risorto. Ogni attività, sia piccola sia grande, se vissuta in unione con Gesù e con atteggiamento di amore e di servizio, è occasione per vivere in pienezza il Battesimo e la santità evangelica.
Ognuno di noi è come un tralcio, che vive solo se fa crescere ogni giorno nella preghiera, nella partecipazione ai Sacramenti, nella carità, la sua unione con il Signore. E chi ama Gesù, vera vite, produce frutti di fede per un abbondante raccolto spirituale. Ci sia di aiuto Maria, Madre di Dio, Regina dei Santi e modello di perfetta comunione con il suo Figlio divino. Ci insegni Lei a rimanere saldamente innestati in Gesù, come tralci alla vite, e a non separarci mai dal suo amore. Ogni nostra azione abbia in Lui il suo inizio e in Lui il suo compimento. Nulla, infatti, possiamo senza di Lui, perché la nostra vita è Cristo vivo, presente nella Chiesa e nel mondo.
Don Lucio D’Abbraccio