Letture: Geremia 31,31-34; Salmo 50; Lettera Ebrei 5,7-9; Giovanni 12,20-33
A volte penso che se avessi visto Gesù nel suo passaggio qui sulla terra, se fossi stato tra quelli che hanno ascoltato la sua voce e respirato il suo fiato, sarebbe per me più facile credere e forse avrei meno dubbi: vedere è toccare con gli occhi, vedere è svelamento di ombre. Tutto chiaro, tutto accessibile. Comprendo quindi profondamente la domanda di quegli stranieri che chiedono di “vedere Gesù”, avrei fatto lo stesso infatti, faccio lo stesso. E mi aspetterei, come forse quei greci, uno sfavillio di luce, un trionfale manifestarsi di potenza e gloria: segnali di forza insomma, di invincibilità. E invece… Gesù risponde alla mia richiesta rivolgendo il mio sguardo alla piccolezza nascosta: “se il chicco di grano…”.
Mi aspetto il dirompere della maestosità e Lui mi porta nel silenzio della terra umida, dove un chicco di grano sta partorendo la sua vita. Attraverso la morte. Non ci abitueremo mai ai paradossi del nostro Dio: perdere per trovare, dare per ricevere, morire per vivere; è una logica che ci afferra e ci scuote, ci trascina in voli impensati, su traiettorie imprevedibili. “Tu non sai come spunta una gemma a primavera e come un fiore parli a un altro fiore e come un sospiro sia udito dalle stelle, tu non sai…” (David M. Turoldo). Così parla al mio orecchio questo Gesù che mi invita a leggere i messaggi segreti della vita, quei miracoli umili e silenziosi, quella lezione per cui per imparare a vivere bisogna saper morire.
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Don Luigi Verdi
«Vogliamo vedere Gesù!» (Gv 12,21). La domanda rivolta a Filippo da alcuni greci simpatizzanti dell’ebraismo, venuti a Gerusalemme per la Pasqua, può realmente esprimere il desiderio profondo con cui i testi della Scrittura (e in particolare i brani del quarto evangelo) hanno ritmato il nostro percorso quaresimale. Siamo stati guidati a una progressiva scoperta del volto di Gesù e man mano il nostro cammino di fede è stato purificato e reso autentico attraverso la comprensione profonda del segno per eccellenza: la Croce. Il vedere esprime un’attesa che trova compimento in un incontro faccia a faccia da cui scaturisce, attraverso un dialogo, una conoscenza progressiva dell’altro. Ma per l’evangelista Giovanni, vedere è anche il verbo che indica il cammino della fede: un andare oltre le apparenze per raggiungere il mistero che esse nascondono; vedere Gesù vuol dire conoscerlo e credere in lui.
Allora diventa significativo porre questa domanda proprio alla fine del cammino quaresimale. Si sente in questa richiesta tutto il desiderio contenuto nell’annuncio della nuova alleanza del profeta Geremia: «tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande… poiché io perdonerò le loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato» (Ger 31,34). Riconoscere il Dio dell’alleanza, quel Dio che perdona e dimentica il peccato, nel volto di Gesù: questa è la meta del cammino quaresimale. Ma ancora una volta ritorna l’interrogativo: quale volto di Gesù? Potremmo rispondere con le parole della lettera agli Ebrei: il volto di colui che «pur essendo Figlio imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,8-9). Alla contemplazione di questo volto ci apre proprio la risposta data da Gesù a quei greci e riportata in Gv 12,23-33.
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V domenica di Quaresima
Anno B
Letture: Geremia 31,31-34; Salmo 50; Lettera Ebrei 5,7-9; Giovanni 12,20-33
A volte penso che se avessi visto Gesù nel suo passaggio qui sulla terra, se fossi stato tra quelli che hanno ascoltato la sua voce e respirato il suo fiato, sarebbe per me più facile credere e forse avrei meno dubbi: vedere è toccare con gli occhi, vedere è svelamento di ombre. Tutto chiaro, tutto accessibile. Comprendo quindi profondamente la domanda di quegli stranieri che chiedono di “vedere Gesù”, avrei fatto lo stesso infatti, faccio lo stesso. E mi aspetterei, come forse quei greci, uno sfavillio di luce, un trionfale manifestarsi di potenza e gloria: segnali di forza insomma, di invincibilità. E invece… Gesù risponde alla mia richiesta rivolgendo il mio sguardo alla piccolezza nascosta: “se il chicco di grano…”.
Mi aspetto il dirompere della maestosità e Lui mi porta nel silenzio della terra umida, dove un chicco di grano sta partorendo la sua vita. Attraverso la morte. Non ci abitueremo mai ai paradossi del nostro Dio: perdere per trovare, dare per ricevere, morire per vivere; è una logica che ci afferra e ci scuote, ci trascina in voli impensati, su traiettorie imprevedibili. “Tu non sai come spunta una gemma a primavera e come un fiore parli a un altro fiore e come un sospiro sia udito dalle stelle, tu non sai…” (David M. Turoldo). Così parla al mio orecchio questo Gesù che mi invita a leggere i messaggi segreti della vita, quei miracoli umili e silenziosi, quella lezione per cui per imparare a vivere bisogna saper morire.
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Don Luigi Verdi
«Vogliamo vedere Gesù!» (Gv 12,21). La domanda rivolta a Filippo da alcuni greci simpatizzanti dell’ebraismo, venuti a Gerusalemme per la Pasqua, può realmente esprimere il desiderio profondo con cui i testi della Scrittura (e in particolare i brani del quarto evangelo) hanno ritmato il nostro percorso quaresimale. Siamo stati guidati a una progressiva scoperta del volto di Gesù e man mano il nostro cammino di fede è stato purificato e reso autentico attraverso la comprensione profonda del segno per eccellenza: la Croce. Il vedere esprime un’attesa che trova compimento in un incontro faccia a faccia da cui scaturisce, attraverso un dialogo, una conoscenza progressiva dell’altro. Ma per l’evangelista Giovanni, vedere è anche il verbo che indica il cammino della fede: un andare oltre le apparenze per raggiungere il mistero che esse nascondono; vedere Gesù vuol dire conoscerlo e credere in lui.
Allora diventa significativo porre questa domanda proprio alla fine del cammino quaresimale. Si sente in questa richiesta tutto il desiderio contenuto nell’annuncio della nuova alleanza del profeta Geremia: «tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande… poiché io perdonerò le loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato» (Ger 31,34). Riconoscere il Dio dell’alleanza, quel Dio che perdona e dimentica il peccato, nel volto di Gesù: questa è la meta del cammino quaresimale. Ma ancora una volta ritorna l’interrogativo: quale volto di Gesù? Potremmo rispondere con le parole della lettera agli Ebrei: il volto di colui che «pur essendo Figlio imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,8-9). Alla contemplazione di questo volto ci apre proprio la risposta data da Gesù a quei greci e riportata in Gv 12,23-33.
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