XI domenica

Tempo ordinario, Anno B

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce […]»

Due piccole parabole (il grano che spunta da solo, il seme di senape): storie di terra che Gesù fa diventare storie di Dio. Con parole che sanno di casa, di orto, di campo, ci porta alla scuola dei semi e di madre terra, cancella la distanza tra Dio e la vita. Siamo convocati davanti al mistero del germoglio e delle cose che nascono, chiamati «a decifrare la nostra sacralità, esplorando quella del mondo» (P. Ricoeur). Nel Vangelo, la puntina verde di un germoglio di grano e un minuscolo semino diventano personaggi di un annuncio, una rivelazione del divino (Laudato si’), una sillaba del messaggio di Dio. Chi ha occhi puri e meravigliabili, come quelli di un bambino, può vedere il divino che traspare dal fondo di ogni essere (T. De Chardin). La terra e il Regno sono un appello allo stupore, a un sentimento lungo che diventa atteggiamento di vita.

È commovente e affascinante leggere il mondo con lo sguardo di Gesù, a partire non da un cedro gigante sulla cima del monte (come Ezechiele nella prima lettura) ma dall’orto di casa. Leggero e liberatorio leggere il Regno dei cieli dal basso, da dove il germoglio che spunta guarda il mondo, raso terra, anzi: «raso le margherite» come mi correggeva un bambino, o i gigli del campo. Il terreno produce da sé, che tu dorma o vegli: le cose più importanti non vanno cercate, vanno attese (S. Weil), non dipendono da noi, non le devi forzare. Perché Dio è all’opera, e tutto il mondo è un grembo, un fiume di vita che scorre verso la pienezza. Il granellino di senape è incamminato verso la grande pianta futura che non ha altro scopo che quello di essere utile ad altri viventi, fosse anche solo agli uccelli del cielo. È nella natura della natura di essere dono: accogliere, offrire riparo, frescura, cibo, ristoro. È nella natura di Dio e anche dell’uomo. Dio agisce non per sottrazione, mai, ma sempre per addizione, aggiunta, intensificazione, incremento di vita: c’è come una dinamica di crescita insediata al centro della vita.

La incrollabile fiducia del Creatore nei piccoli segni di vita ci chiama a prendere sul serio l’economia della piccolezza ci porta a guardare il mondo, e le nostre ferite, in altro modo. A cercare i re di domani tra gli scartati e i poveri di oggi, a prendere molto sul serio i giovani e i bambini, ad aver cura dell’anello debole della catena sociale, a trovare meriti là dove l’economia della grandezza sa vedere solo demeriti. Splendida visione di Gesù sul mondo, sulla persona, sulla terra: il mondo è un immenso parto, dove tutto è in cammino, con il suo ritmo misterioso, verso la pienezza del Regno. Che verrà con il fiorire della vita in tutte le sue forme. Verso la fioritura della vita, Il Regno è presentato come un contrasto, non uno scontro, bensì un contrasto di crescita, di vita. Dio come un contrasto vitale. Una dinamica che si insedia al centro della vita. verso il paradigma della pienezza e fecondità. Il Vangelo sogna mietiture fiduciose, frutto pronto, pane sulla tavola. Positività. Gioia del raccolto.

Letture: Ezechiele 17,22-24; Salmo 91; 2 Corinzi 5,6-10; Marco 4,26-34

Ermes Ronchi
Avvenire

Paolo sollecita i cristiani di Corinto alla fiducia. Non si tratta di un ingenuo ottimismo, ma della consapevolezza di camminare verso un futuro che illumina il presente, anche quando può risultare faticoso o insensato. Se talora possiamo percepire l’amarezza dell’esilio – quando ad esempio sperimentiamo lo smarrimento del vivere – rimaniamo certi che la meta del nostro pellegrinaggio è il Signore, nel quale troveremo finalmente riposo, come gli uccelli dimorano all’ombra di un albero o tra i suoi rami. Questo futuro atteso non ci fa evadere dal tempo in cui viviamo e dalle sue responsabilità; al contrario, ci consente di rimanervi con l’impegno della speranza, tipico di chi sa di dover camminare ancora nella fede, non nella visione. Il Signore, continua Paolo, darà a ciascuno la ricompensa delle opere compiute. Non si tratta tanto di un premio estrinseco, quanto piuttosto della promessa di portare a compimento quello che le nostre mani così spesso sanno soltanto incominciare, senza riuscire a condurre a pienezza.

Il Signore compie gli impegni autentici della nostra vita, li fa maturare trasformando un piccolo seme in un grande albero, mentre ciò che non è secondo il bene svanirà come fumo. Paolo ci invita così a condividere la fiducia stessa che ha animato la vita e l’azione di Gesù, il quale ha vissuto tra noi senza la pretesa di cogliere subito frutti, ma con la pazienza del seminatore, che continua a gettare il seme anche quando sembra improduttivo o troppo debole, certo che esso ha in sé la forza di germogliare e crescere, fino a divenire la più grande tra le piante dell’orto. Giovanni il Battista presenta (non in Marco ma in Matteo) Gesù come colui che viene a raccogliere, a mietere, ma quando Gesù entra in scena si presenta non come uno che pretende di raccogliere subito i frutti, ma come uno che continua a seminare, e lo fa pur di fronte all’insuccesso iniziale.

Con questa immagine del seme Gesù ci parla del regno dei cieli. Il linguaggio delle parabole è sempre sorprendente. Il tema del ‘regno’, infatti, evoca immediatamente suggestioni di potenza, organizzazione, imponenza… Parlando del regno di Dio Gesù ricorre a un’immagine completamente differente: quella del più piccolo di tutti i semi, che non ha nessuna evidenza o apparenza, tanto da marcire nascosto nel terreno; non esige dispiegamento di forze e di impegni, tanto che il contadino può persino dormire, senza comprometterne l’efficacia. Due atteggiamenti colorano così la vita del credente. La capacità di perseverare nella speranza, anche quando nulla sembra accadere, perché tutto avviene nel nascondimento del terreno in cui il seme è sepolto. È il tempo in cui sperimentiamo persino il silenzio di Dio, la sua lontananza. Il Padre sembra non agire; è invece misteriosamente all’opera, nel segreto della storia, e noi, al pari del contadino della parabola, non sappiamo come. Tuttavia, il fatto di non conoscere il come non significa che Dio rimanga inattivo o assente; piuttosto, dipende dal fatto che il suo modo di agire è spesso così diverso dalle nostre attese o dalle nostre logiche.

Il secondo atteggiamento ci rende attenti al quotidiano. È il più piccolo a divenire il più grande. In tal modo la parabola, più che al futuro, ci invita a vigilare sul presente. Lo sguardo è chiamato a conversione: in ciò che può apparire piccolo o insignificante, debole o trascurabile, si cela il mistero di una presenza, quella di Dio e del suo Regno. Anche nel solo bicchiere d’acqua fresca offerto a chi ha sete. In questo modo le parabole ci parlano del regno di Dio. Il Regno è presente nella nostra storia, ma come un seme nascosto nel terreno, nel segreto della terra. Quando sembra assente, è invece misteriosamente presente, agisce e produce il suo frutto. Inoltre, il Regno di Dio è una realtà che si dona e che l’uomo deve accogliere prontamente.

Non è il nostro impegno a costruire il Regno, ma il Regno ci viene offerto come dono gratuito del Padre, come sua iniziativa, sua opera. Noi dobbiamo essere pronti ad accoglierlo, come il contadino della parabola, che appena il frutto si concede, subito manda la falce per mieterlo. Occorre cioè la prontezza di una risposta, l’immediatezza d un’accoglienza. Affinché ci sia davvero un dono, è necessaria non solo la generosità di chi lo offre, ma anche la fiducia di chi è pronto ad accoglierlo. Aggiungerei: anche l’umiltà di accoglierlo; in altri termini, l’umiltà di riconoscerlo non come prodotto del nostro impegno, ma come frutto dell’elargizione gratuita del Padre. Infine, il Regno di Dio si fa presente secondo una logica di piccolezza, povertà, umiltà.

Come il più piccolo dei semi. Questo significa che va cercato e trovato nelle realtà ordinarie della vita, che possono sembrarci insignificanti e trascurabili. Eppure in esse possiamo scoprire una forza prodigiosa, la potenza stessa di Dio, capace di trasformare la nostra storia, e soprattutto il cuore con cui noi abitiamo la nostra vita e le nostre vicende. Questa consapevolezza deve condurci allora a guardare con occhi nuovi alla storia e al nostro cammino personale, perché Dio vi ha già seminato dei semi che poco a poco diventeranno grandi alberi, se abbiamo la pazienza di attendere la loro crescita. Comprendiamo di conseguenza che il presente che stiamo vivendo è un tempo decisivo: anche se ora può apparirci piccolo e insignificante, diventerà un grande albero.

Monastero di Dumenza