XIII domenica

Tempo ordinario, Anno B

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. (…)

C’è una casa, a Cafarnao, dove la morte ha messo il nido; una casa importante, quella del capo della sinagoga. Casa potente, eppure incapace di garantire la vita di una bambina. Giairo ne è uscito, ha camminato in cerca di Gesù, lo ha trovato, si è gettato ai suoi piedi: La mia figlioletta sta morendo, vieni! Ha dodici anni, età in cui è d’obbligo fiorire, non soccombere! Gesù ascolta il grido del padre, interrompe quello che stava facendo, cambia i suoi programmi, e si incamminano insieme, il libero Maestro delle strade e l’uomo dell’istituzione. Il dolore e l’amore hanno cominciato a battere il ritmo di una musica assoluta, e Gesù vi entra: sono le nostre radici, e lui ci raggiunge, con passo di madre, proprio attraverso le radici. Dalla casa vennero a dire: tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il maestro? La tempesta definitiva è arrivata. Caduta l’ultima speranza.

E allora Gesù si gira, si avvicina, si fa argine al dolore: non temere, soltanto abbi fede. Giunti alla casa, Gesù prende il padre e la madre con sé, ricompone il cerchio vitale degli affetti, il cerchio dell’amore che fa vivere. «Amare è dire: tu non morirai» (Gabriel Marcel). Prende con sé anche i suoi tre discepoli preferiti, li mette alla scuola dell’esistenza. Non spiega loro perché si muore a dodici anni, perché esiste il dolore, ma li porta con sé nel corpo a corpo con l’ultima nemica. «Prese la mano della bambina». Gesù una mano che ti prende per mano. Bellissima immagine: Dio e una bambina, mano nella mano. Non era lecito per la legge toccare un morto, si diventava impuri, ma Gesù profuma di libertà. E ci insegna che bisogna toccare la disperazione delle persone per poterle rialzare.

Una storia di mani: in tutte le case, accanto al letto del dolore o a quello della nascita, il Signore è sempre una mano tesa, come lo è per Pietro quando sta affondando nella tempesta. Non un dito puntato, ma una mano forte che ti afferra. Talità kum. Bambina alzati. Lui può aiutarla, sostenerla, ma è lei, è solo lei che può risollevarsi: alzati. E subito la bambina si alzò e camminava, restituita all’abbraccio dei suoi, a una vita verticale e incamminata. «Ordinò ai genitori di darle da mangiare». Dice a quelli che la amano: custodite questa vita con le vostre vite, fatela crescere, incalzatela a diventare il meglio di ciò che può diventare. Nutrite di sogni, di carezze e di fiducia il suo rinato cuore bambino. E allora Dio ripete su ogni creatura, su ogni fiore, su ogni uomo, su ogni donna, su ogni bambino e su ogni bambina, la benedizione di quelle antiche parole: “Talità kum. Giovane vita, dico a te: alzati, sorgi, rivivi, risplendi. Torna agli abbracci.

Letture: Sapienza 1, 13-15; 2,23-24; Salmo 29; seconda Lettera ai Corinzi 8, 7.9.13-15; Marco 5, 21-43

Ermes Ronchi
Avvenire

 

Nel brano evangelico Marco ci racconta della risurrezione della figlia di Giairo. Questo è uno dei racconti più toccanti del Vangelo. Esso è costituito da scene che si svolgono in rapida successione, in luoghi diversi. C’è anzitutto la scena sulle rive del lago. Gesù, abbiamo ascoltato, è attorniato da molta folla, quando un uomo, visibilmente angosciato, si fa largo, si getta ai piedi di Gesù e gli rivolge una supplica insistente: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Marco annota che Gesù «andò con lui» e «molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno» perché sperava di assistere ad un miracolo. La seconda scena è lungo la strada. Una donna che soffriva di emorragia si avvicina di nascosto a Gesù per toccargli il mantello, e si ritrova guarita. Mentre Gesù stava parlando con lei, dalla casa di Giairo vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Gesù che ha udito tutto, dice al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». Anche alla donna appena guarita dall’emorragia aveva detto: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».

Ed eccoci alla scena cruciale, nella casa di Giairo. Grande trambusto, gente che piange e urla, come è naturale di fronte al decesso appena avvenuto di una persona a noi cara. L’evangelista scrive che Gesù, «Entrato, disse loro: “Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme”». Quindi, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. «Prese la mano della bambina e le disse: “Talità kum”, che significa: “Fanciulla, io ti dico: àlzati!”. E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare».

Qui si manifesta il carattere «sublime» del racconto: cose straordinarie, sovrumane, raccontate con parole semplicissime, in modo che a parlare siano i fatti più che le parole. Quell’invito di dare subito qualcosa da mangiare alla bambina aggiunge un tocco di commovente umanità al gesto di Cristo. In teologia si dice che «i sacramenti sono per gli uomini»; lo stesso dobbiamo dire dei miracoli di Cristo: essi sono per gli uomini, non per se stesso, non per dimostrare i propri poteri. Questo è uno dei primi criteri per distinguere quando si tratta di veri miracoli che vengono da Dio e quando si tratta di magia o di esibizionismo. San Pio da Pietrelcina non faceva mai miracoli per se stesso, o per dimostrare che era un santo; li faceva, o meglio li otteneva da Dio, solo per alleviare la sofferenza della gente.

Mettiamoci nei panni di un papà e di una mamma che hanno avuto una figlioletta o un figlioletto «agli estremi», e ascoltano questo racconto evangelico. Cosa devono pensare? Che il Vangelo è dunque «buona notizia» per alcuni fortunati e non per tutti? Ebbene, l’unica risposta che possiamo dare e che può gettare un po’ di luce nel buio del dolore, è la parola «fede». Quando Gesù raccomanda alle persone che si rivolgono a lui la fede, non intende solo la fede che egli può operare il miracolo richiesto, ma la fede nella sua persona. Il Vangelo distingue nettamente due tipi di fede: credere qualcosa e credere «in» qualcuno. Quando si tratta di Dio, la seconda è molto più importante della prima.

Il dialogo di Gesù con la sorella di Lazzaro si presta bene a illustrare quanto sto dicendo. Marta dice a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà» (cf Gv 11,21-22). Tanti genitori o congiunti di persone malate, pregando, dicono a Gesù la stessa cosa: «Signore, se fossi stato qui, o se noi fossimo vissuti in Palestina, ai tuoi tempi, anche noi, come Giairo, saremmo corsi da te…Ma anche adesso sappiamo che, se volessi, potresti fare un miracolo…!».

Gesù risponde a Marta: «Tuo fratello risorgerà». Marta però risponde: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno» (cf Gv 11,23-24). Marta, dunque, vorrebbe che la risurrezione fosse adesso! Ed ecco la parola definitiva di Cristo a Marta e a tutti noi: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?» (cf Gv 11,25-26). Ciò significa che il miracolo più grande è credere «in» lui perché lui solo è la nostra unica speranza. L’esperienza di molte persone dimostra che anche quando il miracolo atteso non avviene, qualcosa può succedere, grazie alla fede, che dà un senso nuovo alla vita.

A tal proposito voglio concludere con un racconto. A Lourdes, vicino alla grotta delle apparizioni, un sacerdote incontra un ragazzo sulla sedia a rotelle e gli chiede: «Come ti chiami?». «Elio», risponde il ragazzo. «Da dove vieni?», continua il sacerdote. «Da Roma», replica il ragazzo. «Che grazia hai chiesto alla Madonna?», prosegue il sacerdote. Il ragazzo si guardò intorno per assicurarsi che nessuno lo sentisse e poi lentamente disse: «Non ho chiesto la guarigione, ma altre cose, più importanti…». Il sacerdote, incuriosito, domandò: «Quali?». Il ragazzo con molta semplicità disse: «Ho chiesto alla Madonna tre cose: di guarire coloro che soffrono più di me, di rendere santi i preti e di convertire i peccatori…». Quel ragazzo non fu guarito, ma la sua pace interiore era già una grande grazia, addirittura un miracolo…!

Ebbene, l’invito che Gesù oggi fa a ciascuno di noi è quello di avere sempre fede in lui. Non scoraggiamoci, dunque, quando cadiamo, quando cediamo alla tentazione, perché anche a noi Gesù dice: «Talità kum». Lasciamoci prendere per mano da Gesù e alziamoci, perché lui solo è la nostra salvezza. Mettiamoci alla sequela di Gesù e abbandoniamo il vecchio, egoistico modo di vivere spalancando la porta del nostro cuore a Cristo Signore nostro. Amen.

Don Lucio D’Abbraccio