Letture: Isaia 53,10-11; Salmo 32; Ebrei 4,14-16; Marco 10,35-45
Chissà come si immaginavano il regno del Maestro quei due fratelli, chissà quanto tempo avranno passato a fantasticare sulla bellezza di quei troni, figurandosi bardati di mantelli e corone, con in mano un qualche scettro simbolo di potere. Quanto si saranno gasati nell’immaginarsi così importanti, uno a destra e l’altro a sinistra, a giudicare, a far paura, a rimproverare e punire. Ma cosa avevano capito fino ad allora? Ma cosa abbiamo capito noi che ancora oggi dopo duemila anni di Vangelo sgomitiamo per un posto in evidenza, per un pugno di potere da esercitare in famiglia, in politica, nelle chiese, nelle associazioni?
Eppure poco prima Gesù lo aveva già detto; abbracciando un bambino aveva dimostrato, come un teorema, quanto la misura di Dio è la piccolezza, la fragilità, la povertà, il nulla pretendere: l’amore disarmato. Che fatica accettare un Dio così rivoluzionario che sovverte gli schemi, che ribalta le certezze; che fatica anche solo pensare a un Dio che non vuole comandare e spaventare, dominare e soggiogare, ma chino su di noi, a farsi nido entro cui scaldarci, riparo dove riposare, braccia tra le quali addormentarsi.
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Don Luigi Verdi
Gesù è in cammino con i discepoli: il viaggio copre l’intera seconda sezione del Vangelo di Marco e tocca, da Betsaida (Marco 8,22) a Gerico (Marco 10,46), tutte le principali aree dell’Israele antico, insieme a territori tradizionalmente pagani. Gesù si manifesta come Figlio di Dio, incontra ogni tipologia di persona e di credente, la folla, i farisei, i poveri e i ricchi, compie miracoli senza fare distinzione, offre insegnamenti in pubblico e in privato, per tre volte preannuncia ai suoi l’imminente mistero della Pasqua, la sua gloriosa Passione, Morte e Risurrezione.
Tutti noi percorriamo, dal principio della nostra vita terrena, la stessa strada del Maestro, che è «la via per salire a Gerusalemme» (Marco 10,36), meta ideale, immagine del cielo (cfr. Apocalisse 21): Gesù lo sa, vive la sua missione, annuncia il Regno, non tace le sofferenze contingenti e ha la certezza della gioia e della gloria eterna, che tutti attende; e noi? Abbiamo coscienza della nostra chiamata? “Viviamo senza peccato e senza paura”, come ci invita a fare la liturgia, nella quotidiana serenità, liberi dall’orgoglio e dalle invidie che distruggono l’unità? O chiediamo a Gesù quello che non è essenziale, ma che tale appare ai nostri occhi, ubriacati di mondanità?
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Laura Paladino
XXIX domenica
Tempo ordinario, Anno B
Letture: Isaia 53,10-11; Salmo 32; Ebrei 4,14-16; Marco 10,35-45
Chissà come si immaginavano il regno del Maestro quei due fratelli, chissà quanto tempo avranno passato a fantasticare sulla bellezza di quei troni, figurandosi bardati di mantelli e corone, con in mano un qualche scettro simbolo di potere. Quanto si saranno gasati nell’immaginarsi così importanti, uno a destra e l’altro a sinistra, a giudicare, a far paura, a rimproverare e punire. Ma cosa avevano capito fino ad allora? Ma cosa abbiamo capito noi che ancora oggi dopo duemila anni di Vangelo sgomitiamo per un posto in evidenza, per un pugno di potere da esercitare in famiglia, in politica, nelle chiese, nelle associazioni?
Eppure poco prima Gesù lo aveva già detto; abbracciando un bambino aveva dimostrato, come un teorema, quanto la misura di Dio è la piccolezza, la fragilità, la povertà, il nulla pretendere: l’amore disarmato. Che fatica accettare un Dio così rivoluzionario che sovverte gli schemi, che ribalta le certezze; che fatica anche solo pensare a un Dio che non vuole comandare e spaventare, dominare e soggiogare, ma chino su di noi, a farsi nido entro cui scaldarci, riparo dove riposare, braccia tra le quali addormentarsi.
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Don Luigi Verdi
Gesù è in cammino con i discepoli: il viaggio copre l’intera seconda sezione del Vangelo di Marco e tocca, da Betsaida (Marco 8,22) a Gerico (Marco 10,46), tutte le principali aree dell’Israele antico, insieme a territori tradizionalmente pagani. Gesù si manifesta come Figlio di Dio, incontra ogni tipologia di persona e di credente, la folla, i farisei, i poveri e i ricchi, compie miracoli senza fare distinzione, offre insegnamenti in pubblico e in privato, per tre volte preannuncia ai suoi l’imminente mistero della Pasqua, la sua gloriosa Passione, Morte e Risurrezione.
Tutti noi percorriamo, dal principio della nostra vita terrena, la stessa strada del Maestro, che è «la via per salire a Gerusalemme» (Marco 10,36), meta ideale, immagine del cielo (cfr. Apocalisse 21): Gesù lo sa, vive la sua missione, annuncia il Regno, non tace le sofferenze contingenti e ha la certezza della gioia e della gloria eterna, che tutti attende; e noi? Abbiamo coscienza della nostra chiamata? “Viviamo senza peccato e senza paura”, come ci invita a fare la liturgia, nella quotidiana serenità, liberi dall’orgoglio e dalle invidie che distruggono l’unità? O chiediamo a Gesù quello che non è essenziale, ma che tale appare ai nostri occhi, ubriacati di mondanità?
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Laura Paladino