Letture: Sapienza 2,12.17-20; Salmo 53; Giacomo 3,16-4,3; Marco 9,30-37
Meglio tacere, meglio far finta di non aver ascoltato e rischiare di passare per sordi piuttosto che sentirsi chiamare Satana, come era successo a Pietro. Le parole di Gesù sono dure, quasi le stesse di quelle dette la settimana scorsa: la via che prospetta il Maestro non è quella sognata, splendente e vittoriosa, ma una via aspra, dolorosa, che prevede perfino la morte: no, non è proprio quella prevista. Meglio concentrarsi su altro, meglio pensare a chi fra loro può ritenersi il più bravo, il più importante, facendo paragoni e soppesando qualità e difetti gli uni degli altri.
Lui parla di un Dio che si consegna nelle nostre mani, tutto per amore, solo per amore e loro, come noi, si accaniscono a circoscrivere insignificanti spazi di potere. Lui indica fin dove si può arrivare quando si ama da Dio e loro, come noi, a creare sbarramenti e confini, chiusi nella piccolezza delle loro ambizioni. Vaglielo a far capire che l’amore è forte, ma che chi ama è debolissimo. Che pazienza, che infinita pazienza deve avere con quelle teste dure il Maestro, pronto a ricominciare ogni volta, a spiegare meglio, a cercare di far entrare in quei cuori un frammento del cuore di Dio.
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Don Luigi Verdi
Tutto il vangelo in un abbraccio è rivelazione, è altissima teologia sulla verità di Dio. Il vangelo introduce tre nomi di Gesù totalmente sbagliati e impossibili: ultimo, servo, bambino. E i dodici non capiscono, proprio come noi. Gesù sta dicendo loro che tra poco sarà assassinato e quelli parlano d’altro, parlano di carriere: chi è più grande tra noi? Il rabbi li stravolge con quel limpidissimo pensiero: chi vuol essere il primo sia l’ultimo e il servo di tutti. Di cosa stavate parlando? Di chi è il più grande.
Questione infinita, che inseguiamo da millenni. Questa fame di potere, questa furia di comandare è da sempre annuncio di distruzione. Gesù si colloca a una distanza abissale da tutto questo: se uno vuol essere il primo sia il servo. Ma non basta: Servo di tutti, senza limiti. E non basta ancora: prese un bambino, lo pose in mezzo e lo abbracciò. Un bambino! È il modo magistrale di Gesù, che s’inventa qualcosa di inedito come un abbraccio all’ultimo della fila, grande schiaffo in faccia ad ogni potere.
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Fra Ermes Ronchi
XXV domenica
Tempo ordinario, Anno B
Letture: Sapienza 2,12.17-20; Salmo 53; Giacomo 3,16-4,3; Marco 9,30-37
Meglio tacere, meglio far finta di non aver ascoltato e rischiare di passare per sordi piuttosto che sentirsi chiamare Satana, come era successo a Pietro. Le parole di Gesù sono dure, quasi le stesse di quelle dette la settimana scorsa: la via che prospetta il Maestro non è quella sognata, splendente e vittoriosa, ma una via aspra, dolorosa, che prevede perfino la morte: no, non è proprio quella prevista. Meglio concentrarsi su altro, meglio pensare a chi fra loro può ritenersi il più bravo, il più importante, facendo paragoni e soppesando qualità e difetti gli uni degli altri.
Lui parla di un Dio che si consegna nelle nostre mani, tutto per amore, solo per amore e loro, come noi, si accaniscono a circoscrivere insignificanti spazi di potere. Lui indica fin dove si può arrivare quando si ama da Dio e loro, come noi, a creare sbarramenti e confini, chiusi nella piccolezza delle loro ambizioni. Vaglielo a far capire che l’amore è forte, ma che chi ama è debolissimo. Che pazienza, che infinita pazienza deve avere con quelle teste dure il Maestro, pronto a ricominciare ogni volta, a spiegare meglio, a cercare di far entrare in quei cuori un frammento del cuore di Dio.
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Don Luigi Verdi
Tutto il vangelo in un abbraccio è rivelazione, è altissima teologia sulla verità di Dio. Il vangelo introduce tre nomi di Gesù totalmente sbagliati e impossibili: ultimo, servo, bambino. E i dodici non capiscono, proprio come noi. Gesù sta dicendo loro che tra poco sarà assassinato e quelli parlano d’altro, parlano di carriere: chi è più grande tra noi? Il rabbi li stravolge con quel limpidissimo pensiero: chi vuol essere il primo sia l’ultimo e il servo di tutti. Di cosa stavate parlando? Di chi è il più grande.
Questione infinita, che inseguiamo da millenni. Questa fame di potere, questa furia di comandare è da sempre annuncio di distruzione. Gesù si colloca a una distanza abissale da tutto questo: se uno vuol essere il primo sia il servo. Ma non basta: Servo di tutti, senza limiti. E non basta ancora: prese un bambino, lo pose in mezzo e lo abbracciò. Un bambino! È il modo magistrale di Gesù, che s’inventa qualcosa di inedito come un abbraccio all’ultimo della fila, grande schiaffo in faccia ad ogni potere.
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Fra Ermes Ronchi