Letture: Sapienza 7,7-11; Salmo 89; Ebrei 4,12-13; Marco 10,17-30
Aveva fatto tutti i compiti come un bravo scolaretto diligente quel tale che si butta ginocchioni davanti a Gesù, la sua coscienza era a posto, perfettamente a posto: tutto fatto, tutto eseguito; insomma, proprio un bravo ragazzo, uno a cui non si può rimproverare niente. E ora là, davanti a Gesù, ecco che lo interroga per sapere la verità su di sé: «Maestro buono, è vita o morte la mia vita?». Forse aspetta di sentirsi dire che quella vita di cui sente la mancanza è già tutta sua, gli appartiene di diritto, come un premio per la sua condotta irreprensibile.
Forse pensa che Gesù, come i maestri di un tempo, gli darà la medaglia per la sua meticolosità, per il rigore scrupoloso con cui ha osservato tutti i comandamenti. Ci sono sguardi che non dimentichi, che si imprimono nel cuore come sigilli, come marchi indelebili, come curve che all’improvviso si aprono su panorami inaspettati; deve essere stato così quello sguardo di Gesù: una virata impensata, uno spezzare una forma definita per aprirne un’altra.
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Don Luigi Verdi
Nella scena conclusiva del brano evangelico che precede il nostro, su cui abbiamo meditato domenica scorsa, Gesù indica la via per la quale è possibile entrare nel regno di Dio: accogliendolo con l’atteggiamento di un bambino (10,15). Il brano di questa domenica si apre e si chiude con il tema della vita eterna: nel primo versetto, l’uomo ricco chiede a Gesù “che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” (v. 17); e nell’ultimo è il Maestro a promettere “la vita eterna nel tempo che verrà” (v. 30).
Entrare nel regno o ereditare la vita eterna sono due espressioni che richiamano una medesima realtà: quell’oltre di pienezza che, in vari modi, ogni essere umano desidera e cerca. La correlazione tra le due espressioni è peraltro chiaramente suggerita da Gesù quando, commentando l’allontanarsi dell’uomo ricco, afferma: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio” (v. 23; cf. anche v. 24). L’accostamento dei due brani rende ancora più drammatica la scena dell’uomo ricco: Gesù ha appena indicato la via, quella del bambino, che entra perché capace di accogliere il Regno come un dono; e ora gli si para dinanzi un uomo che sembra voler conquistare quella vita, carico del suo “bene” e legato ai suoi “beni”.
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Fr. Sabino Chialà
XXVIII domenica
Tempo ordinario, Anno B
Letture: Sapienza 7,7-11; Salmo 89; Ebrei 4,12-13; Marco 10,17-30
Aveva fatto tutti i compiti come un bravo scolaretto diligente quel tale che si butta ginocchioni davanti a Gesù, la sua coscienza era a posto, perfettamente a posto: tutto fatto, tutto eseguito; insomma, proprio un bravo ragazzo, uno a cui non si può rimproverare niente. E ora là, davanti a Gesù, ecco che lo interroga per sapere la verità su di sé: «Maestro buono, è vita o morte la mia vita?». Forse aspetta di sentirsi dire che quella vita di cui sente la mancanza è già tutta sua, gli appartiene di diritto, come un premio per la sua condotta irreprensibile.
Forse pensa che Gesù, come i maestri di un tempo, gli darà la medaglia per la sua meticolosità, per il rigore scrupoloso con cui ha osservato tutti i comandamenti. Ci sono sguardi che non dimentichi, che si imprimono nel cuore come sigilli, come marchi indelebili, come curve che all’improvviso si aprono su panorami inaspettati; deve essere stato così quello sguardo di Gesù: una virata impensata, uno spezzare una forma definita per aprirne un’altra.
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Don Luigi Verdi
Nella scena conclusiva del brano evangelico che precede il nostro, su cui abbiamo meditato domenica scorsa, Gesù indica la via per la quale è possibile entrare nel regno di Dio: accogliendolo con l’atteggiamento di un bambino (10,15). Il brano di questa domenica si apre e si chiude con il tema della vita eterna: nel primo versetto, l’uomo ricco chiede a Gesù “che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” (v. 17); e nell’ultimo è il Maestro a promettere “la vita eterna nel tempo che verrà” (v. 30).
Entrare nel regno o ereditare la vita eterna sono due espressioni che richiamano una medesima realtà: quell’oltre di pienezza che, in vari modi, ogni essere umano desidera e cerca. La correlazione tra le due espressioni è peraltro chiaramente suggerita da Gesù quando, commentando l’allontanarsi dell’uomo ricco, afferma: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio” (v. 23; cf. anche v. 24). L’accostamento dei due brani rende ancora più drammatica la scena dell’uomo ricco: Gesù ha appena indicato la via, quella del bambino, che entra perché capace di accogliere il Regno come un dono; e ora gli si para dinanzi un uomo che sembra voler conquistare quella vita, carico del suo “bene” e legato ai suoi “beni”.
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Fr. Sabino Chialà