XXXII domenica

Tempo ordinario, Anno B

Letture: Primo libro dei Re 17,10-16; Salmo 145; Ebrei 9,24-28; Marco 12,38-44

Non è proprio quella che definiremmo una brava massaia la vedova di oggi; non ha risparmiato, non ha messo da parte nemmeno uno spicciolo per comprare il pane per l’indomani o un pesciolino per la sera. Ha compiuto un gesto di pura follia: tutto quel che aveva lo ha dato, ma ci avrà pensato su? Ha capito bene quel che stava facendo e che niente le sarebbe rimasto nel borsellino? Cosa le è passato nella testa per dare le sue ultime due monete al tempio? Oppure, cosa le è passato per il cuore?

Non sappiamo il nome di questa donna, non conosciamo la sua età né se aveva figli piccoli o grandi, sappiamo solo che era vedova e si trovava in condizioni di povertà, come la maggior parte delle vedove di quel tempo. Sappiamo anche però che lo sguardo di Dio l’ha baciata. Quello stesso sguardo che non si era lasciato impressionare dalla quantità delle monete lanciate dai ricchi, che risuonavano con fragore nel tempio. Che rumore fanno invece due spiccioli?

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Don Luigi Verdi

 

Nel Tempio di Gerusalemme, luogo preposto all’unione con Dio, occorreva pagare una tassa per poterci entrare, attenendosi così al do ut des commerciale di ogni religione: “io ti do e tu mi dai”. A capo della casta religiosa al tempo di Gesù – dedita a cantare i salmi e contare i soldi – vi erano gli scribi, da Gesù definiti, senza mezzi termini, ipocriti – ossia teatranti -, guide cieche, scriteriati, sepolcri imbiancati e razza di vipere.

Rappresentanti dell’establishment religioso, fungevano da guardiani del tempio, arrogandosi il diritto di stabilire chi dovesse starne fuori o dentro. Gesù fa saltare questa logica commerciale propria di una religione malata. L’essere umano non deve pagare nulla per entrare in rapporto col Mistero: “La grazia è senza sforzo”, dirà Simone Weil. Tutto è già dato. Stiamo già partecipando alla vita divina, occorre solo prenderne coscienza.

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Don Paolo Scquizzato